Chiunque abbia mai raccolto more è
cosciente delle insidie celate tra i rovi. Come un muro posto a
difesa del proprio castello, infatti, le spine proteggono i frutti
dagli attacchi esterni, consentendo loro di crescere, maturare,
divenire polposi e succosi come natura impone. Una volta superato il
dolore della puntura, però, si ha libero accesso al raggiungimento
della propria golosità ed è in quel momento che il sapore pieno e
carnale invade i sensi, esplodendo nella bocca in un tripudio di
paradisiache sensazioni che ripagano della fatica appena compiuta.
Marco Ravelli è ben cosciente del fatto che il suo percorso, nel
tentativo di dimenticare Lori e quindi approdare al dolce frutto che
è la pace da un amore concluso, ma non ancora per il suo cuore, è
lungo e appena iniziato. Abbandonato da una moglie capricciosa,
impulsiva e quasi priva di sensibilità alcuna, Marco non riesce più
a tornare a Porto Cervo, teatro del loro rapporto, ed è intenzionato
a vendere la splendida tenuta che acquistò per lei anni prima, forte
di un magone troppo pressante che non consente neanche di riuscire a
respirare senza difficoltà. D'accordo con l'agente immobiliare che
gliela vendette all'epoca, quindi, l'uomo si reca sul posto a
incontrare l'acquirente. Un'acquirente spietatamente femminile, dai
lunghi capelli neri e gli occhi verdi, conturbanti, ammalianti. Ecco
che, senza neanche rendersene conto, il passaggio nel rovo del suo
percorso verso una libertà psicologica dalla nostalgia amorosa si
districa, come per incanto, lasciando intravedere forse la più bella
mora selvatica a cui i suoi occhi potranno mai accedere. E sarà
l'amore rinnovato, forse addirittura quello vero.
Elisabetta Motta confeziona per noi un
romanzo che è un piccolo frutto in questione di stile, scrittura e
tradizione. Forte della sua lunga esperienza nel campo del romance,
infatti, la Motta descrive magistralmente ciò che una lettrice
accanita di questo genere cerca spasmodica in ogni libro. I canoni
qui vengono rispettati tutti, senza alcuna esclusione, e l'incanto
della favola è assicurato. Marco Ravelli è un facoltoso
imprenditore, a cui i soldi non mancano di certo, proprietario di una
tenuta in quella che è forse la più bella città marittima
d'Italia, Porto Cervo. Giulia Boschi è una donna splendida, vedova
da pochissimo, con una disponibilità elevata di denaro che le
consente di approdare alla villa messa in vendita dall'imprenditore.
Entrambi hanno sofferto ed entrambi celano un dolore ben chiuso
nell'armadio, come il più classico degli scheletri ai quali
difficilmente è consentito di essere palesati a cuor leggero. La
voglia di amore, in Mora Selvatica, e l'inno alla speranza divampano
in un rogo caldo e sensuale, proprio dello stile che la Motta adotta
per descrivere gli avvenimenti. Non vi è mai vera tristezza,
nonostante i temi profondi che vengono toccati, e tutto viene
trattato con estrema delicatezza e classe. Il profondo dolore di
perdere una gravidanza viene toccato, ma mai approfondito in maniera
da appesantire la trama, rendendo morboso un discorso che devierebbe
l'attenzione dal quadro principale che è la storia d'amore. D'amore
questo libro parla, senza dar spazio al dolore e fornirgli
l'occasione di avere appigli al quale aggrapparsi per radicare le
proprie radici. La vedovanza, la fine di un rapporto forse costruito
su basi sbagliate, la perdita di un futuro quasi prestabilito e la
destabilizzazione di punti fermi che una persona, giunta a un
determinato momento, sente di dover stabilire, non riescono a
intaccare la speranza di fondo che la Motta sottolinea in ogni
momento: la felicità è possibile, sempre. Il karma ripaga e non
esistono maledizioni, persecuzioni divine o altro, nella vita, se non
la voglia di amore e il grido tacito del proprio cuore. Interessante
il fatto che il personaggio negativo, che nonostante la dipartita
finale sempre tale rimane per egoismo e noncuranza, sia una donna di
una cultura differente da quella italiana, come se la Motta prendesse
decisamente le distanze dalle donne che abbandonano il focolare
domestico per mero capriccio. Non si tratta di patriottismo, ma
semplicemente di distanza psicologica, un modo di pensare così
lontano dal proprio. Si evince come per l'autrice l'importanza dei
valori tradizionali sia alla base di un sano rapporto familiare e
nessuno saprebbe o vorrebbe darle torto. Non ci sarebbero le basi per
farlo, in ogni caso. Una favola, la sua, che aiuta a distendersi, a
rilassarsi, ma a sperare nella bontà d'animo del prossimo, senza
riserve alcune. Belle persone a questo mondo esistono ancora, bisogno
solo aprire gli occhi e prestare attenzione. O semplicemente leggere
oltre le apparenze.
Una lettura attenta, puntuale, che mi ha convinto. Non avevo dubbi, del resto, sulla scrittura di Elisabetta Motta e la bella analisi di Federica è un invito a leggere anche il suo romanzo You feel. Entrambi, "Mora selvatica" e "L'istinto di una donna" sono gà nel mio carrello e oggi, ricaricata la poste-pay, saranno finalmente sul mio tablet <3.
RispondiEliminaGrazie Paola! La recensione di Federica mi ha lasciato senza parole. E' bravissima a recensire e questo denota il suo grande talento anche come autrice.
RispondiEliminaOh io ho trovato due signore amiche a Roma, ma prima ancora due grandi autrici. Tutto grazie alla You Feel e questo è un fatto
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