martedì 23 dicembre 2014

Rebirth- I tredici giorni di Alessia Coppola / BLOGTOUR



Rebirth - I Tredici Giorni

Grace incede sul palco, il sorriso le increspa le labbra su una pelle all'apparenza levigata, giovane, fresca. La sua lucentezza risplende solo per il pubblico acclamante, mentre dentro, nell'anima, tutto urla. La stessa anima che sarebbe pronta a migrare verso un ipotetico demone, un ipotetico diavolo. Come Gray, come Dorian e il suo quadro. Cosa darebbe Grace, pur di non cedere al tempo e ai suoi passi inesorabili nel cammino dell'età? Una ruga, una semplice ruga risponderà per lei e sarà un viaggio senza fine verso la salvezza, l'aria fresca per vivere, la fulgida carezza di un amore che non sapeva potesse esistere per lei.
Alessia Coppola entra in punta di piedi nel mondo della narrativa gotica, e lo fa in maniera esplosiva, attingendo alla branca più amata dagli esordienti: l'horror fantasy. Ciò che stupisce, però, è l'innovazione nel cliché di un combattimento eterno tra bene e male. Raccontando un viaggio interiore alla stregua di un rehab, la Coppola vive la sua eroina, mostrandola con le sue debolezze ma anche con la sua impagabile forza. Grace è una diva, ma è anche una donna sola, un'anima fragile eppure forte nella sua determinazione rafforzatasi nel tempo di un'infanzia per nulla semplice. Il rapporto conflittuale con i genitori, troppo ripiegati su sé stessi per pensare davvero al bene dell'unica persona che avrebbero dovuto proteggere persino dalla Morte, determina nella protagonista un'evoluzione negativa che accresce l'idea sbagliata della supremazia materiale su quella morale. Diviene più importante il lavoro della vita stessa. Il successo è solo un succedaneo dell'affetto che manca, ma Grace non può rendersene conto. Impossibilitata ad amare come non sa neanche di volere, dati i suoi trascorsi, arriva a vendere la sua anima a un demone pur di continuare a rimanere nella bolla alterata delle sue superficiali credenze. Non importa quanto Gary la ami, quanto sia disposto a perdere per lei. Ciò che conta è l'applauso, l'amore del pubblico. Studiando il periodo storico in cui è ambientato il romanzo non si stenta poi a credere alla fattibilità degli eventi. Siamo alla fine degli anni 30, nel pieno focolaio della seconda guerra mondiale. Un uomo, dall'altra parte del mondo, sta promulgando i propri bassi ideali, facendo leva sul pubblico che tanto adora Grace e su cui tanto fa affidamento. La denuncia dell'autrice, pur non essendo palesata in alcun modo, con la scelta del periodo risulta chiara. La massa non sempre sceglie per il meglio e, di conseguenza, non vi è il cosiddetto “posto al sole” laddove risiede la moltitudine. Ciononostante Grace cede alla lusinga dei beni materiali e della carezza delle acclamazioni e Alessia Coppola decide di promuovere la discesa verso la fine dell'eroina omaggiando Oscar Wilde e il suo Dorian, colpevole di aver ceduto alle lusinghe del diavolo distrattamente, senza porre troppa attenzione alle conseguenze delle proprie parole e azioni. Labile è il confine tra omaggio e copiatura: l'autrice rende chiaro il suo intento di ricordare senza attingere a piene mani ed è un merito di pochi.

Questo esordio presenta tantissimi spunti innovativi, tanti sprazzi di intelligente originalità, mai banale o fuori luogo. Le scelte non sono forzate e il declivio verso il fantasy non guasta, ma accresce il grottesco che diventa, forse, ancora più interessante. Personalmente ho adorato il Chronat e la sua cattiveria. Finalmente il malvagio torna a essere tale e ad attentare alla vita del malcapitato. Senza redenzione, senza giustificazioni di sorta che ne determinino una riflessione postuma. Seguendo un po' la credenza religiosa per la quale si diventa animale abbietto nella vita successiva se colpevoli di nefandezze in quella attuale, la Coppola spiega al lettore come la condotta morale sia importante per aspirare alla bellezza eterna piuttosto che alla dannazione del male. Bellissimi gli scenari, le ambientazioni, quasi si potesse cogliere l'atmosfera rarefatta del bianco e nero con cui siamo soliti immaginare gli anni trenta. Le volute di fumo che si levano al di sopra dei caschetti neri e lucidi delle ballerine, il trucco pesante per esaltarne la bellezza, la musica amplificata e gioviale tesa a mitigare momenti oscuri quali il proibizionismo, il conflitto alle porte, il razzismo che imperava in quel periodo nell'America descritta con dovizia di particolari dalla Coppola che da prova di uno studio per nulla approssimato. Il linguaggio è in alcuni tratti ampolloso, forse troppo per il ritmo conferito all'intera opera, comunque piacevole e mai portato all'esasperazione. È un esordio , quello di Alessia Coppola: un ottimo esordio. Non potrà che migliorare, dopo una prova simile, confermandosi non solo una bravissima illustratrice, ma una promettente autrice. E poi, perdonate, se come primo blog tour di Semplice e Lineare ho scelto Rebirth- I tredici giorni, un motivo ci sarà, no? E ora veniamo alle cose serie... Di seguito le regole per poter partecipare al viaggio di Alessia nell'internet librosa, tanti link interessanti e... Lei, nel suo blog interamente dedicato a Grace, il Chronat e Ayku...  






Programma BlogTour

27 Novembre - Presentazione BlogTour e anteprima del libro
1 Dicembre - Booktrailer (Rosie M. Stuart  - DragonflyWings)
4 Dicembre - Personaggi (Alessia B. Nolli - Scrivere mipiace)
8 Dicembre - Ambientazioni (Ilenia Caldarella - Libri di Cristallo)
11 Dicembre - Intervista a Grace (Lettrice Segreta - Le parole segrete dei libri)
14 Dicembre - Intervista autrice (Silver Lu / E scrivere)
17 Dicembre - Estratti
20 Dicembre - Curiosità sul libro (Giovanna Ricchiuti - Un lettore è un gran sognatore)
23 Dicembre - Doppia Recensione (Bianca Cataldi - B. amongthe little women Federica D'Ascani)
28 Dicembre - Video Recensione (Anita Book - L'ora del libro)
2 Gennaio - E tu, cosa faresti se avessi 13 giorni per sfuggire alla Morte? (Miriam Rizzo - Le passioni di Brully)
5 Gennaio - Video Intervista ( Anita Book- L'ora del libro)
7 Gennaio - Estrazione della vincitrice di una copia cartacea di Rebirth autografata dall'autrice. (Sogni di Marzapane)

Regole:
- Iscriversi al blog dell'autrice Anima d'Inchiostro  e al blog ospitante;
- Cliccare G+ e commentare il post;
- Cliccare "mi piace" alla pagina dell'Editore;
- Condividere l'evento sui social;
- Condividere il link del blog dedicato al libro.
- Condividere il link d'acquisto su Amazon



sabato 20 dicembre 2014

1849 di Andrea Franco


1849 (Odissea Digital)
Amare Simonetta, per Patrizio, non è semplice. Non è semplice pretendere l'esclusività di un amore che stato già promesso per l'eternità a qualcuno diverso da sé, impossibile quasi soffocare la gelosia verso chi, per naturale conseguenza degli eventi, dovrebbe soffrirne a ragione. Per quanto si sforzi di essere spigliato e spontaneo nell'esternazione dei propri sentimenti, il capitano di Guardia Civica proprio non riesce a sopprimere l'idea della sua donna assieme al marito. Arrighi vive, è presente nelle vite di entrambi gli amanti e detiene il pieno diritto sul cuore e sul corpo di Simonetta, per quanto lei promulghi sentori avversi. D'altronde Patrizio non dovrebbe neanche pretendere altro, lui che ha sempre condannato suo fratello Luciano per la condotta morale e il suo discutibile amore per quella che ha sempre considerato una semplice meretrice. Ma Elena, colei che ha rubato il cuore poetico dello storpio Luciano, è stata brutalmente uccisa. Perché? E da chi? Intanto Mazzini tenta con ogni mezzo di arginare l'invasione francese, sottostando a voleri che non desidera ascoltare, ingoiando a vuoto antipatie neanche troppo celate. L'unione d'Italia sta prendendo forma e i protagonisti di questa storia ancora stentano a crederlo possibile...

