Giovanni De Medici, ultimo Capitano di
Ventura. Il Gran Diavolo, un eroe italiano per molti, un arrogante
mercenario per altri. Giovanni De Medici, un nome che evoca rigore,
rispetto, battaglia. È questo ciò che balena, negli ultimi istanti
di presenza tra le fila dell'esercito delle Bande Nere, nella mente
del Serparo Marsicano. Negromante, santone, soldato ma anche
inquietante indovino mediante le sue bisce, come le apostrofa
l'Aretino tra i suoi scritti, il serparo di Cucullo sembra essere
nato per servire quel Capitano e la sua stirpe. Un tempo aveva
creduto di dover preservare la sua discendenza, mediante progenie, in
modo di tramandare la sua sapienza e le sue ricette occulte, frutto
di secoli di studi da parte dei suoi avi, non ultimo suo padre. Ma il
tempo delle riflessioni è terminato e forse il fato ha avuto in
serbo per lui un destino ancora più grande e glorioso. Giovanni De
Medici sta morendo, ferito vilmente dalle armi del D'Este, e le Bande
Nere sono allo sbando, consce del tradimento di qualcuno tra di loro
ai danni del loro mentore, protettore, comandante, genitore
amorevole. Giovanni De Medici fu tutto questo? Fu altro, fu qualcosa
di grande, di maestoso, di ignobilmente accattivante per le fiere
mercenarie ai suoi ordini. Sacha Naspini ripercorre, dalla gioventù,
le gesta, prodezze e nefandezze, dell'ultimo Comandante di Ventura
che l'Italia conobbe negli ultimi anni tumultuosi del Rinascimento,
periodo che in effetti conobbe il suo termine proprio quando le
truppe spagnole e tedesche saccheggiarono Roma, evento che
probabilmente avvenne proprio per la dipartita del Medici. Con la
solita maestria nell'interpretare l'animo umano, nonostante questo
sia proprio di un contesto sociale e culturale di molti secoli
addietro, Naspini trasporta il lettore nei campi di battaglia, nella
mente del condottiero, tra le fila dei soldati rudi e meschini,
mettendolo a parte di retroscena, seppur romanzati, che la storia ha
teso a nascondere lungamente per non evidenziare quanto vile sia
stata gran parte di quella società che avrebbe costituito, poi,
l'Italia per come la conosciamo. Intrighi, giochi di potere, uomini
utilizzati come pedine di una scacchiera vivente, le guerre erano
all'ordine del giorno e la confusione dei tumulti frequenti in suolo
italico si evince perfettamente dalle righe che con sapienza Sacha
verga per il lettore ignaro. Troppo spesso i romanzi storici narrano
di episodi conosciuti, triti e ritriti, sezionati con puntualità
chirurgica da dar noia tanto che la prima bellezza del Gran Diavolo è
proprio il sapersi discostare dalla moda e indagare oltre, in altri
contesti storici forse più interessanti. Il lettore è quasi
costretto a studiare il periodo descritto, cercando quanto del
romanzo lasci spazi alla fantasia e quanto del narrato risponda a
verità. Stupendi i dialoghi tra i soldati, quasi che il Naspini
fosse stato presente e si fosse trasformato in semplice cronista di
eventi, quasi che l'Aretino, in fondo, si trattasse del suo alter
ego. Le descrizioni sono talmente puntuali da rendere il panorama
suggestivo e reale e i personaggi hanno una profondità tale,
mediante il loro solo parlare, da renderli quasi conoscenti di
vecchia data. Tramite gli scritti dell'Aretino, appunto, si è potuto
evincere come in effetti fosse presente un serparo marsicano tra le
fila delle Bande Nere, assoldato probabilmente in veste di negromante
e stregone, e Naspini utilizza questo espediente per trasporre i
pensieri e il carattere del Medici, altrimenti celati dalle sue più
note gesta belliche. Donando una propria personalità e una propria
storia a Niccolò Duranti, l'autore crea forse il carattere più
interessante dell'intero libro, perché voce silente di un
personaggio dalle sfaccettature vaste e di difficile interpretazione.
Sconvolgenti i colpi di scena che, nonostante si tratti di un romanzo
storico, riescono a spiazzare l'attenzione riuscendo a suscitare
esclamazioni di stupore durante la lettura. Conoscevo Sacha Naspini
mediante il romanzo I Cariolanti e avevo adorato il suo modo di
narrare e costruire storie e personaggi duri, spietati, talmente
crudi da essere dannatamente reali e ho avuto timore, a essere
sincera, quando ho saputo del suo romanzo storico edito per Rizzoli.
Ho avuto effettivamente paura che avesse sacrificato parte del suo
talento in favore del grande salto. La curiosità è stata più
grande e ne sono felice, dal momento che ho potuto appurare che
quando uno scrittore è tale non esiste svalutazione o sconto al
proprio stile. Naspini scrive in maniera sublime e ha dato prova,
mediante il suo Gran Diavolo, di essere in grado di poter scrivere la
storia di una bolletta della luce riuscendo a entusiasmare il lettore
con lo stesso trasporto di sempre. Solitamente recensisco solamente
romanzi di autori emergenti ed esordienti, ma concedetemi questa
digressione dovuta. Perché Naspini è stato un autore emergente per
tantissimi anni, perché ha fatto la gavetta (e che gavetta!) e
perché ha dimostrato che sacrificio, costanza e talento ripagano.
Dio mio se ripagano! Non posso far altro che consigliare la lettura
di questo romanzo, pregando i lettori di fare in modo che il nome di
Sacha Naspini emerga ancora di più nel panorama letterario italiano.
Lo merita!
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