Bene, oggi è l'ultimissimo giorno dell'anno... Sono mesi che leggo su facebook stati di gente che cerca di fuggire da questo giorno, dall'organizzazione del festone, dalle orde di amici che fanno la stessa richiesta insostenibile "Ao, a regà, ma quest anno che se fa a capodanno?" e tutti li a dire "Boh, ma tanto c'è tempo, che ce dovemo pensà adesso?" Così, in men che non si dica arriva il giorno fatidico e la maggior parte della gente si ritrova impantanata dentro casa di qualcuno che ha avuto il culo di avere i genitori più furbi di loro. Se non si stà in casa, ci sono sempre i veglioni in discoteca, nei ristoranti... Rigorosamente alla lontana dai propri genitori... E invece quest anno ho deciso di trascorrerlo proprio in famiglia l'ultimo giorno del 2013. Genitori e sorelle. Ovviamente con mariti e prole al seguito. Io non posso fare altrimenti, dato che ormai sono diventata una specie di canguro ambulante con tanto di sacca incorporata. E ci metto la casa, dettaglio da non sottovalutare. Ma diciamo anche che non sono mai stata tipa da ristoranti, da discoteche, viaggioni megagalattici alla ricerca della scopata perfetta... Ops, no, scusate, per le bimbe non si chiama scopata, si chiama "serata perfetta in compagnia di un figone assurdo che ci ha volute per la nostra dolcezza, con il quale abbiamo condiviso minuti da sogno sulla pista da ballo e che sicuramente non mi dimenticherà mai, magari mi cercherà e avremo tanti bambini insieme." ... Bah. Sarà che neanche quando ho avuto l'occasione di scatenarmi ho fatto nulla di tutto ciò. Preferii una serata in compagnia di 3 amici fidati in casa loro a chiacchierare fino alle 4 di notte piuttosto che un salto nel buio con una mia amica in uno chalet in montagna di un suo CONOSCENTE... La mia amica alla fine non concluse quasi nulla, si ubriacò e cadde vittima del torpore post sbornia. Io così non mi diverto. Ma sono strana io, non lo metto in dubbio! Comunque, tanto per continuare nella mia reiterata stranezza, mi godo un racconto ad hoc, rigorosamente horror (detto da una che lo scorso capodanno si è vista con suo marito Shining... ) e ho deciso di condividerlo con voi. Perché spero fortemente che il prossimo anno sia migliore per tutti, non solo per me, e con l'horror si può continuare a sperare... O no?!
Il
Clochard
Era sporco, i capelli
lunghi, unti e brizzolati, chiedeva l'elemosina ai pendolari.
Ogni giorno.
Ogni notte.
Ma Ragno non aveva mai
visto il becco di un quattrino, neanche da parte di quelli così
moralisti da sedersi in salotto, la sera con gli amici, disquisendo
sulla povertà vergognosa che popolava la città.
Ipocrisia.
I signorotti che
sorseggiavano vino, mangiavano pasticcini e tè alle cinque del
pomeriggio, sempre agghindati a festa dal mattino alla sera... Le
signore dai bei capelli acconciati e profumati, i trucchi variopinti
e i capi firmati che indossavano...
Quella era la feccia
della società, individui da scrutare dal basso verso l'alto con
espressione disgustata.
Infagottato nelle notti
d'inverno, nei suoi cartoni, aveva adibito a sua dimora un hotel
abbandonato, nel bel mezzo di un quartiere frequentato dagli stessi
ricconi che tanto lo disprezzavano.
Con il calare delle
tenebre, quando tutti erano rintanati nelle loro case al caldo
tepore del camino, Ragno si armava di liquore forte e andava a
coricarsi nella sua reggia, lontano da occhi indiscreti.
A volte riusciva a
portare con sé qualche amica, per passare il tempo o solo per dar
sfogo alle sue voglie represse di uomo di strada.
L'aspetto che aveva non
pregiudicava il fatto che fosse un ottimo amante e fortunatamente le
puttane di strada non si formalizzavano davanti l'odore o la
sporcizia, a quelle cagne bastavano i soldi.
E di quante storie era
venuto a conoscenza durante i suoi incontri a pagamento...
I potenti, che
ricorrevano alle loro mercanzie, i ricchi, con la facciata di uomo
onesto e fedele alla propria moglie, dalla mente perversa e
violenta... Il sorriso si allargava sulle sue labbra ogni volta che
ascoltava un aneddoto su questo o quello, un sorriso di amarezza,
invidia e rivalsa.
