domenica 4 settembre 2016

Sono solo un ricordo, un romanzo d'amore. Perché i sentimenti non conoscono genere o sesso

Dal blog di Babette legge per voi, C.K.Harp parla del suo romanzo d'esordio nella narrativa lgbt. Perché lo pseudonimo? Perché proprio ora? Cosa cambia, rispetto ai miei romanzi precedenti?




Ci sono storie che nascono in fretta, in un lampo. C’è l’idea, ci si dorme una notte sopra e tac: al mattino successivo tutto è chiaro, in ordine, predisposto. I personaggi parlano e tu, che sei il loro tramite – si dice – scrivi, narri.
Ma non tutte le storie sono così, non tutti i personaggi sono semplici da decifrare e delineare. Ci sono romanzi che impiegano anni per sedimentarsi, per prendere forma e senso. Ci sono romanzi, addirittura, che richiedono un lavoro interiore, un cambio di rotta, una rivoluzione copernicana.
Questo è ciò che è accaduto a me, proprio questo. E sono diventata C. K. Harp pur di dar vita a questo romanzo e a tanti altri che cercavano una chiave diversa da quella che finora ho utilizzato.
“Sono solo un ricordo” è nato quattro anni fa, nella sala della nuova casa da scapolo di mio nonno. Scapolo per forza, mia nonna era già andata via pochi anni prima, lasciandolo distrutto e desideroso di seguirla a breve. E in preda al Parkinson e alla demenza che galoppava neanche fosse un purosangue.
La storia di Ty e Richard non esisteva, allora, così come non esisteva del tutto la mia passione per la letteratura LGBT, ma c’era l’idea. Perché odiavo il fatto di non riconoscere più quella persona che giocava a carte con me sul tavolo dopo pranzo. Odiavo non ritrovare il suo cipiglio burbero. Mi spiazzava il fatto che mi chiedesse di tenergli la mano prima di dormire, o che fossimo io e mia madre ad accudirlo. O mia zia, o il badante… Mi divertiva quando lo sentivo “sbroccare” all’improvviso, lo ammetto, perché era una cosa talmente surreale che guardavo mia madre e non potevo fare a meno di ridacchiare. Si ride, a volte, quando non si riesce a spiegare la realtà…
Come quella volta in cui si girò e chiese a mia madre: “Te ricordi quanno annavamo a cercà l’oro a Villa Gordiani? C’avevo 5 anni e te me tenevi la mano”.
In quel periodo mi chiedevo spesso quanto fosse presente in lui la malattia, quanto invece la lucidità di sapersi infermo. Pensava al suo grande amore? Ripensava ai giorni in cui aveva incontrato mia nonna alla fontanella e aveva sentito “quer friccico ner core”?
L’idea, ripeto, c’era, ma la capacità di svilupparla, farne qualcosa di diverso da un racconto, no. E intanto riflettevo, vivevo, vedevo le parole sfumare e lo sguardo di mio nonno farsi più vacuo. Era la vita, ma era la prima volta che mi soffermavo a chiedermi come operasse fino in fondo.
Poi di Spartaco e Rosa non è rimasto che il ricordo, la forza, l’amore. Soprattutto l’amore, l’uno per l’altra. Per me è sempre stato impossibile pensare a uno senza considerare l’altra. Così continua a essere ancora adesso.
Volevo testimoniare quel sentimento, quel legame che valicava tempo e spazio, ma ero frustrata perché non trovavo la giusta chiave di lettura per interpretare il bisogno che sentivo dentro.
Sono passati anni, il pensiero è rimasto, ma le necessità di scrittura sono mutate, si sono piegate, hanno seguito linee a volte diverse da quelle che volevo. Insomma, sono andata avanti col tarlo che mi rodeva il cervello.
Poi ho scoperto la letteratura LGBT, le grandi storie d’amore tra uomini e tra donne, e in un colpo solo mi si è aperto un mondo. E la trama.
Ma non ero pronta, non ancora. Avevo bisogno di maturare, non potevo improvvisare. In fondo venivo da realtà completamente diverse, dove l’amore era amore, certo, ma stracolmo di cliché che mi andavano stretti e limitavano. Così ho iniziato a scrivere altro, è nato C.K.Harp, ho dato sfogo alla vena thriller che mi aveva sempre pungolata, ho preso una pausa.
Ho preso una pausa: lunga. Sono giunta sulla soglia della grande distribuzione, c’è una R, ora, sul mio curriculum, che non rinnego e che mi ha aperto porte insospettabili, ma… Ma non è quello che voglio. Ovvero, non come lo voglio.
E proprio da questa consapevolezza è nato “Sono solo un ricordo”, hanno preso forma Ty e Richard, si è sviluppata la loro storia, la loro unione.
Ho narrato l’amore, ma anche la vita, le sue complicanze, i suoi risvolti non sempre piacevoli, perché come cantava Mariella “Così è la vita, che ci sospende, con i suoi fili inconfondibili, il suo cuore palpitante, e il nostro sangue che si rapprende”.
La vita non è solo una fiaba rosa in cui immergersi, per quanto risulti bellissimo – anche per me – perdersi a volte in risvolti privi di drammi e pianti. Nella realtà c’è sempre un “ma”, e trovo che l’amore, quello vero, passi per sfide e colpi da sopportare e superare, e che non conosca colori o generi d’appartenenza, solo strade. Strade parallele che ogni tanto, per volere di qualcosa o qualcuno, si raccordano e uniscono.


