Sposa del suo amato. Eufrasia freme,
nel suo vestito bianco vaporoso, arrossisce e incede lungo la navata.
Finalmente il coronamento di un sogno, finalmente l'amore dell'uomo
che ha desiderato, agognato dal profondo fin dal primo istante,
combattendo e lottando, come un puma attaccato alla propria preda.
Gli occhi neri, come il felino, la donna è pronta al passo ultimo di
una guerra d'amore contro suo padre, unico ostacolo al suo sogno.
Specchia il suo sentimento negli occhi di Aldo, soldato umile
dell'esercito francese, colui che le ha rubato il cuore, che le ha
catturato l'anima, e ciò che sente è... Solo rancore, tacito
fastidio e profondo astio. Non sente più nessun amore per lui. Lì
davanti a tutti, davanti al parroco, alla sua famiglia, agli
invitati, Eufrasia dichiara il suo diniego a un'unione voluta, forse,
solo per l'ottenimento del rispetto da parte di un padre rude, severo
e autoritario. Colui che aveva sempre disprezzato la sua unione.
Forse se Aldo avesse combattuto per la loro relazione, come aveva del
resto fatto lei durante tutto quel tempo, invece di limitarsi ad
accettare lo sforzo altrui prendendo a piene mani una felicità
piovuta dal cielo ma mai guadagnata... Eufrasia scappa, gettando
disonore sulla casata di appartenenza, generando la rabbia improvvisa
del genitore, cavalcando alla disperata ricerca di una soluzione al
vuoto che sente forte lacerarle le viscere e stillare lacrime amare.
E Venanzio la attende. Oh si, Venanzio sembra sapere esattamente dove
trovarla, come prenderla, in quale maniera concupirla. E lo farà,
anche con un nuovo nome, anche con una rinnovata identità. Perché
Venanzio Sauvage è un assassino, è un ladro, ma è anche colui che
riuscirà a scalfire la corazza di pietra che Eufrasia costruirà,
come una maschera sul suo volto, pur di non soccombere alla tristezza
e al fato.
Francia 1788, primo periodo di
instabilità, formazione del Terzo Stato, assurgere della borghesia a
una sorta di potere che porterà, successivamente, alla rivoluzione
che tutto modificherà del paese nostro cugino. Francia tumultuosa,
dove ognuno inizia a guardare ai propri interessi, in cui i prezzi
dei beni di prima necessità iniziano ad aumentare in favore di una
regalità ottusa e negligente. La nobiltà inizia a subire i primi
cedimenti davanti alla ragione di Stato, conscia, forse,
dell'imminente catastrofe che troverà il suo culmine nell'anno del
79.
Francia rivoluzionaria.
La Francia di Risoli Barbara. Non
esiste, un'autrice più corretta di questa, a mio avviso, per
descrivere un periodo storico dal quale ella stessa sembra esser
appena uscita. Con la grazia del linguaggio che la contraddistingue e
la maestria nell'intessere trame fitte dall'imprevedibile epilogo,
torna la scrittrice dell'Onda Scarlatta e della Stella d'Oro con una
duologia ricca di sentimento e pieno coinvolgimento emotivo. Come in
passato, anche ora la Risoli riesce a emozionare, catturare, vincere
titubanze e scalfire cuori duri come pietre. Sciogliendo nodi storici
perduti in favore dei finali che ben tutti conosciamo, la Risoli si
addentra nei suoi regni perfettamente padrona di ogni angolo delle
città di cui narra, cucendo trame talmente reali da riuscire a
instillare dubbi di veridicità. Con un suo stile ben delineato, mai
differente e per questo simile a una sorta di impronta digitale che
dichiara l'autenticità come un marchio di fabbrica, l'autrice narra
di amore, passione, alterigia e sotterfugi propri di secoli passati
che potrebbero benissimo essere moderni e contemporanei. I rapporti
familiari astiosi, ma dai legami indissolubili del sangue e del
cuore; gli amori sbocciati improvvisamente, senza rigore o
significato apparenti, talmente giusti da destare scalpore nelle
altrui menti... Questi sono soltanto alcuni dei temi ricorrenti tra
le pagine descritte dalla Risoli nei suoi romanzi che, seppur in
maniera differente, tenta sempre, riuscendoci, di gettare acqua su un
fuoco di sentimenti che sovente divampa laddove non si trova dialogo
alcuno tra le parti. Quanto astio e incomprensione ha generato, nel
tempo, il mancato confronto tra conoscenti, parenti o familiari?
