mercoledì 25 giugno 2014

Il Gran Diavolo di Sacha Naspini



Giovanni De Medici, ultimo Capitano di Ventura. Il Gran Diavolo, un eroe italiano per molti, un arrogante mercenario per altri. Giovanni De Medici, un nome che evoca rigore, rispetto, battaglia. È questo ciò che balena, negli ultimi istanti di presenza tra le fila dell'esercito delle Bande Nere, nella mente del Serparo Marsicano. Negromante, santone, soldato ma anche inquietante indovino mediante le sue bisce, come le apostrofa l'Aretino tra i suoi scritti, il serparo di Cucullo sembra essere nato per servire quel Capitano e la sua stirpe. Un tempo aveva creduto di dover preservare la sua discendenza, mediante progenie, in modo di tramandare la sua sapienza e le sue ricette occulte, frutto di secoli di studi da parte dei suoi avi, non ultimo suo padre. Ma il tempo delle riflessioni è terminato e forse il fato ha avuto in serbo per lui un destino ancora più grande e glorioso. Giovanni De Medici sta morendo, ferito vilmente dalle armi del D'Este, e le Bande Nere sono allo sbando, consce del tradimento di qualcuno tra di loro ai danni del loro mentore, protettore, comandante, genitore amorevole. Giovanni De Medici fu tutto questo? Fu altro, fu qualcosa di grande, di maestoso, di ignobilmente accattivante per le fiere mercenarie ai suoi ordini. Sacha Naspini ripercorre, dalla gioventù, le gesta, prodezze e nefandezze, dell'ultimo Comandante di Ventura che l'Italia conobbe negli ultimi anni tumultuosi del Rinascimento, periodo che in effetti conobbe il suo termine proprio quando le truppe spagnole e tedesche saccheggiarono Roma, evento che probabilmente avvenne proprio per la dipartita del Medici. Con la solita maestria nell'interpretare l'animo umano, nonostante questo sia proprio di un contesto sociale e culturale di molti secoli addietro, Naspini trasporta il lettore nei campi di battaglia, nella mente del condottiero, tra le fila dei soldati rudi e meschini, mettendolo a parte di retroscena, seppur romanzati, che la storia ha teso a nascondere lungamente per non evidenziare quanto vile sia stata gran parte di quella società che avrebbe costituito, poi, l'Italia per come la conosciamo. Intrighi, giochi di potere, uomini utilizzati come pedine di una scacchiera vivente, le guerre erano all'ordine del giorno e la confusione dei tumulti frequenti in suolo italico si evince perfettamente dalle righe che con sapienza Sacha verga per il lettore ignaro. Troppo spesso i romanzi storici narrano di episodi conosciuti, triti e ritriti, sezionati con puntualità chirurgica da dar noia tanto che la prima bellezza del Gran Diavolo è proprio il sapersi discostare dalla moda e indagare oltre, in altri contesti storici forse più interessanti. Il lettore è quasi costretto a studiare il periodo descritto, cercando quanto del romanzo lasci spazi alla fantasia e quanto del narrato risponda a verità. Stupendi i dialoghi tra i soldati, quasi che il Naspini fosse stato presente e si fosse trasformato in semplice cronista di eventi, quasi che l'Aretino, in fondo, si trattasse del suo alter ego. Le descrizioni sono talmente puntuali da rendere il panorama suggestivo e reale e i personaggi hanno una profondità tale, mediante il loro solo parlare, da renderli quasi conoscenti di vecchia data. Tramite gli scritti dell'Aretino, appunto, si è potuto evincere come in effetti fosse presente un serparo marsicano tra le fila delle Bande Nere, assoldato probabilmente in veste di negromante e stregone, e Naspini utilizza questo espediente per trasporre i pensieri e il carattere del Medici, altrimenti celati dalle sue più note gesta belliche. Donando una propria personalità e una propria storia a Niccolò Duranti, l'autore crea forse il carattere più interessante dell'intero libro, perché voce silente di un personaggio dalle sfaccettature vaste e di difficile interpretazione. Sconvolgenti i colpi di scena che, nonostante si tratti di un romanzo storico, riescono a spiazzare l'attenzione riuscendo a suscitare esclamazioni di stupore durante la lettura. Conoscevo Sacha Naspini mediante il romanzo I Cariolanti e avevo adorato il suo modo di narrare e costruire storie e personaggi duri, spietati, talmente crudi da essere dannatamente reali e ho avuto timore, a essere sincera, quando ho saputo del suo romanzo storico edito per Rizzoli. Ho avuto effettivamente paura che avesse sacrificato parte del suo talento in favore del grande salto. La curiosità è stata più grande e ne sono felice, dal momento che ho potuto appurare che quando uno scrittore è tale non esiste svalutazione o sconto al proprio stile. Naspini scrive in maniera sublime e ha dato prova, mediante il suo Gran Diavolo, di essere in grado di poter scrivere la storia di una bolletta della luce riuscendo a entusiasmare il lettore con lo stesso trasporto di sempre. Solitamente recensisco solamente romanzi di autori emergenti ed esordienti, ma concedetemi questa digressione dovuta. Perché Naspini è stato un autore emergente per tantissimi anni, perché ha fatto la gavetta (e che gavetta!) e perché ha dimostrato che sacrificio, costanza e talento ripagano. Dio mio se ripagano! Non posso far altro che consigliare la lettura di questo romanzo, pregando i lettori di fare in modo che il nome di Sacha Naspini emerga ancora di più nel panorama letterario italiano. Lo merita!

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