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domenica 3 luglio 2016

L'angelo giustiziere, disegni di Arces, è il settimo fumetto della D'Ascani ed esce su Lanciostory numero. 2149 del 13 giugno.

giovedì 12 maggio 2016

Sette anni di Facebook

Oggi il caro Zuck mi ricorda  che sono esattamente sette anni che abbiamo fatto la reciproca conoscenza, ringraziandomi del mio desiderio espresso nel momento in cui ho voluto far parte della sua comunità. Certo, se il gettone d'entrata fosse stato pari a un quarantesimo di quello che tira su lui ogni anno, grazie a noi, sarei stata più contenta, ma forse devo gioirne ugualmente.

Sette anni fa feci il tentativo di aprirmi al mondo, di fare capolino da una finestra che fino a quel momento era rimasta chiusa. Riuscendoci.
Sette anni iniziai, molto lentamente, a rompere alcune delle catene che mi tenevano nascosta ai più, cominciando a scrivere per davvero, interagendo, ridendo con persone diverse da quelle che ero costretta a frequentare. Le limitazioni erano tante, dal punto di vista mentale, ma il coraggio insospettabile, lo stesso che poi mi ha permesso di attuare la mia rivoluzione, era lì e usciva fuori nel momento opportuno.
Avevo un sorriso spento, di plastica, finto quanto poteva esserla la mia felicità, ma non l'ho mai cancellato del tutto. Volevo esserci, volevo vivere, nonostante tutto. Quando parlo così sembro una "survivor", ma credetemi se vi dico che a volte mi sento proprio così.
Posso dire di essere rinata grazie a questo social? Non lo so, ma è fuor di dubbio il fatto che grazie al suo avvento io sia cambiata, sentendomi finalmente più libera, respirando aria nuova e fresca; essere su internet ha determinato l'inizio di un rapporto che sul serio ha stravolto la mia esistenza, portandomi a essere quella che sono ora.

La realtà è che sette anni fa c'era lui, sempre e solo lui, il mio incubo giornaliero, e destreggiarmi tra il desiderio di evasione e la sudditanza psicologica che piegava ogni mio tentativo, era sfiancante, avvilente. All'epoca, ricordo, c'erano i forum e io già tramite quello di Virgilio avevo dato vita alla Federica social, a quella che viveva una vita parallela e appagante, a quella che scriveva poesie cupe, ma che era pronta a riderci su. Perché quella Federica conosceva l'inferno, ma non lo ammetteva neanche a se stessa, donandosi all'horror perché era la scelta naturale di un animo in continuo tormento.
Ho conosciuto tanta gente, sette anni fa -bon, facciamo anche otto- e alcuni ancora fanno parte della mia vita, con mia grande soddisfazione. Loro sanno, pur non sapendo. Conoscono ciò che ero, pur non rendendosene conto. C'era gente presente al mio delirio, che mi apprezzava per come ero, nonostante tutto.
Se non avessi avuto facebook avrei faticato a riallacciare i rapporti con quello che poi è diventato mio marito, avrei fatto i salti mortali per giungere a una consapevolezza di me stessa come quella che attualmente ho, avrei solo sognato il piccolo Attila che gira per casa e rallegra ogni istante dei miei giorni.

Devo dire grazie a Zuck? Oggi credo proprio di sì.
Internet sa essere una giungla, ma anche un mezzo per avvicinare le masse, per farle sentire a casa, per proteggerle dalle brutture della vita quotidiana. Forse non è "normale", ma di certo è realtà.
Cristallo senza l'era social non sarebbe mai stato concepito; la mia scrittura, forse, sarebbe rimasta acerba e cristallizzata a quel periodo, così come la mia vita.
Sette anni fa c'era lui e solo lui.
Oggi ci sono io, la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro.
Oggi respiro. Oggi sorrido.
Oggi vivo.

PS. Se a Zuck je serve uno spot, io so perfetta!

Cristallo è in vendita su Amazon e su tutti gli stores online

martedì 3 maggio 2016

Cristallo: come tutto ha avuto inizio

Il 1 maggio è uscita la seconda edizione di Cristallo, romanzo con il quale sono rientrata, tre anni fa, di nuovo in pista con la scrittura. Certo, lo avevo fatto in febbraio con l'Inferno di Rebecca, molto simile per tematiche, in realtà, ma era Cristallo il testo che davvero mi rendeva libera.
Rimettersi in gioco dopo sei anni non era facile, soprattutto al pensiero di aver mollato quando avevo tutte le carte in regola per arrivare molto prima a un traguardo voluto. Ma sentivo di doverlo fare, di volerlo fare. Perché avevo mollato? Ne parlo spesso, ma non spiego mai.
Lasciai tutto, nel 2009, e fu per vivere il calvario descritto in Cristallo. Non tutto, certo, ma una buona parte. Tra il 2013 e il 2014 ho scritto la prima versione Cristallo, oggi esco con la seconda edizione. Più matura, più realistica, ben più forte. Prima non ero pronta, adesso sì.