Torna Andrea Franco, forte dei suoi trascorsi in Delos, forte del suo successo in Mondadori. Torna e da prova di saper scrivere, ancora, anche se non ne ha bisogno. Un romanzo ben strutturato, forse troppo accademico, il suo 1849. Lasciando ampio spazio a quella che è stata la storia del nostro Paese, quasi l'autore sentisse la necessità di omaggiare il travaglio che uomini di altri tempi hanno dovuto sopportare pur di uniformare lo stivale sotto un unico nome e colore, Franco narra una vita possibile, un dolore probabile in quello scenario quasi apocalittico che è stato il focolaio del nostro futuro. Ho letto una recensione inerente a questo romanzo e superficialmente mi ha anche trovata d'accordo. Pur non additando in maniera negativa 1849, si rimproverava all'autore una certa sommarietà nell'affrontare la parte romanzata del libro, prediligendo la descrizione quasi minuziosa degli eventi storici del tempo. Effettivamente le storie di Luciano, così come quella di Patrizio, sembrano quasi un espediente per raccontare la storia dell'unione d'Italia, rivelando anche particolari che non tutti conoscono. L'amore tra Patrizio e Simonetta non è appassionato, caratterizzato nel sentimento e nella sua evoluzione. La parte giallistica che vede la dipartita di Elena e la conseguente sete di verità di Luciano non trasmettono tanto pathos quanto un lettore avvezzo a determinati generi richiede. E forse ad Andrea neanche interessava. Come a volte un romanzo erotico diventa tale solo per alcune scene spinte inserite all'interno di un contesto ben più importante in termine di contenuti, così 1849 si prefigge di ripercorrere momenti importanti del nostro passato, intersecandosi quasi per caso con le vite di questi fratelli maledetti, in un modo o nell'altro. Che poi il climax preveda un momento toccante tra i due, poco importa. Ciò che davvero conta è la narrazione di un determinato anno, la cronostoria di un punto cruciale politico e sociale che ha determinato ciò che ora conosciamo e che diamo per scontato. E che, come vediamo, ci permettiamo anche di mandare “a puttane”, dimenticando i retroscena, i passi che hanno solcato le nostre strade, nomi che hanno combattuto tra loro, sputandosi addosso veleni e dissapori, ostentando poteri e lottando contro quelli degli altri. È stato detto che 1849 sembra un libro di storia romanzato. E ben venga, in un momento in cui la storia non interessa a nessuno e in cui l'unico interesse sembra un cliché sentimentale che decentra l'attenzione da problemi reali che i potenti preferiscono oscurare per non doverlo fronteggiare. Insomma, Andrea Franco lavora bene e il suo 1849 deve essere letto. E ha fatto bene anche a me, che di quel periodo non ricordavo quasi nulla.

mercoledì 17 dicembre 2014

Lo strappo di Paola Renelli


Lo strappo
Quando per Julie è diventato stantio il rapporto con Philippe? In quale momento ha ascoltato la nota stonata suonare in maniera discordante nella melodia del suo amore? Eppure gli anni accanto all'uomo non sono stati pochi, corsi come acqua sotto i ponti, fluttuanti e sinuosi come possono esserli quelli contraddistinti dalla serenità e pacatezza di una sicurezza donata e mai, forse, guadagnata. Concedere il proprio corpo ad Alex è per la donna, quindi, un atto di passione o di anarchia verso quello che vede come un debole riflesso della vita che vorrebbe condurre? La passione, la voluttuosa concretezza di un amplesso senza freni nella libertà della trasgressione divengono presto cardini necessari sui quali si impernia la vita stessa di Julie. Ogni suo pensiero, ogni suo più recondito desiderio recante un singolo movimento è legato indissolubile all'uomo che di lei non si cura se non durante i loro attimi di irrefrenabile godimento. Alex è divenuto il mondo di Julie, nonostante Philippe, nonostante l'amore.
Paola Renelli arriva con Lo strappo, forte della sua duttilità scrittoria, e lo fa in maniera diretta, impattante, priva di infiorettature vane e inutili. Approfittando forse della levatura professionale, la Renelli si concede di parlare in maniera forte, come la sua storia richiede, sicura di non venir giudicata ma criticamente ascoltata, lanciando al lettore la palla per una valutazione obiettiva e oggettiva del suo strappo. Uno strappo dell'anima, prima ancora dell'amore, prima ancora di un bene materiale che rappresenta solo menzogna. E non menzogna nei confronti di un uomo amorevole e ricco di affetto, ma verso sé e la propria coscienza. Il dualismo di cui è vittima Julie, divisa tra l'amore per Philippe e quello morboso per Alex, non è altro che uno scisma del suo io interiore, giunto all'obbligo di una decisione che forse non è pronto a prendere. Chiamata a maturare, a fare il passo di doversi assumere la responsabilità di un sentimento promulgato per anni, Julie chiede di più, come se la vita le stesse fuggendo dalle mani, come se, timorosa di non avere altre occasioni dopo la discesa nella gabbia che è il matrimonio, o la vita stessa, cercasse di divincolarsi da legacci invisibili che rifiuta e cerca, nel contempo, nella bocca di Alex. E allora riscopre la sua natura, che è un po' quella di qualsiasi donna, il suo istinto primordiale di essere posseduta con rudezza da un uomo che non la stima, ma che la tratta solo come oggetto sessuale. Si sente desiderata, ma il suo gioco non è galvanizzante e appagante, e forse per questo ne diventa schiava e vittima. Alex rappresenta l'adolescenza, forse, e il tempo della scoperta di un corpo per tanto ignorato, con i propri bisogni e che scalpita per essere ascoltato. Ecco, credo che il problema di un tradimento nasca proprio dal mancato dialogo e al di là di dissertazioni filosofiche facili, si evince nello strappo una richiesta di comprensione, prima ancora di mera ricerca del piacere. La Renelli non è il D'Annunzio, è cosciente, mentre scrive di Julie, del fatto che Philippe è l'uomo giusto, ma non perché sicuro del suo amore o perché buono, ma perché parte integrante di lei. Più volte la protagonista si stupisce dell'empatia col proprio uomo, e trema davanti alla chiara minaccia di perderlo. Perderebbe sé stessa, non solo il futuro e l'amore vero. Eppure, se solo Alex desse prova di amarla, non ci penserebbe due volte a lasciare tutto ed evadere. Forse. Una sorta di sliding dors, questo strappo, in cui una semplice scelta può pregiudicare il continuo di una vita. L'egoismo non è proprio egoismo, nonostante Julie non esca bene dalla sua storia, nonostante il suo sia un personaggio non propriamente positivo o simpatico. Facile giudicarla, ma obiettivamente vive ciò che tutti, prima o poi, pensano e sentono. L'erba del vicino è sempre più verde, si dice, e Julie desidera mangiarne restando al sicuro nel suo recinto. Come tutti. Il finale del romanzo, in fondo, è esplicativo e rappresenta la scelta, il sacrificio e la piena coscienza delle conseguenze. La Renelli non risparmia parole, gesti, riuscendo a omettere pur mostrando chiaramente. Scritto in maniera incalzante, ogni parola ha una valenza, ogni frase concorre al raggiungimento del finale. Nulla è superfluo, nulla può essere saltato a piè pari e qualsiasi flash back è troppo importante per essere ignorato. Soprattutto, la storia di Julie insegna, rimane nell'anima e lascia quel senso di incompiuto, irrisolto, che volente o nolente qualsiasi persona sente come un sapore amaro in bocca ripensando al passato. Quel “e se...” risuona nella mente, echeggia come un coro angelico, facendo venir voglia di tornare indietro, assaporare un momento passato che non tornerà più. E allora Alex diventa la fugacità della vita, il porto di trasgressione da cui evadere e in cui rifugiarsi quando la vita diventa difficile, quando si desidera tornare bambini e demandare le responsabilità dell'età ai più grandi. La Renelli si dimostra maestra, grande scrittrice, forte e in grado di insegnare perché cosciente. Lo Strappo è assolutamente da leggere. E non lasciatevi impressionare da parole forti che in fondo non sconvolgono, ma rappresentano forme e desideri reconditi o mostrati di chiunque. Nonostante la reticenza nell'ammetterlo.