I soldi non erano mai
stati un problema, certo non poteva attribuire la sua fortuna
all'elemosina ma non era neanche nella posizione di potersi
lamentare.
Ogni mattina, accanto
al suo fagotto di stracci, trovava un fascio di banconote pronte per
essere spese. Se avesse messo da parte tutti quei soldi di giorno in
giorno, avrebbe certamente avuto tra le mani una piccola fortuna.
E qualcosa aveva nel
doppio fondo degli scarponi, una piccola riserva nel caso al suo
misterioso benefattore capitasse qualcosa.
Povero si, stupido no
di certo!
Una mattina si era
svegliato, intorpidito dal troppo liquore scolato la notte
precedente, e aveva trovato i soldi accanto senza neanche un
bigliettino. Nessun riferimento a persone o motivazioni.
Non ci aveva pensato
molto, comunque, aveva intascato le banconote e si era concesso un
bel bagno di vino per festeggiare.
Prima o poi il suo
benefattore avrebbe chiesto un tributo per la sua generosità?
A volte Ragno pensava a
questa eventualità, ma per paura liquidava il suo lambiccare con “
quando capiterà si vedrà...”
Erano le nove di sera e
le strade erano completamente deserte, essendo inverno e buio pesto.
Era una settimana, poi,
che i lampioni non volevano saperne di accendersi e nessuno ancora
era venuto ad aggiustare la centrale elettrica.
Camminò a lato della
strada, attento a non farsi investire da qualche pirata, e raggiunse
la sua dimora. Sbadigliò al vento, sguaiatamente, senza pensare a
nulla, solo con la voglia di dormire sodo.
Quella mattina aveva
avuto a che fare con un teppista, quello che si definisce un
neonazista.
E di neo aveva di
sicuro il cervello.
Lo aveva pestato a
sangue per gioco o per odio, non sapeva, poi se ne era andato non
prima di avergli sputato addosso insulti e saliva. Era arrivata la
polizia, lo avevano portato in ospedale, dove era stato ripulito e
medicato, poi era stato portato in centrale per le solite formalità
del cazzo e infine, finalmente, era stato lasciato libero.
Ad avere almeno venti
anni in meno, lo avrebbe ucciso come un cane, a quel figlio di
puttana.
Gli doleva tutto, non
c'era parte del corpo che non gridasse dal dolore, ma ora era
davanti casa e si sarebbe sdraiato nel suo letto di cartone dormendo
il sonno del giusto.
Entrò e salì le scale
a chiocciola, arrivò in quella che aveva deciso fosse la sua stanza
e si arrestò di colpa, i brividi lungo tutto il corpo.
C'era un uomo in piedi
accanto la finestra senza vetri.
Un uomo con una
bombetta.
In controluce la sua
figura era alta, snella e sormontata da una lunga veste.
L'uomo si mosse e ruotò
nella mano un bastone appuntito, uno di quelli da lord.
Chi era quel cane che
aveva osato defraudare casa sua?
Ragno strinse i pungi
ma si rese conto che il dolore era troppo intenso anche per quel
semplice gesto.
Si arrese.
Si sedette su uno
sgabello, accendendo una lampada a petrolio, e si voltò verso
l'intruso.
Lo fissò.
Era un bell'uomo, con
dei baffetti curati, capelli neri lisciati dalla brillantina e uno
sguardo ironico con cui lo rimirava.
Il vestito nero
classico, le scarpe classiche anche quelle e un mantello
dall'imbottitura rossa.
Surreale.
Ragno lo guardò a
lungo senza proferire parola e senza che l'intruso desse segni di
impazienza.
“Chi sei?”
La voce, resa roca dal
troppo liquore bevuto, era uscita corredata da sputacchi di saliva
rossa.
Ragno si pulì col
dorso della mano, senza smettere di fissare l'uomo.
“Ti sei curato? Quel
ragazzino te le ha date di santa ragione oggi!”
Che voce...
accattivante!
Il barbone rimase
interdetto e non riuscì a rispondere.
“Non sai chi sono,
dunque... eppure hai incassato il denaro che ti ho offerto senza
problemi...”
Il sorriso sardonico
che gli increspò le labbra, l'uomo pose entrambe le mani sul
bastone da passeggio.
“Eri tu allora? Io
non ti ho chiesto niente...
Grazie...”
“Oh, non c'è di
che... l'importante è che tu ti faccia rispettare caro... Io sono
in grado di aiutarti.
Ancora.”
Il momento del tributo
era arrivato dunque.