Scrivere per me era davvero un sogno, come per tutte le ragazzine che coltivano il desiderio di raccontare storie, e il giorno in cui mio padre entrò in ufficio con la copia del mio primo libro, Dacon, facendomi una sorpresa inattesa, ricordo che mi illuminai. Per poco, sì, ma lo feci. Perché avevo visto l'amore e la fierezza negli occhi di chi davvero mi voleva bene. Capirlo era praticamente impossibile, ma percepirlo invece sì. La realtà era che il mio cuore, la mia testa, cercavano altro: altre conferme, altrui festeggiamenti. Una stima rincorsa nel tempo, un'accettazione di quella che ero per come ero.
Che  non arrivarono.
Mai.
Chi scrive sa quanto sia importante il sostegno della propria famiglia. Se non altro, del partner, quando si ha (e quando non si ha, in alcuni casi, è molto meglio, credetemi). Se quello che si riceve, specialmente durante i primi passi nella scrittura, è disprezzo e invidia, per quanto la passione sia forte, si tenderà a mollare tutto, a tralasciare le proprie inclinazioni, a credere di non valere nulla, di non fare, in fondo, chissà cosa.


Ora so, a distanza di anni, che la ritrosia di chi mi era accanto, che sperimentai sulla mia pelle, fu soltanto la proiezione di un'invidia cocente, della sensazione di inferiorità che ha portato poi a tutto ciò che ho vissuto... Inferiorità non mia, ma di chi mi faceva sentire tale. Allora, però, non lo sapevo, non lo capivo, non volevo accettarlo. Nella prima versione di Cristallo si parla di "una nota stonata in fondo a quella melodia che sembrava amore" ed è proprio così che andavano le cose. Sapevo, ma non volevo vedere, ascoltare, sentire, accettare.
Quando uscii con Astri di paura la situazione era già peggiorata ed erano trascorsi solo pochi mesi dalla pubblicazione di Dacon. Avevo perso ogni slancio, ogni desiderio, e seppur riscontrassi i miglioramenti, le critiche positive, una popolarità insperata, la vita mi portava altrove.
Lui mi portava altrove. E Cristallo cominciava a scrivere le proprie pagine, in maniera autonoma, come uno spettro che segue ogni tuo passo, in silenzio, delineando per te una strada impervia.

I sei anni che seguirono furono l'incubo, il baratro, l'inferno. Non me ne vergogno più, ora, ma non lo avrei mai ammesso prima. Non me ne vergogno perché non voglio vergognarmene, non perché ci sia l'istinto reale, in me, di rivalsa o accettazione. Ci faccio i conti ogni giorno, ormai il cristallo infranto dei miei 20 anni è parte di me, si ricompone pezzo pezzo andando avanti.
Ma c'è un pensiero che mi pungola e che non mi lascia in pace, ed è lo stesso che mi ha spinta a scrivere il romanzo che racconta una storia uguale a tante altre, inascoltata perché inutile per molti.
Vedere i miei genitori arrabattarsi per trovare una soluzione ai miei cambiamenti, all'epoca, mi logorava, mi deprimeva, mi faceva infuriare. Non è facile per chi vive l'inferno, non è facile per chi ne è spettatore inerme.


Questo pensiero non mi abbandona, nonostante siano trascorsi anni, perché vedo che la storia si ripete di continuo, in case estranee, in famiglie lontane chilometri, in quella del vicino...
Eppure io ho vissuto tutto questo: ho una responsabilità, no?
Come posso far capire, io, cosa significhi annullarsi e aspettarsi, nel contempo, il salvataggio? Come posso spiegare cosa sia l'essere in balia di una persona e desiderare ancor più violenza, amore, disprezzo, tregua... pace?
L'unico mezzo che ho trovato per fare tutto questo è stato scrivere parte della mia storia,mescolarla ad altre, mantenendo il file rouge dei miei pensieri, delle mie sensazioni. Perché ora non sono più una ragazzina, adesso sono una donna, sposata, con un bambino. Sono madre. Ho un bagaglio di esperienze, sulle spalle, tale da consentirmi un coming out responsabile.
Eppure sono sempre Federica, la ragazzina di 20 anni che, nel suo monolocale, davanti al computer, cercava una maniera per tirare fuori i propri mostri senza riuscirci. Perché i mostri erano quelli della sua anima, non quelli fittizi di una pagina di fumetto.

E ci sarebbe tanto altro da dire... Ma Cristallo è lì che vi aspetta ed è un buon punto di inizio per cominciare un serio dialogo, se volete. Se vorrete.

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Clicca qui per leggere la presentazione del romanzo tra le pagine di Babette

martedì 26 aprile 2016

venerdì 8 aprile 2016

Volevo essere Sailor Moon!