lunedì 15 dicembre 2014

Mora Selvatica di Elisabetta Motta


Mora selvatica (Youfeel)

Chiunque abbia mai raccolto more è cosciente delle insidie celate tra i rovi. Come un muro posto a difesa del proprio castello, infatti, le spine proteggono i frutti dagli attacchi esterni, consentendo loro di crescere, maturare, divenire polposi e succosi come natura impone. Una volta superato il dolore della puntura, però, si ha libero accesso al raggiungimento della propria golosità ed è in quel momento che il sapore pieno e carnale invade i sensi, esplodendo nella bocca in un tripudio di paradisiache sensazioni che ripagano della fatica appena compiuta. Marco Ravelli è ben cosciente del fatto che il suo percorso, nel tentativo di dimenticare Lori e quindi approdare al dolce frutto che è la pace da un amore concluso, ma non ancora per il suo cuore, è lungo e appena iniziato. Abbandonato da una moglie capricciosa, impulsiva e quasi priva di sensibilità alcuna, Marco non riesce più a tornare a Porto Cervo, teatro del loro rapporto, ed è intenzionato a vendere la splendida tenuta che acquistò per lei anni prima, forte di un magone troppo pressante che non consente neanche di riuscire a respirare senza difficoltà. D'accordo con l'agente immobiliare che gliela vendette all'epoca, quindi, l'uomo si reca sul posto a incontrare l'acquirente. Un'acquirente spietatamente femminile, dai lunghi capelli neri e gli occhi verdi, conturbanti, ammalianti. Ecco che, senza neanche rendersene conto, il passaggio nel rovo del suo percorso verso una libertà psicologica dalla nostalgia amorosa si districa, come per incanto, lasciando intravedere forse la più bella mora selvatica a cui i suoi occhi potranno mai accedere. E sarà l'amore rinnovato, forse addirittura quello vero.

Elisabetta Motta confeziona per noi un romanzo che è un piccolo frutto in questione di stile, scrittura e tradizione. Forte della sua lunga esperienza nel campo del romance, infatti, la Motta descrive magistralmente ciò che una lettrice accanita di questo genere cerca spasmodica in ogni libro. I canoni qui vengono rispettati tutti, senza alcuna esclusione, e l'incanto della favola è assicurato. Marco Ravelli è un facoltoso imprenditore, a cui i soldi non mancano di certo, proprietario di una tenuta in quella che è forse la più bella città marittima d'Italia, Porto Cervo. Giulia Boschi è una donna splendida, vedova da pochissimo, con una disponibilità elevata di denaro che le consente di approdare alla villa messa in vendita dall'imprenditore. Entrambi hanno sofferto ed entrambi celano un dolore ben chiuso nell'armadio, come il più classico degli scheletri ai quali difficilmente è consentito di essere palesati a cuor leggero. La voglia di amore, in Mora Selvatica, e l'inno alla speranza divampano in un rogo caldo e sensuale, proprio dello stile che la Motta adotta per descrivere gli avvenimenti. Non vi è mai vera tristezza, nonostante i temi profondi che vengono toccati, e tutto viene trattato con estrema delicatezza e classe. Il profondo dolore di perdere una gravidanza viene toccato, ma mai approfondito in maniera da appesantire la trama, rendendo morboso un discorso che devierebbe l'attenzione dal quadro principale che è la storia d'amore. D'amore questo libro parla, senza dar spazio al dolore e fornirgli l'occasione di avere appigli al quale aggrapparsi per radicare le proprie radici. La vedovanza, la fine di un rapporto forse costruito su basi sbagliate, la perdita di un futuro quasi prestabilito e la destabilizzazione di punti fermi che una persona, giunta a un determinato momento, sente di dover stabilire, non riescono a intaccare la speranza di fondo che la Motta sottolinea in ogni momento: la felicità è possibile, sempre. Il karma ripaga e non esistono maledizioni, persecuzioni divine o altro, nella vita, se non la voglia di amore e il grido tacito del proprio cuore. Interessante il fatto che il personaggio negativo, che nonostante la dipartita finale sempre tale rimane per egoismo e noncuranza, sia una donna di una cultura differente da quella italiana, come se la Motta prendesse decisamente le distanze dalle donne che abbandonano il focolare domestico per mero capriccio. Non si tratta di patriottismo, ma semplicemente di distanza psicologica, un modo di pensare così lontano dal proprio. Si evince come per l'autrice l'importanza dei valori tradizionali sia alla base di un sano rapporto familiare e nessuno saprebbe o vorrebbe darle torto. Non ci sarebbero le basi per farlo, in ogni caso. Una favola, la sua, che aiuta a distendersi, a rilassarsi, ma a sperare nella bontà d'animo del prossimo, senza riserve alcune. Belle persone a questo mondo esistono ancora, bisogno solo aprire gli occhi e prestare attenzione. O semplicemente leggere oltre le apparenze.

venerdì 12 dicembre 2014

Di morte e d'ambra di Ashara Amati

Di morte e d'ambra (Damster - Eroxè, dove l'eros si fa parola)

