Piove. Diamine, piove e il mare sembra
ostacolare anche il suo cammino verso il rifugio sicuro e asciutto
che è la grotta dei Cappuccini. Inoltre sembra che la sua fedele
amica, ormai vuota dell'alcool che gli ha donato, abbia deciso di
procurargli allucinazioni a non finire. Non può essere altrimenti.
Con un tempo da lupi, come quello, nessuno uscirebbe in mare con una
barchetta da pescatore senza neanche una luce a rischiarare la via.
Si, decisamente ciò che Pino vede, nel suo arrancare verso il
rifugio, non è altro che un sogno sfocato causato da quella
dannatissima bottiglia. E forse è un 'allucinazione anche la donna
che con lui divide il riparo asciutto e sicuro. I lampi ne delineano
il profilo, ma è solo avvicinandosi un poco di più che Pino si
rende conto che la donna è reale, livida, fredda e... morta! Dio, ci
mancava solo questa! Una donna stupenda morta, probabilmente
ammazzata, lì di fianco a lui... Saranno problemi del brigadiere,
non suoi, eppure non riesce a reprimere un grido di profondo orrore.
Siamo ad Amalfi, nel 1817, e
l'ignoranza e la povertà sembrano aver oscurato la bellezza del
luogo esotico e pittoresco che è la cittadina del centro Italia.
Nonostante la pioggia insistente, si riesce a percepire una sorta di
afa che rende i movimenti e i pensieri pesanti, difficili e
terribilmente faticosi. Ed è proprio questo che affascina,
inizialmente, del “Peccato della sirena”. Prima ancora che
Giovanni e Biagio si trovino a fare i conti con quell'ubriacone di
Pino e il suo macabro ritrovamento, Maria Michela Di Lieto, infatti,
riesce con pochissime parole a immergere il lettore nell'Amalfi
criminosa che dipinge, nel buio della spiaggia, con la risacca e la
lieve brezza portatrice di pioggia. Sembra di venir abbagliati dai
lampi e, più tardi, di vedere chiaramente il volto della donna
riversa sulla parete di pietra priva di vita e brutalmente uccisa. Un
giallo prima ancora di un thriller, Il Peccato della Sirena sembra
quasi uno spin off di un caso del commissario Montalbano. Narrato con
la stessa semplicità, chiaro ed esaustivo in ogni sua parte, il
racconto della Di Lieto fa comprendere in pieno perché un opera
della sua autrice sia stata pubblicata, nel 2012, all'interno dei
Gialli Mondadori. Bravura, talento, sapienza nella descrizione dei
personaggi prima ancora che dei luoghi, fanno della Di Lieto
un'autrice che non ha nulla da invidiare ai suoi colleghi più noti
del genere. I suoi dialoghi non sono mai scontati, anzi ricchi di
particolari in grado di fare di una semplice frase una scena precisa
di un ipotetico lungometraggio. Si, perché diciamolo: Il peccato
della Sirena è scritto quasi fosse una sceneggiatura. Il lettore ha
perfettamente in mente i luoghi, i colori e le situazioni in cui si
muovono i protagonisti del racconto, quasi in effetti lo stia vedendo
proiettato su uno di quei muri con il proprio super8 d'epoca. Non
dimentichiamo l'ambientazione storica, che solo accennata all'inizio
del racconto riesce a donare una sfumatura color seppia all'intero
contesto. L'autrice, purtroppo confinata nel limite delle battute
prestabilite dalla collana della Delos, esplode in un piccolo
capolavoro, creando un racconto in grado di donare molto, suscitando
nell'animo il desiderio di leggerne ancora e ancora. Ci si chiede
quando sarà possibile leggere un suo romanzo, data la bravura, ma ci
si accontenta anche delle perle che dona, con saggezza e sapienza,
testimoniando come non bisogni per forza scrivere 400 pagine per
essere incisivi e profondi. Scrivere racconti non è semplice, e
scriverne di tali lo è ancor meno. Decisamente consigliata a
chiunque adori leggere e non soltanto ai fruitori del genere thriller
o giallo, Maria Michela Di Lieto convince fin dalle prime battute.
Insomma, il canto della sirena, per quanto peccaminoso, attrae di
nuovo, come nella storia, senza però condurre alla sventura. La
sirena, questa volta, è portatrice di una storia meritevole di esser
letta e apprezzata.