Quanti quei rapporti distrutti in favore di uno stupido orgoglio atto
a proteggere una parte che l'uomo troppo spesso considera
intoccabile, ovvero il proprio intimo fragile e incantato? E cosa può
creare la sofferenza dell'oscuro, del non sapere, l'ignoranza di un
sentimento agognato e mai sperimentato? Magari, poi, per paura di
un'ulteriore sofferenza. Magari per mero pudore o vile
accondiscendenza. Ora molti fatti narrati tra le pagine del Veleno
del cuore risultano anacronistici. Non vi sono più genitori che, per
via di un possibile disonore, decidono di sacrificare la felicità e
la libertà del proprio figlio. Non rinchiudendo questi, comunque, in
un convento votandolo a una vita di castità e santità non voluta.
Ma riflettendo bene, nonostante le dinamiche nettamente differenti
nel tempo, i risultati non sono poi così tanto differenti. Infatti
troppo spesso, ancora, si sentono storie di giovani suicidi per paura
e codardia nell'accettare un rimprovero, una punizione o
semplicemente uno sguardo che potrebbe sottolineare una delusione
cocente. È questo forse, al di là di tutto il resto, il messaggio
puro che la Risoli lancia tramite la sua prima opera: il dialogo. Non
vi è ostacolo più grande per il raggiungimento della felicità
nell'unica vita che ci è concesso vivere se non la mancanza di
contatto con il prossimo. Le paure di un confronto possono essere
molteplici, ma l'importanza di instaurare un rapporto sincero, seppur
duro, con i propri figli serve proprio a non imbattersi in situazioni
dal finale tragico e incontrovertibile. Se devo esser sincera ciò
che adoro dei romanzi di Barbara è proprio la voglia di trasmettere
concetti profondi attraverso quelle che sembrano semplici storie di
amori storici, comunque perfettamente descritti e narrati. Lasciatemi
dire, infatti, che Venanzio non disattende affatto le aspettative,
conoscendo i canoni amati dall'autrice, così come fanno la loro
figura i personaggi maschili secondari. Come nell'Onda ricorre la
figura del lavoratore che, pur non avendo la perfezione intrinseca,
guadagna la propria fortuna tramite il sudore della fronte. Vi è poi
la figura del padre autoritario, che pur non trovando da subito
l'empatia con il lettore, si svela per l'essere umano che in fondo è,
con i propri sentimenti celati e le proprie fragilità degne di un
genitore catturato e avvinto dalla quotidianità a discapito del
valore più alto della famiglia, che comunque è sempre pronto a
recuperare nei momenti di maggior sconforto. Le donne, come sempre
nei romanzi della Risoli, poi, danno il senso della forza d'animo,
dell'indipendenza e dell'assoluta capacità di riuscita nei momenti
bui della propria vita senza il bisogno necessario di terzi per il
raggiungimento della propria felicità. L'uomo, per le donne della
Risoli, è semplicemente l'arricchimento della vita, il particolare
necessario alla felicità perfetta, ma non il mezzo per il quale
questa viene ottenuta. La fortuna la si costruisce con le proprie
mani, che si tratti di uomo o donna, indistintamente. Plaudendo
un'ulteriore volta alla bravura di un'autrice a mio avviso degna
delle luci della ribalta, mi appresto a leggere il secondo volume
della duologia che conclude le vicende di Eufrasia e Venanzio,
augurandomi che nel frattempo qualche casa editrice scopra davvero
chi è Risoli Barbara. Un'autrice italiana destinata agli scaffali
delle librerie e non agli e-book autoprodotti su Amazon.
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