Come iniziare una recensione di un libro imparagonabile a nulla di quanto letto fino a ora? Come risultare originale lì dove l'autrice ha già compiuto il miracolo tra le pagine della sua opera? Cosa dire di differente dall'emozione che può scaturire dalla lettura di Di Morte e D'Ambra senza risultare prolissa, inutile, inferiore e incapace di rendere la meraviglia tramite un semplice commento volto a incuriosire voi tutti? Dopo tre volte che inizio e cancello, proverò a incedere lentamente, a differenza della veemenza con cui Ashara Amati catapulta il lettura nel regno di Etra, nei suoi incubi, nel suo timore del fato. Chi non ha conosciuto il mito di Teseo, di Arianna e del Minotauro? Seppur vagamente, visioni di uomini dalla testa di toro, donne dalla chioma fatta di serpenti si intersecano, sovrappongono, restituendo alla mente una visione distorta della storia, quasi si trattasse di un caleidoscopio che da bimbi ci si divertiva a osservare cercando forme sempre nuove. E i miti greci sono un po' così, per chi come me li ha studiati parecchi anni fa. Si ricorda l'incanto delle gesta, l'idea di taluni personaggi, il coraggio ostentato nei caratteri degli eroi. Eppure si coglieva, già allora, una nota stonata. Come se l'eroe non fosse poi così forte e gagliardo, come se i deboli mascherati da mostri sempre deboli fossero. Restituendo una parvenza di realtà alle immagini mitologiche e magiche, proprie di un'epoca che stentiamo a riconoscere come realmente apparsa nel mondo conosciuto, Ashara si inerpica nell'intricato profilo del sentiero che conduce tra Creta e Atene, cantando con infinita delicatezza e inaspettato ardore una visione del mito come pochi sarebbero capaci di evocare senza scadere nello scontato. Di Morte e D'Ambra parte in sordina, da molto lontano, dagli albori di una storia che è forse la più bella di tutta la mitologia greca. Vengono presentati uno a uno i vari personaggi del fitto gioco delle Parche, la loro psicologia, le loro gesta meritevoli di attenzione perché vive e pulsanti nel quadro generale che farà da scenario al dramma dell'unica eroina di tutta l'opera, ovvero Arianna. Pur essendo Teseo e il Minotauro coloro che, negli anni, sono emersi per rimanere impressi nella memoria, è Arianna la vera protagonista del romanzo di Ashara. E rimane tale, pur essendo bastarda, pur essendo quella che verrebbe definita “attrice non protagonista”. Come nella vita reale, l'erotismo è il filo conduttore delle passioni e degli ardori che muovono i personaggi e i loro istinti. Sconvolgente, a tratti anche irriverente per crudeltà e assoluta ruvidezza, l'autrice tesse una visione lungi dall'essere edulcorata della vita greca, delle abitudini, degli usi e costumi dell'epoca, condannando taluni fermamente, senza il minimo ripensamento, e osannando altri. E la correlazione con la condanna del pregiudizio nell'epoca moderna è chiara e lapalissiana. Ashara si scaglia contro la visione maschilistica e bigotta di Teseo, schierandosi apertamente con la bellezza della libertà ostentata nel mondo cretese dove la donna era considerata molto più che ora nella società. Non solo oggetto sessuale la figura femminile, quindi, bensì colei che detiene il potere della procreazione, della sensualità, della femminilità. Forte e capace di prendere in mano il destino di un intero popolo (vedi Acalla e la sua discendenza al trono) la donna era il simbolo della Madre e non a caso ne conservava il fulcro del piacere, quello che poi determinerà il destino di molti. Facendo leva sul sesso, sia questo mosso dall'amore o da meri fini pratici, vengono decretate le sorti di tutte le pedine che concorrono al raggiungimento del climax, che devo dire riesce in maniera magistrale e davvero suggestivo. Ashara coinvolge, stupisce, e fornisce la prova che di talenti ne è piena l'editoria e spesso laddove nessuno andrebbe mai a sospettare. Negli ultimi mesi si è assistito a un incremento della pubblicazione del genere erotico, quasi si trattasse di una fiera alla quale chiunque può partecipare con il proprio banchetto, come se scrivere di amplessi sia semplice quanto fare uno zucchero filato. Ashara Amati arriva proprio quando avevo perso le speranze e lo fa in maniera positivamente scioccante, fornendo spunti, mostrando un'originalità del tutto inusuale, descrivendo senza parsimonia amplessi ricchi, mai stucchevoli, appaganti quanto realistici. Mai preda di snobismo, capace di parlare di perversione senza scadere nel viscido costume di molti, l'autrice mostra usanze e costumi, situazioni che sono in voga dalla notte dei tempi (quella di 50 sfumature non s'è inventata niente e i doppi falli c'erano pure tra gli Egizi) e lo fa in maniera nuova, totalizzante, estremamente fine. Sconvolge il percorso di maturazione di Teseo, il suo crescere nel male e la sua fredda determinazione priva di scrupoli. In un'epoca e n una cultura dove l'uomo davvero aveva pieno controllo e potere, Teseo incarna la perversione, il sottomesso che si riscatta e diviene ancor peggiore del suo aguzzino. Fa riflettere l'involuzione psicologica di Asterio, alias Minotauro, il suo mutamento davanti alle brutture di una guerra sanguinaria e mai umana. Commuove, infine, il personaggio di Arianna perché rispecchiante la donna moderna oltre ogni logica, così dannatamente attuale da lasciar sgomenti. Ci sarebbero milioni di cose da dire riguardo Di Morte e D'Ambra, ma non sarei comunque in grado di trasporre da sola le emozioni provate, le sensazioni molteplici che fanno di Ashara una scrittrice con la s maiuscola. Spero vinca il contest in cui gareggia perché credo fermamente il suo sia il romanzo migliore letto tra tutti e oltre. Ashara merita il cartaceo, curato in ogni particolare, perché il suo è UN LIBRO, diamine!

giovedì 11 dicembre 2014

Prime Catastrofiche Impressioni di Cinzia Giorgio (You Feel)


Prime catastrofiche impressioni (Youfeel)
Dio, di nuovo! Isabella li vede ovunque, in ogni dove e in ogni situazione, anche la più incresciosa. Al bagno, a letto col ragazzo, davanti a una coppa di gelato o nel bel mezzo di una discussione. Elizabeth, Mr Darcy e companatico fanno capolino nei momenti più impensati, dispensando consigli su questo o quello, senza farsi il minimo scrupolo. Eppure dovrebbero saperlo che bisognerebbe chiedere il permesso prima di interrompere questo o quel discorso. Cavoli, ma sono visioni! Possibile che siano così... invasive? Che Isabella sia davvero pazza? Si parla di sindrome di Stoccolma, ma qui la faccenda è seria. Specialmente perché il suo incontro fortuito con Mr Darren somiglia in maniera raccapricciante a quello tra Liz e Darcy nel famoso libro della Austen. E se non fosse poi così un male? Il loro rapporto, di incontri e scontri, sembra mettere per la prima volta d'accordo tutti i personaggi austeniani in un convivio di “Dài, dài, che stavolta è quello giusto”. Giusto? Può Fabio Darren essere l'uomo del futuro? Isabella è titubante, specialmente dopo aver origliato i commenti al vetriolo di quella vipera di Carolina. Sospetta che la vamp abbia un flirt con il bel tenebroso... E se così non fosse?