Dite che la D'Ascani si è impazzita? Delirio da troppi fumetti? Forse...
Il fatto è che sono pronta per presentarvi il mio piccolo ultimo nato di casa Rizzoli.
Per la collana only digital You Feel esce il 14 Aprile (ma è già in pre order su amazon)
You Feel - Mood ironico
Volevo essere Sailor Moon, romanzo d'amore mood ironico. Non poteva essere altrimenti, d'altronde...
Dunque, di seguito vi lascio la sinossi e la copertina megagalattica! Sarà che io me ne sono innamorata subito... Aspetto le vostre prime impressioni e... anche i commenti post lettura, obviously!


Perché a volte per trovare il principe azzurro servono i poteri magici!

Bea sarebbe una ragazza solare. Ma lavora per i quattro malvagi delle tenebre, è fidanzata da anni con Emiliano, ha una vita grigia e piatta quanto può esserlo un pollo ai ferri, e la sua amica Daniela non perde occasione di rimarcarlo. Però a Bea basta parlare al telefono con Simone, il nuovo collega della sede di Rimini, perché il suo cuore batta impazzito. Il Tuxedo Mask romagnolo, con la voce roca e il temperamento esplosivo, sembra uscito direttamente da un sogno, e quando finalmente Bea lo incontra dal vivo è magia. Non importa che gli occhi di Simone non siano azzurri come quelli del bel Cavaliere della Luna… Bea ne subisce il fascino come fosse Sailor Moon: tredicenne, imbranata, innamorata. Ma la vita reale è lì che incalza, con le figuracce sul lavoro, il fidanzato sbiadito, la canasta a Natale, e un’amica che nasconde qualcosa di grosso… eppure forse è proprio in un momento così che bisogna trovare il coraggio di fidarsi di un cavaliere misterioso. E liberare la guerriera impacciata ma grintosa che si nasconde dietro alla maschera dell’impiegata seria e posata.
Dall'autrice di “L’istinto di una donna” e “Splendido come il sole di Tulum”, una commedia brillante e audace, magica e appassionata, e sorprendentemente divertente. Com’è l’amore quando è quello vero.


                       


"
D’un tratto sentì una macchina inchiodare e fare retromarcia in maniera folle. Si voltò e per poco quella non la investì. Saltò quasi oltre il guardrail e strabuzzò gli occhi. Se nella macchina c’era qualcuno intenzionato ad aiutarla, non stava facendo un ottimo lavoro. Deglutì, improvvisamente spaventata. E se si fosse trattato di un serial killer? Si portò una mano alla bocca, il cuore a tremila.
            «Ma sei normale? Dov’è che vai in mezzo alla strada? Hai deciso che vuoi morire proprio oggi?» la apostrofò una voce fin troppo familiare. Il cuore le fece una capriola in petto, ma ignorò quel salto da acrobata e si inviperì.
            «E tu hai deciso di finire il lavoro che non ho portato ancora a termine? Cos’è, volevi mettermi sotto, per caso?» gli urlò contro, rossa in volto.
            «Mi è scappato il volante» tentennò Simone. «Ti ho vista all’ultimo momento e ho inchiodato. In ogni caso, che stai facendo?» tornò a chiederle riacquistando il suo cipiglio battagliero. Bea dovette ammettere che non lo ricordava così bello. Lo vide accostare, scendere dall’auto e fare il giro per andarle incontro. Era vestito tutto di scuro, fatta eccezione per una sciarpa, che sembrava meravigliosamente calda e morbida, grigio chiaro. Un modello, se non fosse stato per l’altezza non proprio statuaria."


lunedì 4 aprile 2016

Chicago Zombie Army

Ed è con il numero 2139 di Lanciostory che vede la luce il primo episodio di Chicago Zombie Army, fumetto a due puntate. Disegni di Vincenzo Arces - Testi della D'Ascani

Il contratto di Belial

Uscito con Skorpio 2038 Il contratto di Belial - Disegni di Andrea Modugno - Testi della D'Ascani ;)