“ E come? Mi ci
vorrebbero venti anni in meno...”
“Oh, ma è proprio
questo a cui mi riferivo... e nel tuo ANIMO sai che posso farlo...”
L'adrenalina si sciolse
nelle vene e aumentò di mille i battiti del cuore di Ragno.
La prospettiva di
vendicarsi lo eccitò e gli fece rizzare i peli sulle braccia.
Un timido sorriso si
affacciò sulle labbra, ma una fitta gli ricordò i tagli profondi
nelle gengive.
L'uomo si avvicinò al
barbone, che non si ritrasse, e gli impose una mano sul capo.
Il contatto bruciò.
Il riccone si ritrasse
e Ragno avvertì un gran sollievo ovunque, come si fosse destato da
poco.
Prese una lastra di
vetro li a fianco e vi si specchiò alla luce della lanterna.
Esclamò di gioia nel
vedersi bello, giovane e senza un graffio.
Voltò il capo verso
l'intruso, gli occhi scintillanti e lacrimosi, non conoscendo parole
per esprimere la sua gratitudine.
“C... come hai fatto?
Ma chi sei tu, un diavolaccio?”
“Ci sei quasi... a
dopo le presentazioni, Ragno... ora abbiamo da fare, no?”
Si guardarono e Ragno
cominciò ad avvertire una punta di agitazione, che comunque scacciò
via specchiandosi nuovamente nel vetro.
“ Cosa vuoi in
cambio?”
“Non parliamo ora di
affari, caro... Non credi sia il caso, ora, di vendicarti di quel
ragazzino? Magari l'effetto della mia magia potrebbe svanire in poco
tempo...”
“Potrebbe accadere
davvero?”
“E chi lo sa...”
Ragno si alzò di
scatto, rallegrandosi ancora una volta per l'agilità nelle sue
nuove gambe giovani.
Era deciso, doveva
trovare quel tremendo figlio di puttana e fargliela pagare, fargli
ingoiare la lingua con la quale lo aveva insultato.
“So io dove trovare
chi cerchi, Ragno. Andiamo?”
Il barbone si fidò e
prese la mano dell'uomo nella sua, lasciandosi guidare fuori
dall'hotel.
Camminarono a lungo,
vicini e complici, senza parlare.
Giunti che furono
davanti al tunnel dove sostava Ragno di giorno, l'uomo si arrestò
bruscamente e si voltò verso il barbone in trepidante attesa.
“ E' qui.”
Ragno, eccitato, non
rispose nulla e si lanciò di corsa nella stazione della
metropolitana, scavalcando la transenna con la quale era stata
chiusa.
Ed eccolo lì, il
piccolo topo di fogna.
Rideva con i suoi
amici, la sua testa rapata alle luci delle loro torce, fumava uno
spinello incurante del pericolo.
Perché Ragno, quella
notte, sarebbe stato il suo più grande incubo.
Il barbone si avvicinò
cautamente alla piccola combriccola, ascoltando i discorsi deliranti
circa ebrei e froci.
Piccoli bastardi figli
di papà.
Con uno scatto felino,
si portò dietro al corpo del ragazzo e gli sferrò un pugno alla
nuca.
Colto di sorpresa, il
giovane si accasciò a terra, la vista annebbiata dal dolore e le
lacrime negli occhi.
In un attimo barbone e
teppista furono soli.
La comitiva di piccoli
topolini si dileguò in un secondo, spaventata da chissà cosa.
Ragno osservò il
ragazzo riacquistare lucidità e rialzarsi, in guardia, voltando il
capo dalla sua parte.
Il barbone lo scrutò,
livido in volto, sorridendo di rabbia a quell'insulso viziato.
Il giovane osservò il
suo aggressore e cominciò a digrignare i denti, fino a urlare in
maniera bestiale, il sudore freddo incollato alla giacca.
“Stai zitto,
stronzo.”
Ragno si mosse
rapidamente e tirò un calcio tra le gambe del ragazzo che si
accovacciò a terra, stupito. Senza pensare, ascoltando solamente
una voce nella mente, flebile ma nitida, il barbone sferrò un
ulteriore pedata sulla bocca aperta del teppista che sputò tre
denti inghiottendone altri quattro tra urla e gemiti.
La colluttazione
continuò a senso unico finché il barbone, ancora galvanizzato
dalla violenza, prese la lingua sporca e scivolosa del ragazzo e
cominciò a tirare.
Oramai esanime e
completamente coperto di lividi e sangue, la vittima riprese
conoscenza e cominciò a divincolarsi, terrorizzato e con i
pantaloni bagnati di urina.