Cinzia Giorgio confeziona il primo di quello che ha promesso essere una serie ispirata alla scrittrice romance per eccellenza. Jane Austen è una certezza, perché i temi affrontati nei suoi capolavori sono sempre attuali, perfettamente azzeccati in ogni tempo e luogo. E lo sa bene la Giorgio che ci costruisce attorno un romanzo intero, riuscendo alla perfezione a rendere omaggio e a divertire, nel contempo. Non ci si annoia mai, sorvolando pagine e pagine di fine e delicata ironia, pur con qualche inflessione verso il dramma che non danneggia, ma che anzi esalta una scrittura davvero godibile. Isabella è una novella Elizabeth Bennet, ma è anche umana e mortale come tantissime donne, forse anche troppo buone. L'orgoglio, il pregiudizio, sono temi che ricorrono tra le pagine di Prime Catastrofiche Impressioni, ma che permeano nella vita quotidiana di ciascuno, rendendo di fatto il lavoro della Giorgio un delizioso cammeo da leggere, studiare, approfondire per trarre conclusioni non affrettate, ma ragionate. Fa sorridere il rapporto tra sorelle, perché realistico in maniera disarmante. Chiunque non sia figlio unico sa che le diatribe tra fratelli sfociano, il più delle volte, in parole forti che neanche si penserebbe mai di utilizzare, ma che sono dette superficialmente, sfiorando un affetto puro e sincero che è alla base: e guai a scalfirlo in qualche modo, dall'esterno, pena l'annientamento in tronco dell'aggressore. Perfettamente resa la visione snob della ricchezza, perché da qualche parte il pregiudizio che noi comuni mortali abbiamo dei benestanti da qualche parte dovrà pure prendere origine, e Carolina incarna perfettamente la stronza da strangolare per tracotanza e alterigia. Il bel tenebroso, che sulle prime battute è un cafone senza eguali, si rivela essere dolce e affettuoso, bello e quasi impossibile anche solo da sognare, dando forma concreta al messaggio di fondo che recita: le prima impressioni non sempre sono quelle che contano. Siamo stati educati a pensare il contrario, ma una seconda occhiata non fa mai male e la Giorgio lo dice a chiare lettere. Frizzante, per nulla banale, alla stregua di una favola moderna della quale si ha davvero bisogno, Prime Catastrofiche Impressioni da prova di essere un romanzo di tutto rispetto, che distende e fa sognare. E permettetemi... Queste sono le opere che farei leggere alle donne che, dall'alto del loro snobismo, tendono a classificare i romanzi rosa come di serie B. La Giorgio è da poco uscita in libreria con un saggio, mica bazzecole, e fornisce con la sua cultura la prova che bisogna andare a fondo, cercare i messaggi subliminali, scansare i pregiudizi e rendersi conto che a dispetto di tutto, l'essere umano ha bisogno di sognare, di vivere bene e di sorridere senza essere tacciato di superficialità, perché probabilmente superficiale non lo è proprio. E sono contenta di sapere che la sindrome di Ally Mc Beal non appartiene solo a me!http://www.amazon.it/catastrofiche-impressioni-Youfeel-Cinzia-Giorgio-ebook/dp/B00LX6P12M/ref=sr_1_1?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1418299714&sr=1-1&keywords=prime+catastrofiche+impressioni

mercoledì 10 dicembre 2014

Diplomazia di Zahra Owens


Diplomazia
Diplomazia. Jack ha vissuto una vita all'ombra di questa parola e ci ha costruito un'intera esistenza intorno, nella consapevolezza di riuscire nell'intento. Gli studi, l'esperienza, un matrimonio lungo quindici anni. Tutto ha concorso alla riuscita delle sue aspirazioni ed essere diventato Ambasciatore degli Stati Uniti è un traguardo troppo ghiotto per essere vanificato da un imprevisto. A meno che questo imprevisto non sia un uomo imberbe, dallo spirito frizzante e battagliero, sagace e irriverente quanto basta per fare di Jack creta da plasmare. E Lucas incarnerà tutto questo, conducendo un gioco insolito, differente, mettendo a nudo la parte oscura dello statunitense, quel lato che ha sempre sopito e che, latente, lo ha condotto a mentire per anni, A Maria, ai familiari, a sé stesso, perfino. L'amore, quello vero, bussa quando meno lo si aspetti. E non si tratta di un tradimento vero, forse, se decreta l'inizio di una nuova vita, appagante e totalizzante come mai in precedenza.

Da poco approdata al genere cosiddetto M/M, ho divorato il romanzo della Owens, apprezzandone l'erotismo mai volgare e la sapiente cura nel dosare romanticismo e carnale istinto. La storia, lo ammetto, sarebbe anche abbastanza scontata, se trasposta in un generico romance classico, dove uomo e donna si incontrano, si innamorano e tradiscono i rispettivi compagni pur di vivere la passione dirompente. Il discorso di fondo, però, è completamente differente nel momento in cui subentrano canoni differenti dall'usuale. Se la società può anche, forse, chiudere gli occhi davanti a un tradimento, apostrofando l'evento come “possibile”, quando le parti sono di sesso opposto no. Quando a innamorarsi sono due uomini, per lo più facenti parte di una gerarchia tutt'altro che semplice come quella politica internazionale, le implicazioni morali cambiano, a anche di molto. Sulla carta si è portati tranquillamente ad accettare, sempre coscienti del fatto che si sta leggendo una storia, si sta vivendo qualcosa di estremamente irreale. Ma quando la situazione diventa dannatamente concreta, come quella che si trova ad affrontare Jack alle prese con le sue pulsioni differenti, sbagliate forse perché vissuto in un mondo che questo gli ha insegnato, le implicazioni sociali sono imprevedibili. Cosa accadrebbe se due uomini rivelassero la propria omosessualità in un contesto dove anche lo sguardo di un subalterno può diventare minaccioso? Perderebbero il lavoro, gli affetti, la stima altrui. Dovrebbero migrare, cambiare radicalmente stile di vita e mentalità. A questo pensa Jack, prima ancora di comprendere i propri sentimenti verso l'inglese. Prima ancora di averlo baciato, per giunta. Perché l'omosessualità va oltre il semplice concetto di pulsione, amore, passione. L'omosessualità decreta chi tu sia in ogni momento della vita futura. Credo che non sia stato reso al massimo il conflitto interno di Jack, in questo romanzo, né la costernazione effettiva che avrebbero provato taluni amici nell'apprendere della sua omosessualità. Inoltre il fatto che la segretaria personale dell'ambasciatore, per quanto di ampie vedute, capisca fin dal primo incontro, che il suo superiore potrebbe provare attrazione verso un collega appare artificioso perché privo di spiegazioni logiche che, seppur scarne, avrebbero potuto giustificare meglio il suo comportamento. Cariche e passionali le scene erotiche, decisamente coinvolgenti e molto ben descritte. Eccitanti, mai però volgari, le scene di erotismo mostrano e solleticano al punto giusto, senza mai strafare e lasciando quell'acquolina in bocca che tacitamente si richiede a un romanzo del genere. Complessivamente il mio giudizio è molto positivo e quattro stellette ipotetiche la Zahra se le merita tutte.

martedì 9 dicembre 2014

Ciliegio in fiore di Nora Noir (You Feel)