venerdì 5 febbraio 2016

Sexy Bomb all'Oberjack

Al buio dell’abitacolo, le luci dei fari che intervallavano l’oscurità, si portò una nocca alle labbra, osservando la strada sdrucciolevole fuori dal finestrino. Il tassista era stato clemente, scegliendo di non sostenere alcuna conversazione priva di senso. Non era un gran chiacchierone, almeno finché non entrava in pista. Ma lì erano solo i corpi a doversi esprimere, non certo le menti. Che di brillanti non sempre se ne trovavano, oltretutto. 
La pioggia cadeva fitta, quella sera, ma a lui non importava sul serio, non quanto aveva dato a intendere a Jack prima di uscire. Billy, che adorava il vicino, non aveva fatto altro che guaire guardandolo passeggiare oltre la siepe e l’attenzione del vecchio non era stata così difficile da catturare. Quell’ammasso di pulci adorava lo strambo soldato claudicante che abitava poco distante da loro e Dre proprio non capiva come mai e quando, soprattutto, fosse nato l’amore viscerale che li legava. Si mordicchiò la pelle morbida del dito, ascoltando distrattamente una canzone jazz in filodiffusione tramite le casse posteriori. Cristo, odiava il jazz! A dire il vero odiava anche i taxi, ma non aveva potuto fare a meno di chiamarne uno, quando aveva appurato che l’acquazzone non sarebbe cessato a breve. Vestito di nero, dai pantaloni regular fit alla maglia in cotone stretch, aveva tagliato i capelli ancora più corti di come li portava di solito, complice il caldo asfissiante che aveva iniziato ad alitargli sul collo con troppa energia; rovinare la sua mise per un po’ d’acqua gli avrebbe mandato il sangue al cervello, invece del punto in cui ne aveva bisogno per divertirsi. Era sabato sera e non poteva permettersi di perdere un fine settimana per via della pioggia. Seppure quel clima gli stesse comodo come un paio di pantofole in pieno inverno. Eppure non era sempre stato così, c’era stato un tempo in cui aveva adorato la neve, odiando l'acqua dal cielo, ma ormai…
«Arrivati a destinazione. Sono trenta dollari» proruppe l’autista distraendolo. Cristo, trenta bigliettoni per quindici minuti in macchina era un furto! Con il treno avrebbe speso meno della metà…
«Tenga» e scordati il fottuto resto, col cazzo che te lo lascio. Quello sarebbe stato il sottotitolo, se la voce di sua madre non fosse intervenuta prontamente a mettere un freno a quella testa calda che si ritrovava sulle spalle.
 «Calma, Dre, non fare il solito cazzone intransigente e burbero…»
Trenta dollari… Da non crederci! Dre scese dall’auto scuotendo la testa, contento soltanto di sbattere la portiera in faccia a quella musica di merda che ancora gli fischiava nelle orecchie. Si leccò i denti, alzando lo sguardo, mentre la pioggia riprendeva a chiamarlo, sollecita, ricordandogli il perché di quei fottutissimi dollari ormai al semaforo assieme al loro nuovo proprietario.
«Cazzo» sbraitò correndo verso l’entrata dell’Oberjack. Appena giunto sulla soglia, lanciò un’occhiata a Phil che lo lasciò passare senza neanche prestargli attenzione, troppo preso a limitare la folla accalcata contro il suo stomaco prominente. Erano finiti i tempi in cui era stato costretto alla stessa trafila, durata in ogni caso meno di quanto avrebbe scandito i sabato sera dei nuovi frocetti in trasferta dal Quince. Le vacanze al caldo col culo ancora gelido dell’inverno americano… Sorrise, suo malgrado, ripensando al freddo nelle vene che si era portato in valigia quando con Rachel era emigrato a Melbourne, poi si guardò intorno ben deciso a non incupirsi. 


Le luci psichedeliche avevano già iniziato a roteare sul soffitto, mentre la musica prendeva il sopravvento addirittura sui pensieri. Meglio, non avrebbe dovuto riflettere. Era tardi, sicuramente, e il traffico che avevano incontrato sulla strada non aveva giovato a rendere il viaggio più veloce. Trenta dollari… Inspirò l’aria satura di testosterone e allargò i polmoni mentre con la lingua si leccava le labbra per nulla secche, ma pronte. Pronte e frementi. Il sabato sera era per lui una liberazione: il completo stordimento dopo una settimana di finzione. Si inoltrò nella pista, insinuandosi tra i corpi in movimento, dondolando sulle gambe, a tempo con i bassi, strizzando le chiappe di questo o quello. Prese lentamente confidenza con le onde sonore, facendosi aderire addosso la voce del vocalist, gli odori acri, il divertimento e la promiscuità che era parte di lui. Lui era quel dannato posto e quel dannato posto era il suo specchio. 
Sam Sparro prese a martellare nelle case, strisciando sotto pelle con quel tono maschio capace di indurirgli le palle e confondergli i pensieri. E chiuse gli occhi, alzando le braccia e trascinandosi in una danza fatta di corpi e dita. D’un tratto avvertì una lingua tra le labbra e, senza vedere neanche di chi fosse, tirò fuori la sua in un gioco di crescente eccitazione. Poi una mano, calda, vigorosa, gli strinse l’uccello con così tanta forza che aprire gli occhi fu istintivo e automatico. La lingua ancora intenta a stoccare promesse di sesso, osservò gli occhi aperti di quell’energumeno in camicia bianca, e l’uccello gli si fece ancora più duro, marmo nei pantaloni ormai troppo stretti. Capelli corti e neri, occhi chiari, di colore indefinito, collo taurino e fisico possente... Fattibile. 
Il crescendo della musica assecondò quella che in breve divenne una sega al di sopra della stoffa, finché Dre, incontenibile, ringhiò mordendo le labbra dello sconosciuto, afferrandogli il culo con una mano e spingendosi quello che sperava essere un cazzo enorme contro il bacino. Prese a ondeggiare, strofinandosi contro la coscia dello sconosciuto che non faceva altro che infilargli la lingua nel timpano, scendendo sul collo, succhiandogli avido il pomo d’adamo e risalendo lungo il mento.