Gli occhi infuocati dal
furore cieco, Ragno strappò la sua lingua, facendo sprizzare sangue
ovunque, e la ricacciò con un sorriso folle nella bocca del
giovane, svenuto dal dolore e accovacciato a terra.
Ma a Ragno non bastava,
voleva vederlo soffrire e soffocare con gli occhi fuori dalle
orbite.
Lo schiaffeggiò a
lungo finché questo non riprese un minimo di conoscenza.
Al sapore del proprio
muscolo molle e insanguinato tra i denti, la vittima ebbe i primi
conati di vomito acido.
“Troppi spinelli,
bastardo... e troppa birra.”
Il barbone chiuse con
una mano sudicia la bocca al ragazzo, ora impossibilitato a sputare
la sua stessa lingua, e il naso con l'altra impedendogli così di
respirare in qualsiasi maniera.
Lo vide diventare rosso
in volto, strabuzzare gli occhi nel vuoto e osservò il fiotto di
bile che fuoriusciva dalle labbra sigillate.
Lo vide morire nelle
più atroci sofferenze e accolse quel trapasso con un sorriso largo
e soddisfatto, privo di rimorso e colmo, invece, di pazza
eccitazione.
“Allora...
Ti sei vendicato...
Ti senti meglio?”
Ragno sobbalzò e si
voltò fulmineamente, fissando lo statico uomo distinto che gli
aveva fatto dono, poco tempo prima, della forza e della giovinezza.
Lo guardò, addolcì i
lineamenti e rise di gusto, annuendo.
“Bene, molto bene.
Ora veniamo a noi...
Avvicinati.”
Ragno, sempre
sorridente, si alzò non riuscendo, però, a staccare lo sguardo dal
corpo esanime del giovane. Era veramente soddisfatto della sua
vendetta e del modo in cui era stata compiuta. Da tempo non si
sentiva così in forma.
E doveva tutto a quello
strano ospite.
Si avvicinò all'uomo,
pulendosi la bocca col dorso della mano e lisciandosi i capelli unti
e sporchi di sangue fresco.
“Mi devi la tua
anima, Ragno.”
Il sorriso scomparve
dalle labbra del barbone che cominciò a tremare, fingendo di non
aver compreso la frase.
“S... scusa? Non ho
capito bene...”
“Hai capito Ragno,
hai capito molto bene altrimenti il tuo cuore non avrebbe perso un
battito e le tue mani non avrebbero cominciato a sudare.
Mi hai chiesto se ero
un diavolo... Io sono Il Diavolo.
Hai avuto la tua
vendetta, sei tornato giovane per una notte e hai riacquistato la
forza perduta. Lo avevi desiderato dopotutto, no? Io ho espresso il
tuo desiderio e tu ora mi devi qualcosa.
E io voglio la tua
anima.”
Il demone sorrise
sornione mentre Ragno tremava e piangeva.
“Ti prego, fammi
tornare vecchio, fammi apparire di nuovo le ferite... Torna indietro
nel tempo, hai i poteri, puoi farlo, no?”
“Oh, io potrei ma...
non ne ho voglia!”
L'uomo distinto dalla
bombetta stravagante agitò il suo bastone da passeggio e lo puntò
verso Ragno.
Il barbone, gli occhi
sgranati al semplice chiarore delle torce ancora accese dei ragazzi,
cominciò a pregare un dio in cui non credeva.
Tutto pur di salvare la
sua anima nera.
Nera.
Tutto a un tratto una
risata cristallina e quasi infantile invase il tunnel della
metropolitana e una nebbiolina bianca e densa si disunì dal corpo
del barbone accorpandosi al bastone da passeggio.
Il barbone cadde,
ansimante, mentre il Diavolo sorrideva, soddisfatto.
Agitò una mano e una
piccola fiammella comparve ai piedi di Ragno.
Prima che lui stesso ne
potesse prendere coscienza, il suo corpo cominciò a bruciare come
alimentato da benzina. Arse tra le urla, avvertendo ogni singolo
lembo di pelle avvizzire sotto il potere del calore.
Il Diavolo osservò
divertito la scena, poi, quando Ragno si accasciò definitivamente a
terra morto, si avvitò su sé stesso e scomparve.
Il mattino seguente il
capostazione trovò un vecchio arso dal fuoco sotto il tunnel della
metropolitana . Del ragazzo nessuna traccia.
Astri di paura - 0111 edizioni - 2009
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