Ciliegio in fiore (Youfeel): In ogni donna si nasconde una sensuale geisha

In silenzio, molto in silenzio, ho acquistato il Ciliegio e mi sono chiusa col pc nell'austerità pacata di una notte buia e tempestosa. Il bimbo dormiva, il marito anche e ho deciso che, per iniziare degnamente un viaggio alla scoperta della femminilità, bisognava che io stessi attenta, in lancio verso il mio io, proiettata nell'avidità di sapere, conoscere, sentire. E Nora Noir non mi ha delusa. Senza smentirmi, senza ripetersi, in uno stile consueto ma dopotutto nuovo perché frizzante al punto di non ritorno, il suo Ciliegio in fiore mi ha avvinta. Come parlando al telefono con una cara amica, ho sentito sciorinare le pagine da una voce guida, quella dell'autrice, mentre mimava consapevole la sua storia, donando l'inflessione giusta alle parole, sporcandole un poco con la cadenza del nord che rende tutto più globale e meno artificioso nell'incedere del racconto. Ho conosciuto Ume, assieme a Bea, sentendomi piccola nel bugigattolo dove insegna e grande nel silenzio della sua arte. Ho conosciuto Alessandro, godendo del suo fascino e bevendo avida i languidi sguardi che lanciava, preda di un desiderio palpabile e impossibile da ignorare. Ho conosciuto Flavia, la sua personalità esplosiva, la sua ambiguità e il suo essere così dannatamente “quotidiana” e stereotipata alla maggior parte delle persone “amiche” vuote, proiettate a velocità supersonica unicamente verso il proprio baricentro immenso e per questo insormontabile. Alterigia, superbia, dolcezza e umiltà si sono dati appuntamento, nella fantasia di Nora, dando vita al romanzo che già sapevamo sarebbe arrivato. Con la Serva di Vienna, con Candy Apple... La Noir era destinata a fare il balzo e, come una vera gatta, nera e sinuosa, è balzata laddove tanti non osano neanche sperare. Approdando in Rizzoli, Nora ha dato prova di meritare ancora prima delle ufficializzazioni. Non ci sono corsie preferenziali, tappe mirate o sotterfugi, nel successo di questa autrice . C'è solo puro talento e la dannatissima voglia di emergere, sacrosanta e meritevole. Tra queste pagine avevo osato immaginare per lei un futuro degno di questo nome, e le mie parole sono state prese in considerazione. Dall'autrice stessa che, contando solo sulle sue forze, forte di uno studio approfondito e di una tenacia forte e dirompente, ha scritto, immaginato, mostrato, narrato. Ha reso il suo lavoro una perla, simile al candore del fiore di ciliegio appena sbocciato e screziato da venature tenui e colorate, talmente delicate da uniformarsi creando una sfumatura unica che stupisce nel suo splendore. Non mi dilungherò sulla storia, davvero ben caratterizzata, chiaramente studiata, perfettamente resa. Non mi soffermerò a parlare del desiderio di femminilità che avvince la lettrice, donandole la forza, se bisognosa, di credere in sé stessa gettando alle ortiche futilità quotidiane che prendono, sovente il sopravvento sui valori giusti e concreti sui quali una vita vera dovrebbe reggersi e basarsi, ovvero l'amore verso sé e gli altri, godendo del poco tempo messo a disposizione dall'unica vita concessaci a questo mondo. Non mi soffermerò neanche sulla psicologia dei personaggi, tanto ricchi e completi da costituire base portante di temi ben più importanti. In questa recensione voglio concentrarmi sull'arte di Nora Noir di scrivere. Troppo spesso sento polemiche astruse, gettate sul banco come basi incoerenti di tesi davvero povere di decoro. Nora Noir se è giunta in Rizzoli lo merita. La sua capacità narrativa supera di gran lunga decine di autrici convinte, dimostrando ancora una volta come sia importante studiare, non cedere alla lusinga della pubblicazione semplice e priva di giudizio autorevole alcuno. Nora ha superato ostacoli, scrivendo, sbagliando e correggendo. Ha fatto la cosiddetta gavetta, ha sudato, ha ricevuto porte in faccia riaprendole una a una. Ora, senza bussare, ha tutto il diritto di portare nelle case dei suoi lettori questo piccolo gioiello erotico, di un erotismo fine e tenue, mai ostentato ma lasciato affiorare a pelo d'acqua come uno scoglio. Si è coscienti delle pulsioni selvagge proprie dell'essere umano, ma non si vivono in maniera animalesca o travolgente. Come una rosa che ai raggi del sole si apre, la sensualità di ogni personaggio si mostra chiaramente ma con leggiadria, lasciando al lettore il compito di immaginare, sentire, assaporare. Giunta al termine del Ciliegio, stordita e assolutamente diversa da quando avevo iniziato, ho chiuso il computer e ho chiuso gli occhi, ascoltando me stessa. Questa sarà la reazione di qualunque persona giunta al termine dal viaggio di Nora. Perché se c'è una cosa che l'autrice riesce a fare, nella sua furba maestria, è entrare nella mente del lettore e rimanerci. Strenuamente, come un folletto, nel non più disperato tentativo di dirgli: fermati e ascoltati. Un momento, solo un momento per te. Prendilo, assaporalo e godi della vita che ti è stata donata. In ogni momento possibile.

venerdì 5 dicembre 2014

RIP di Marco Valenti

RIP (Officina Marziani)

Al è diventato l'amico più caro di Giovanni. Conosce tutto e in base a questo decide cosa bisogni fare, sa di cosa l'uomo necessiti, cosa debba pensare o ricordare. Al è colui che ha osteggiato Giovanni non consentendogli un solo respiro senza la sua ombra a incombere. Eppure è amico, perché forse l'unico che riesca a comprendere gli sbalzi d'umore a cui l'uomo è soggetto. E Luca, il figlio di Giovanni, è costretto a vivere in simbiosi con lui, come se fosse di fatto un altro membro legittimo della famiglia.
Al è dispettoso, suggerendo a Giovanni di alzarsi di notte alla ricerca di cibo, obbligandolo a vedere nelle persone ciò che invece non c'è. Al è tutto, ormai, e ha occupato ogni stanza della casa, ogni loro pensiero, governando ogni singolo movimento fino al nulla. Come sia giunto nessuno lo sa, è solo possibile arginare i suoi effetti devastanti che, come un terremoto, lasciano spossati e annichiliti. Al non è un uomo, come molti stanno pensando. Al è Alzhaimer e ormai Giovanni è nelle sue grinfie da dieci lunghi anni. Come Luca, costretto a una vita che mai avrebbe immaginato.