«Te lo succhio» gli disse a un tratto nell’orecchio, la canzone alle ultime battute su un cazzo ormai gonfio. Senza dire una parola, Dre lo prese per mano e, sgomitando per aprirsi un varco in quell’intrico di corpi e lingue, si incamminò verso i bagni. Non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di esservi entrato perché, l’uccello già fuori dalle mutande, la lingua dell’uomo gli si avviluppò intorno alla cappella restituendogli una scarica di adrenalina che si irradiò per tutto il corpo, persino nelle dita. Prendere per i capelli quel tipo facendolo affondare tra i suoi peli, spingendogli in gola la sua erezione fino a sentirlo mugolare d’approvazione, fu il minimo che riuscì a fare prima di venirgli in bocca con un rantolo sommesso. Ansimante, la musica della pista talmente potente da battere contro la porta chiusa, Dre guardò il soffitto, sorridendo. Era solo l’inizio ed era cominciato col botto. 

venerdì 29 gennaio 2016

Parlando con Brendan

Quando era approdato a Melbourne, di certo non si sarebbe mai aspettato di essere accolto dalla comunità come invece era accaduto. E in così poco tempo, per giunta. C'era da dire che godeva di un ottimo rapporto con il vicinato; più o meno, tutti sapevano delle sue inclinazioni sessuali e nessuno ne faceva o ne aveva mai sollevato un problema. D'altronde, come diceva Jack, quelli erano beneamati cazzi suoi.
Era a questo che pensava, quella mattina, recandosi al lavoro. Scese dal bus alla fermata poco distante dalla Neverland Press e decise di fare una passeggiata prima di salire in ufficio. Era presto, come sempre, ma quel giorno non aveva proprio voglia di lavorare più del dovuto. Stava tornando la bella stagione e il verso di un cacatua gli ricordò quanto, in fondo, adorasse il dolce tepore del sole più vicino, la brezza leggera riscaldata dal clima temperato e l'odore del mare poco distante. Scosse la testa, leccandosi le labbra, mentre un sorriso gli incurvava quella bocca a cui fin troppi uomini si sarebbero aggrappati per un momento di puro godimento. E non era ego smisurato, il suo, ma semplice constatazione. I suoi genitori si erano impegnati abbastanza per renderlo assurdamente apprezzabile. Non bello, ma affascinante. La bella di casa rimaneva Rachel, anche se era una stronza colossale.
Si voltò verso il baracchino di ciambelle e ne acquistò una, poi riprese a camminare verso i giardini limitrofi e si sedette su una panchina, le guance gonfie di pasta zuccherosa.
«Sembra buono» lo apostrofò una voce e solo il tono con cui gli aveva parlato il proprietario bastò a fargli andare quasi di traverso il boccone. Perché sapeva di chi si trattava e conosceva abbastanza bene le reazioni del suo corpo per capire che, nonostante facesse finta di nulla, non gli era per nulla indifferente. Enfatizzando la tosse, in modo tale da lasciare il dubbio tra lo spavento e l'emozione, si voltò con la fronte aggrottata verso Brendan e lo guardò in cagnesco.


«Di', ma sei impazzito? C'è mancato poco che soffocassi» replicò osservando il collega sedersi di fianco a lui, a pochi centimetri dal suo culo. Troppo pochi, Cristo!
«In effetti ti ho visto un po' troppo tronfio con quella ciambella in mano... Sembrava ti stessi leccando una figa!» rise divertito l'altro allacciando le mani dietro la nuca e inclinandosi all'indietro sulla panchina.
«Galante e signore, come sempre» commentò Dre che non poté fare a meno di delineare con lo sguardo la curva perfetta dell'addome scolpito e le cosce fasciate dai pantaloni di taglio sartoriale. Be', sì, Brendan non se la passava male, come lui del resto... Nel momento in cui gli occhi carezzarono fuggevoli l'incavo del pube, l'uccello gli si drizzò peggio delle Torri di Rialto. Porca troia, quell'uomo lo attraeva in maniera assurda, mai successa una cosa simile con altri. Distolse l'attenzione in maniera subitanea, prima che l'altro si rendesse conto della bava alla bocca per il suo cazzo, quindi si leccò i denti e riprese a guardare con finta ammirazione la natura circostante.
«Ti ho visto scendere dall'autobus e ti ho seguito» riprese Brendan sempre col sorriso sulla bocca. Una bocca che Dre si era chiesto mille volte come si sarebbe adagiata tra le sue palle, lappandone la consistenza prima di risalire lungo l'asta... Cazzo, se non l'avesse smessa subito di fantasticare su di lui sarebbe impazzito. Ed era così ogni santo giorno! Forse il suo smodato interesse verso il collega altro non era che un riflesso incondizionato verso chi si è certo non si potrà mai possedere. Non solo Brendan era al cento per cento etero, ma non sapeva proprio un fottuto niente del fatto che lui invece fosse un tiraculo. E che tiraculo, gente. La migliore zoccola dell'Oberjack!
«Be', potevi chiamarmi» lo riprese lui strofinandosi le mani per eliminare gli ultimi residui di zucchero dai palmi. Sul nero, quei granelli di cristallo rilucevano come la pelle dei dannati vampiri di Twilight.
«Ho preferito farti prendere un colpo» replicò l'altro tornando a ridere «e poi oggi è una gran bella giornata. Mi verrebbe di andare al mare, invece di rinchiudermi in quell'ufficio...»
«Io potrei... In effetti potrei davvero» sottolineò annuendo con il capo. Sapeva di far incazzare Brendan, in quella maniera, ed era il giusto compenso allo stillicidio a cui lo costringeva da quando lo aveva visto la prima volta.
«Lo so che tu puoi. In fondo non devi fare altro che leggere... Merda di un uomo che me lo ricordi ogni giorno. Che vuoi farci? La cultura che io non ho mi costringe a...»
«Tu sei costretto a stare al chiodo!» lo interruppe esplodendo in una risata sincera «Comunque tranquillo» continuò con una pacca sulla spalla - e Dio solo sa se avrebbe volentieri fatto scivolare le dita sotto la camicia bianca, accarezzando i peli del torace, tuffandosi tra quelli più folti tra le cosce, accompagnando magari la lingua a tutto il resto «verrò anche io in ufficio. Oggi viene Liam e dobbiamo definire le ultime correzioni al romanzo, quindi...»
«Quel frocio credo ti abbia messo gli occhi addosso, sai?»
«Geloso?» lo redarguì avvertendo il familiare crampo allo stomaco. Sempre più debole, man mano che passava il tempo, in effetti. Forse si stava abituando a quelle stronzate. Però era sempre più soddisfatto di non aver rivelato a nessuno il suo modo di vivere. Non al lavoro, almeno. Solo il capo sapeva e tanto bastava. Ma O'Brien era un vecchio amico di famiglia, non faceva testo...
«Oh be', per il tuo culo potrei anche cambiare sponda...» scherzò Brendan ammiccando in maniera seducente. E se solo fosse stato vero...
«Andiamo, coglione, che si sta facendo tardi...» lo invitò assottigliando lo sguardo nell'osservare l'orizzonte. Un orizzonte fatto di verde, pali della luce e panchine. Be', non si poteva avere tutto dalla vita e in fondo nulla avrebbe mai equiparato il panorama di casa sua, ad Alberta...
«Sì, andiamo latin lover. Ah!, se quello ti mette le mani addosso dillo che lo sbattiamo fuori. Certo, sempre che non ti piaccia...» continuò il collega seguendolo sul selciato.
«Dovesse piacermi ti inviterò per un triangolo, maschione» replicò lui sorridendo.
Brendan era bello, arrapante, ma... idiota come una gallina. Già, non tutte le ciambelle riuscivano col buco... Non un buco adatto a lui, comunque.

