lunedì 26 ottobre 2015

L'Italia del Duce e il Nord al Sud

C'è una cosa comune nella visione idilliaca del fascismo e del nazismo e questa cosa rese quasi folli i rispettivi capi di governo, perché galvanizzati da un'idea talmente grande di città da essere scambiati facilmente per esaltati. Questa nota che metteva in relazione le due dittature si riassumeva in una sola parola: Roma. Della serie: l'impero romano colpisce ancora.
Ah, questi romani, conquistatori grandi e forti, colonizzatori indiscussi e dall'architettura che ancora oggi resiste in varie parti del mondo.

Ovviamente, se si deve essere grandi, si cerca di ispirarsi ai migliori: gliene fareste un torto a quei due lì? Assolutamente. Ciò che interessa le città lavoro e l'architettura che Gentile chiamò "fascismo di pietra" è ciò che forse più di tutto decretò il positivo di quel governo passato di cui ancora notiamo gli effetti oggi. In Italia, per lo meno. Della Germania, adesso, poco ce ne importa.


Il Duce, appena insediatosi, iniziò subito a promulgare le sue personali visioni di gloria e grandezza e bisogna riconoscergli il merito del carisma e dell'effettiva laboriosità della sua mente che in effetti concretizzò un bel po' di cose per tutta la penisola. Tra palazzi, istituzioni, leggi innovative (ragazzi, gli va riconosciuto) ci furono anche le cosiddette città lavoro di cui si parlava poc'anzi. In un paese "alla frutta" la creazione di lavoro era vista come un miracolo. Be', ne sappiamo qualcosa di questi tempi, no? Eppure non crediate che le motivazioni del Duce fossero così nobili. Lui voleva una colonizzazione del suolo urbano, dichiarando di fatto guerra alla Roma reale che fino a quel momento era rimasta inerte a osservare il paese uscire dalla Grande Guerra. In rotta anche contro l'urbanizzazione eccessiva, specialmente quella che aveva visto la popolazione rurale riversarsi nelle città, decretando quindi, secondo il regime, un abbassamento della natalità oltre che il dispendio ulteriore di fondi per la creazione di nuove scuole, chiese, ospedali, il Duce promulgò l'importanza della terra e del lavoro nei campi. Una novella Rossella O'Hara italiana con la terra di Littoria tra le mani e lo sguardo perso verso l'orizzonte, insomma.

Fu così, proprio così, che numerose cittadine videro la luce, vedendo il trasferimento dell'intero Nord al Sud e quasi mai viceversa. Tra tutte, molta risonanza, anche mediatica, la ebbe la "Pentapoli" pontina, costituita da: Littoria, Sabaudia, Pontina, Aprilia e Pomezia.
Rifacendosi al modello ostiense di bonifica, per mano soprattutto dei Ravennati, il Duce dispose vere e proprie città lavoro che qui dove abito io si tradussero principalmente nell' Azienda di Maccarese. Quasi tutti veneti e lombardi, con una spruzzata di abruzzesi qui e lì (a Fiumicino, per esempio, sono tantissimi i napoletani) i contadini assunti rivoltarono e abitarono queste terre, dando vita alle città che tutt'ora viviamo.

E quando dico che le viviamo ancora oggi, intendo dire che in molti posti sembra essere rimasti cristallizzati agli anni 30. Come a Maccarese, paese in cui di romani romanacci ce ne sono ben pochi. Strano, vero? Eppure nessuno lo sa. E mi viene da ridere quando si parla di differenza tra nord e sud, tra la metodologia di lavoro propria dell'Italia del meridione, del mezzogiorno e del settentrione perché, proprio qui, c'è un raccordo di tutte le parti della penisola ed è proprio questo che rende grande e particolare questa realtà.
Adesso capite perché ho voluto scrivere Volevo solo te?
  

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