Marco Valenti è uno scrittore. Ma anche un figlio. Ma anche un uomo con le sue debolezze e i suoi pensieri. Marco Valenti ha scritto le sensazioni, le paure, gli sconforti propri di chi ha combattuto a lungo una lotta impari contro una malattia subdola, capace di attaccare fino a distruggere. Solo chi ha camminato lungo i viali dello sconforto di Al può comprendere a fondo le ansie di quest uomo, costretto a uno spettacolo che tutti rifiutano, a cui nessuno è in grado o vuole partecipare. Come dare torto quando, come giustamente il Valenti ci fa notare, viviamo in un mondo dove è più facile occuparsi del male oltreoceano piuttosto che quello in casa propria? “Vuoi davvero che sia la gente che su facebook ti dice che se non metti il mi piace a un bambino down sei un mostro a doverti comprendere?” E fa riflettere. Dio se fa riflettere. Perché è vero che esiste superficialità nel prossimo. È vero che molti si dileguano davanti a un male, convinti per ipocrisia che a loro non capiterà nulla se prenderanno le distanze. E allora il condannato a morte rimane solo. E allora chi è costretto per natura a doversene prender cura rimane solo. Vedere avvizzire colui che ha donato la vita, osservarlo regredire a uno stato più che infantile, dove un tovagliolo può diventare un telecomando e un bambino un membro della propria famiglia. Leggendo Valenti si intuisce il calvario a cui è costretto un figlio, a cui lui stesso è stato costretto, con cui molti di noi hanno dovuto combattere. Perché l'Alzhaimer non è una malattia che prende e porta via in poco. No, è più subdolo. Al è un fedele amico che si attacca come la gramigna, che distorce aspetti, parole, sogni, ricordi. Al invade tutto, non solamente la mente del malato. E non c'è scampo per chi deve vederlo in azione. Parlo di costrizione perché, anche se molti reputano insensibile e inumano il discorso, è proprio così che il familiare si sente. Non si ha più una vita, per lo meno quella che si è sognata, costretti a un percorso del tutto differente e incentrato alla cura di qualcosa che divora e non lascia scampo. E allora il futuro diventa un buco nero, dove finiscono, per non far più ritorno, soldi, affetti, conoscenze, indipendenza. Si dice che nel momento in cui un genitore sta male si debba dare a lui tutto ciò che ha donato dalla nascita alla crescita. Ed è vero. È giusto. Nessuno calcola, però, i differenti stati di animo che caratterizzano i due eventi. Il genitore sa che il bimbo crescerà, maturerà e diventerà, in un modo o nell'altro, adulto. Il figlio sa' che il genitore non migliorerà, non crescerà, non maturerà. Il figlio sa che la sua lotta è destinata a fallire, che ogni sforzo non varrà a nulla, che nessuno gli dirà bravo alla fine del percorso e che sarà un'agonia dall'inizio alla fine. Solo, oltretutto. I Natali in casa di cura, le feste comandate trascorse tra malati. La solitudine delle notti col pensiero di non uscire vivi da una situazione pressante e pesante, il magone per un pensiero sempre più ricorrente. “Io quella persona non la riconosco più”. Perché si fatica a comprendere che sia così, ma effettivamente il genitore, come una moglie, come un marito, cessa di essere ciò che era in salute, divenendo solo un'ombra in un involucro di carne. Ma, seppur nella solitudine, un familiare deve rimanere in silenzio perché certe cose non si dicono, certi pensieri non si divulgano. Poi c'è la liberazione. E le lacrime sgorgano dagli occhi non per la perdita dell'amato, perché quella si è già vissuta all'inizio della malattia, ma per la liberazione che la sua morte ha portato. Una liberazione che è brutta a dirsi, ma che lascia un sapore amaro in bocca perché la propria vita non sarà mai più come quella del “prima”. Marco Valenti colpisce, trasmette, insegna. Insegna a non voltarsi dall'altra parte, insegna a utilizzare la propria empatia per situazioni più vicine, senza andare dall'altra parte del mondo che: poveri, a loro chi ci pensa? Forte la denuncia contro le istituzioni che, come molti parenti, lasciano soli, fanno diventare avari, suscettibili e cattivi. Forte anche il rimprovero alla burocrazia, lenta e disagiata, carica di cavilli che non hanno ragione di essere, non in determinate situazioni. Inutile dire che RIP lascia un vuoto nello stomaco, un tarlo nella mente, un senso di impotenza che dovrebbe indurre alla riflessione e a una presa di coscienza dura. Ultimo, ma non ultimo, l'invito di sostenere la Comunità di Sant'Egidio, associazione volta ad aiutare, che evidentemente è stata vicina al Valenti durante il bisogno come lo continua a essere per tanti altri dimenticati e abbandonati. La maggior parte dei proventi del diritto d'autore legati a questo libro verranno devoluti a loro, nella speranza che non si sia più soli davanti ad Al o chi per lui. Toccante, emozionante, scritto in maniera chiara, sentita, RIP è assolutamente da leggere.

giovedì 4 dicembre 2014

Quel cucciolo è mio! di Letizia Draghi

Quel cucciolo è mio! (Youfeel): Due cuori e... una ciotola di croccantini



Dio mio, questi proprietari di cani di razza, che impettiti spocchiosi e poco obiettivi sanno essere. Con tutti i canili straripanti di cuccioli abbandonati, guarda tu se una persona deve andare a considerare la lunghezza di una zampa, di un baffo o di una ciocca di peli. Assurdo... E Giorgia è questo che pensa passeggiando per Forte dei Marmi con la sua maltesina al guinzaglio. Vorrebbe sotterrarsi per la vergogna. Lei, proprio lei che rifiuta ogni tipo di considerazione venale legata agli animali, porta al guinzaglio una cagnetta prezzolata come Neve... Ma non è stata colpa sua: la signora Grimaldi è invecchiata, non si è più curata di quel cucciolo e i parenti sembrano essersi dileguati... Che fare, se non adottarla? E innamorarsene, ovviamente? E il cappottino... Dio, è stata anche costretta a mettergli un cappottino, a quello scricciolo peloso, perché in fondo non è proprio per vezzo che si vestono gli animali con le caratteristiche di Neve, è sopravvivenza canina. Insomma, un'animalista come lei alle prese con una cagnolina da esposizione è un evento talmente spassoso per gli amici da renderla quasi la personificazione dell'ipocrisia. E se a questo si aggiunge il fatto che Grandine, maltese esuberante e “figlioccio” di Tornabuoni (figo da paura) decide di montare la piccola Neve paventando una cucciolata a cinque zeri come minimo, la faccenda si complica. Che fare? Cedere alla lusinga del denaro o rimanere fedele alla propria integerrima visione della vita canina? Assecondare le avances dell'imprenditore (che forse imprenditore non è) o rimanere saldamente ancorata a un rapporto stantio con Monsterchef? Giorgia è combattuta, ma guardando gli occhi teneri di Neve capisce di non serbare alcun dubbio riguardo a lei e ai suoi cuccioli... E sarà un'avventura, nel vero senso della parola.

Torna Letizia Draghi, su queste pagine, e non più in Delos nella collana Senza Sfumature, dove l'avevamo lasciata. Reinventandosi, quasi, nel filone chick lit, dove da prova di riuscire a esprimersi nella stessa conturbante maniera dei suoi lavori precedenti, la Draghi ha fatto il salto con “Sotto il segno dei pesci” nella collana You Feel della Rizzoli e torna, confermandosi autrice di tutto rispetto con il suo “Quel cucciolo è mio!”. Siamo a Forte dei Marmi, luogo prediletto dalla scrittrice per l'ambientazione dei suoi romanzi, e Giorgia è una donna normalissima, la classica “comune mortale” che non comprende la psicologia che si muove attorno al pedigree e ai soldi che vedono gli animali alla stregua di un oggetto. Come tanti, del resto. Sprezzante, quasi razzista nei confronti di chi fa della bellezza canina un vanto, la ragazza non conosce e ignora le vere motivazioni e i veri sacrifici che muovono talune situazioni. Come in ogni aspetto sociale, infatti, non bisognerebbe mai giudicare senza vivere ed è questa la filosofia portante della storia di Neve e Giorgia. Come lo è il desiderio di evasione dalla vita quotidiana, stantia, priva di abbrivio. Quanti, in un rapporto stanco, in una relazione giunta al capolinea, si convincono della necessità di accontentarsi, quasi certi del fatto che “è così che deve essere” senza sognare davvero un lieto fine? Tanti. Molto pochi quelli che hanno il coraggio di prendere in mano la propria vita e modificarla radicalmente, guardando in faccia una realtà difficile da digerire. Giorgia viene aiutata dagli eventi, comprendendo quanto Andrea, alias Monsterchef, non sia l'uomo adatto a lei. Una scelta gigiona, che però riesce a scuoterla, inducendola a guardarsi dentro e a combattere la vita con le unghie, capendo anche quanto sia importante la presenza degli affetti. Specialmente a Natale. Specialmente quando le situazioni si fanno difficili e le proprie forze non bastano da sole. Interessante constatare come tutte le protagoniste della Draghi siano completamente sole, senza l'appoggio di una famiglia amorevole alle spalle, come se fossimo tutti uccellini e vigesse la regola “fuori dal nido si è soli”. Bella anche la visione che Letizia ha del genere maschile, rude ma buono, passionale ma arrogante all'apparenza. Leale, Tornabuoni rappresenta l'amore ed emoziona. Con i suoi modi ironici, la sua tracotanza solo ostentata, la pazienza di cercare un quid che non arriva mai... Ironica e frizzante, la Letizia fa sorridere con uno humor forse di stampo anglosassone, che non tende a far sganasciare, ma ridere sommessamente insinuandosi grazie a una trama accattivante e dannatamente realistica. Non ci sono favole, con la Draghi, ma fatti possibili. Raimondo Vianello e Sandra Mondaini trovano i loro doppi in Giorgia e Tornabuoni, quasi a insegnare che in fondo l'amore senza schermaglie non è bello come dovrebbe. Lo scontro, il confronto pressante, la lite e la pace, il rincorrersi per trovarsi e l'emozione di riuscirci... Con un lieve ammiccamento al genere erotico che tanto ha donato alla Draghi e che sfocia, alcune volte, rompendo gli argini della semplice narrativa romantica, Quel cucciolo è mio lo consiglio spassionatamente per trascorrere piacevolmente le ore libere che si hanno a disposizione, impiegando il proprio tempo in maniera spensierata e costruttiva. Un mood al giorno toglie il medico di torno... Semplice e lineare!