domenica 10 gennaio 2016

Zombie Nightmare 2.0

Con il numero 2127 - 11 Gennaio 2016 Editoriale Aurea da alle stampe la storia di Ester e Logan in Zombie Nightmare 2.0.
Testo: D'Ascani
Disegno: Arces

Una strana moria di persone caratterizza Austin ed Ester si trova a scappare per la vita. Al suo fianco, inaspettatamente, un gringo tutto seduzione e baldanza: Logan. Riusciranno i nostri eroi a uscire dall'incubo?

venerdì 8 gennaio 2016

Avventura dopo il Natale

Si preparò per uscire di casa con estrema cura, quella sera. Era tornato da casa di Rachel spossato e per nulla contento di ciò che era stato il suo Natale. Non perché non fosse stato tutto sommato bene, quanto perché il dolore della perdita si faceva più intenso se in compagnia di lei, capace di ricordargli entrambi i genitori con un solo battito di ciglia. Era stato straziante rivederla dopo quasi un anno ed era stato altrettanto penoso andare via, dire arrivederci ai bambini e a suo cognato, stringere in un abbraccio la gracile figura di lei ancorata a terra solo con la forza di un affetto fraterno difficile da estirpare. Nonostante la stronzaggine che Dre impiegasse in ogni dialogo affinché mollasse la presa, affinché lo lasciasse respirare senza il fantasma di una famiglia perduta.
Ma quella sera non era adatta a rivangare il passato o la tristezza del presente.
Quella sera era semplicemente sua e di chi avrebbe voluto condividere la sua stessa sete di libertà con lui. Aprì l'armadio, scelse un paio di pantaloni dal taglio informale e una maglia a maniche corte capace di fasciare il suo fisico risaltandone i punti migliori, quindi umettò i capelli con degli schizzi d'acqua e sorrise al suo riflesso della toilette. Cazzo, quanto era figo! D'altronde la fortuna di trascorrere gennaio a Melobourne era senza eguali: vestiti leggeri e lieve brezza sul volto. L'estate australiana era l'inverno del resto del mondo... sublime!
«Surreale anche, eh, Billy?» commentò i suoi pensieri voltandosi verso il suo pastore sonnacchioso. Quell'ammasso di peli non faceva che dormire! Schioccò le labbra, mandandolo idealmente al diavolo, e uscì dalla porta sul retro salutando Jack che proprio in quel momento usciva per la sua passeggiatina serale. Claudicante come sempre e con quella tuba alla Zio Sam che lo faceva sempre sorridere.
«Ehi, Jack, come butta?» lo apostrofò incamminandosi oltre il giardino con le chiavi che facevano la spola tra una mano e l'altra.
«Ehi, ragazzo! Tutto bene, tutto bene. Tranne quella filippina del cazzo che tenta di avvelenarmi ogni giorno con la sua cucina di merda, tutto bene» rispose il vecchio, proseguendo sul marciapiede,  traballante sul suo bastone. Reduce di guerra, quello strambo esserino gracile e dinoccolato era una sagoma, ma povera la colf che gli capitava sotto mano! Ne cambiava almeno una ogni due mesi e Dre non ricordava più il record dell'ultima.
«Non ci credo che è così cattiva» commentò con un sorriso sulle labbra mentre scuoteva la testa, divertito. Dopo pochi altri convenevoli, salutò il vecchio soldato e si fermò alla fermata dell'autobus. Non aveva la macchina e a ben guardare non era una gran perdita. Meno stress, meno soldi da sperperare e tutta la gente del mondo da conoscere. Alzò un sopracciglio, sorridendo dei suoi pensieri, narciso, poi protese la mano per fermare il mezzo.
Prese posto a tre file dalla fine, guardandosi attorno. Notò subito il moretto seduto a pochi passi dall'autista, lo sguardo perso nel vuoto del buio esterno, vestito in maniera casual, ma ordinata, e lunghi capelli spioventi davanti agli occhi dall'aria vagamente ribelle. Dre non era tipo di eccitarsi al solo guardare un bel ragazzo, ma dovette ammettere che c'era qualcosa in quel tizio che lo intrigava. Ci pensò su un momento, si grattò distrattamente il labbro superiore, si guardò di nuovo attorno senza realmente osservare nessuno, poi si alzò e si incamminò ondeggiando verso la meta.


«Scusa... Io... credo di conoscerti» iniziò catturando l'attenzione del moretto che a quelle parole sollevò sorpreso lo sguardo.
«Scusa? Dici a me?» chiese come se si fosse appena svegliato, il tono di voce tanto roco da insinuarsi sotto la pelle e arrivare dritto dritto al suo uccello. Cazzo, che tipo!
«Sì... Malcolm, giusto?» tentò sfoderando il suo sorriso migliore, quello con cui sapeva di far breccia, lo stesso che gli aveva procurato appuntamenti davvero niente male. Lo tirava fuori dal repertorio solo quando la situazione lo richiedeva. E quella meritava più di tante altre, davvero.
«No» rispose secco l'altro continuando a osservarlo, i capelli davanti a delle iridi assolutamente mozzafiato. Cobalto... Cazzo, aveva detto di no!
«No che non ti chiami Malcolm o no che non ci conosciamo?» insistette. E sarebbe stata la sua ultima chance, dopodiché sarebbe tornato sui suoi passi, lo avrebbe mandato a cagare e magari si sarebbe fatto una sega ripensando a quegli occhi. Forse il giorno seguente. Non aveva tutto quel tempo da perdere. Sì, ogni conquista andava coccolata, ma c'erano da considerare tanti altri fattori e il rifiuto non era un particolare irrilevante.
«Non mi chiamo Malcom... Anche se credo di averti già visto da qualche parte» commentò senza togliergli gli occhi di dosso l'altro. In effetti quel tipo cominciava a incuriosirlo non poco. Strano. Differente. Terribilmente eccitante.
«E dove?» indagò rimanendo in piedi mentre l'autobus lo sballottava un po' di qua e un po' di là. Dre si tenne con una mano all'asta di ferro sulla sua testa, sicuro di mettere in mostra i bicipiti torniti di cui andava fiero. Come tutto il resto. E che cazzo: era figo, non poteva certo far finta che non fosse così!
«In giro» rispose laconico l'altro. Ok, figo, ma... cazzo, su!
«E... quindi hai detto che ti chiami?»
«Non l'ho detto» continuò con lo stesso tono l'altro. O porca troia, quant'era difficile! Un pompino, santiddio, un pompino chiedeva, certo non la mano e il regno!
«Ok, amico, non c'è problema. Ci si vede» tagliò corto infastidito. Fece per voltarsi, ma il moretto lo afferrò per la mano, bloccandolo e inducendolo a voltarsi.
«Mi chiamo Fred e hai resistito molto più di altri. Di solito la gente se ne va al mio primo no» lo derise allargando le labbra su due file di denti perfetti. E fu un attimo. Dre avvertì il bollore della sua eccitazione salire al livello, correre oltre e gorgogliare spumeggiante nei pantaloni stretti. Si morse il labbro, davanti a quegli occhi, e la smorfia sbarazzina che gli lanciò l'altro gli tolse ogni dubbio.
«Forse andiamo dalla stessa parte...» riprese Fred accarezzandogli il polso con le dita calde. Dre osservò quel gesto, poi tornò con l'attenzione sul volto pulito del moretto ed estrasse la lingua per riprendere a mordersi le labbra.
«Forse sì.»
«Phillis Cafè?»
«Andata.»
Quando Fred si alzò, sovrastandolo di qualche centimetro, l'autobus fece una brusca frenata gettandoli uno tra le braccia dell'altro. E fu allora che che entrarono in collisione e che Dre avvertì un cazzo davvero duro contro il bacino.
«Ti scopo fino a farti urlare» si sentì alitare nell'orecchio prima che la lingua prendesse il posto delle parole e gli lambisse il lobo.
Dre si impose di respirare per non succhiarglielo lì davanti a tutti, quindi si allontanò di un passo, lo osservò e sorrise.
«Non aspettavo altro» commentò soddisfatto.