martedì 2 dicembre 2014

Nero Eterno di David Falchi

Nero Eterno

Lo strano investigatore è in aeroporto, non è ancora tornato in patria, eppure il telefono squilla insistentemente. Può esistere riposo nell'animo di un uomo avvezzo alle arti oscure e al combattimento delle stesse? Può esistere ristoro dopo la caccia, dopo il combattimento, dopo l'orrore? Per Kiesel no. E Lerner, che si prende gioco di lui bonariamente, senza un reale secondo fine da strambo assistente quale è, forse in fondo è solo preoccupato dall'automatismo con il quale l'uomo sembra aver intrapreso la vita, o il suo continuo. Non deve essere facile convivere con i suoi strani poteri, con le facoltà psichiche che gli consentono di “vedere” e “sentire” le persone nel loro intimo. Per questo, quindi, la telefonata di Guidi giunge quasi scontata. Per questo, nonostante ogni caso sia differente, il committente del nuovo caso non desta particolari preoccupazioni. Fino a quando Kiesel si trova al cospetto della casa dell'uomo. Fino a quando la stessa casa invita allo studio, alla pazienza, alla ritirata persino. E sarà il delirio, un tremendo delirio fatto di paura, corsa, affanno e morte. L'ombra dell'inconsistente essenza dei demoni incomberà gravosa sulle spalle dell'indagatore e nessuno potrà fermare una forza nata nell'ombra e forgiatasi in essa. Nessuno...

David Falchi arriva in Dunwich con un romanzo dalla copertina accattivante, dal titolo penetrante, e buca il pensiero fin dalle prime battute. Solitamente mi tengo alla larga dagli horror moderni, non per spocchia, ma per mancanza generale di originalità. Un'originalità che sembra essere stata perduta parecchio tempo fa, sia in ambito cinematografico, sia letterario. E non è un problema italiano, come molti suppongono, erroneamente e stupidamente aggiungerei, ma credo sia frutto dell'epoca in cui viviamo, erede di grandi che sono stati in grado di inventare in maniera geniale lasciando un compito troppo arduo da svolgere. Ho voluto provare e sono stata ripagata profumatamente. Falchi non solo dipinge la sua narrativa con cura, ma sceglie i colori, dosandone l'intensità, valutando le sfumature cromatiche di ogni situazione in modo che il quadro, nel suo insieme, non sia sbilanciato. Originale, fortemente legato a canoni classici che rappresentano omaggio puro ai grandi maestri, l'autore inventa avvalendosi di uno stile narrativo chiaro, mai banale, forte di una proprietà lessicale buona e per nulla ampollosa come molti invece tendono a ostentare per tentare di emulare, male per altro. Kiesel è una sorta di Dean Winchester (Supernatural) senza la classica vena caricaturale propria del personaggio nel telefilm. Possiede grandi conoscenze e mediante esse combatte l'oscurità. Non si parla di male, qui, ma di Luce e di Oscurità ed è importante perché denota uno studio di fondo dell'autore assolutamente da non sottovalutare. Del classico mondo maligno, per come lo conosciamo, vi è ben poco e non se ne sente la mancanza, gioendo invece per innovazioni di trama da applaudire senza timore. Serio, equilibrato, umano nei suoi cedimenti e tanto imperturbabile nel perseguire i propri propositi, Kiesel è l'antieroe per eccellenza. Un antieroe senza bella è già, davvero, una grande innovazione. Si lasciano da parte inutili distrazioni e si arriva diritti al punto focale che il lettore di horror chiede, assetato di paura, terrore strisciante e mistero. David assolve al proprio compito e lo fa senza usare parsimonia, dosando bene ilarità, data da uno sclaviano Lerner davvero azzeccatissimo e spassoso, e tensione, creando un'alchimia difficile da ignorare nel crescendo della narrazione. Si entra nella villa dei signori Guidi e si deglutisce assieme a Kiesel, spaventati dall'ignoto, mentre con un orecchio si presta attenzione alle indicazioni dell'assistente evitando di toccare qualsiasi tipo di oggetto privi di protezioni. Si vive Nero eterno e si comprende, pagina dopo pagina, il significato del titolo. Un clima di assoluta tensione, quello descritto da Falchi, che non ha nulla a che vedere con cose già viste. È sorprendente il mondo di Lerner, le descrizioni riescono a trasporre l'immaginario proprio del suo mondo e rendono la lettura scorrevole e piacevole nonostante i temi trattati. Leggendo tra le righe è possibile riscontrare una forte filosofia di fondo dell'autore che tende a voler affrontare i problemi di petto, senza evitare gli ostacoli ricorrendo a espedienti semplici e risolutivi. Il concetto risulta estremamente chiaro nel comportamento di Kiesel, così determinato a dare la caccia alla strana creatura che alberga nella villa. E proprio la creatura e la sua natura risultano essere sorprendentemente originali. Creata dall'odio, alimentata dal ricordo che genera astio e sete di vendetta, la creatura muta forma come, nella nostra realtà, l'odio stesso nel tempo diviene altro dall'originale, modificando i suoi contorni pur di adattarsi ai bisogni della mente umana così portata a dover credere in qualcosa anche se questo risulta essere la causa di una possibile morte. E allora non vi sono vinti o vincitori. Il signor Guidi è un perverso maiale, ma sua moglie, silente nell'obbedienza, si rende carnefice a sua volta spinta da una sete di vendetta che non dovrebbe esistere se smorzata nel principio della sua alimentazione. Nel suo orrore, Falchi vede utopia, come se l'esorcizzazione del male inteso come oscurità vedesse la sua totale estirpazione nel convivio di un rispetto agognato e reciproco. Importante la figura femminile, perché intesa in una duplice valenza: quella spirituale e positiva, caritatevole, e quella fisica, più soggetta alla corruzione dell'anima e quindi incline a suscitare reazioni inaspettate addirittura per se stessa. Non si riesce a rimanere impassibili davanti alle sorti dei protagonisti e si patteggia per gli uni e per gli altri, in una corsa contro il tempo che si sente anche solo leggendo, il fiato corto nel giungere alla fine. L'unica nota stonata dell'intera sinfonia di Nero Eterno è il finale, quasi tagliato quasi sicuramente in attesa di un seguito che il lettore comunque richiede a gran voce. E allora, David Falchi, a quando il prossimo appuntamento con Kiesel e Lerner?