Altiero è un professore universitario
stimato dagli studenti, dalla comunità che sovente lo onora di
qualche insigne carica per vari meriti, adorato dai colleghi e dalle
sue vicine di casa e amiche d'infanzia. Altiero è un uomo, prima di
essere un professore, e a suo tempo è stato marito, padre e nonno.
Il problema fondamentale è, forse, rammentare il tempo in cui la sua
vita conobbe il suo vero senso di appartenenza, il reale significato
della presenza nel mondo. Che sia, questo senso, proprio della
prima, della seconda o della terza dimensione. Che padre è stato? E
che marito? Possibile che per anni non abbia mai avvertito la
necessità di indagare, di capire, di comprendere le necessità che
la famiglia da lui formata gli richiedeva quale tributo d'amore?
Amore... Forse è quella scintilla che inizia a ricordare, nel cuore
prima ancora che nella mente, tramite l'ideogramma “Luna d'autunno”
concessa dalla Società Trasparenze. Ideogramma così valido e
rilassante, dato quello che l'ha pagato, da fargli dimenticare
l'ansietà del passato pur riportandolo in auge nel presente.
Ideogramma pur sempre ideato dall'uomo e per questo soggetto ad
avaria, proprio come la mente di Altiero, ormai lla prossima deriva.
Inizialmente titubante, ho tentennato
nella lettura di questo racconto lungo di un'autrice che, per giunta,
non conoscevo, Enrica M. Corradini. Non amo la fantascienza e molto
raramente mi propongo di leggerne, per la poca attrattiva che ne
consegue e che mi spinge, sovente, all'abbandono. Beh, devo dire che
con Pieno di Luna ho iniziato, continuato e terminato la lettura in
un continuo spasmo di sorpresa e riflessione. Del tutto spiazzata,
sono giunta al termine del racconto con la bocca spalancata,
febbrilmente alla ricerca di segnali, in internet, che portassero
alle stesse conclusioni da me raggiunte. Per soddisfazione di aver
compreso, per resa di giustizia a un racconto davvero complesso e ben
scritto, per assonanza e affinità mentale tra scrittore e lettore.
Ebbene, come sovente capita, l'autrice, purtroppo, non è abbastanza
conosciuta da raggiungere un pubblico in grado di apprezzarla nella
maniera in cui dovrebbe. Molti pochi i commenti racimolati, devo dire
comunque positivi, ma fin troppo esigui e non esaustivi come avrei
voluto. Per la prima volta, da quando leggo esordienti ed emergenti,
ho provato l'impulso di voler conoscere l'autore del libro in modo
tale da poter conferire con lui circa il significato di determinati
passi. Seppur inizialmente Pieno di Luna si delinei quale opera di
fantascienza, infatti, ben presto diventa un racconto intimistico,
atto a indagare nei meandri della mente umana, della memoria perduta,
dei giochi che la coscienza compie pur di preservare un minimo di
sanità psicologica al fine di non soccombere al dolore e alla
tristezza. La Corradini testimonia quanto possa diventare intenso e
forte il senso di solitudine dovuto alla morte dei propri cari,
specialmente se colmi di rimorsi per occasioni perdute, affetti non
donati e non palesati, tempo perduto alla ricerca di sé a discapito
della dimostrazione di sentimenti condivisi ma dimenticati. La
famiglia rappresenta, come nella realtà del lettore, una piccola
società concentrata tra poche persone e in uno spazio ristretto come
una casa, forse per questo anche più difficile da amministrare e
tenere da conto. Sovente i vari membri della piccola comunità che
ognuno di noi ha, per scelta o appartenenza diretta, si allontanano
ed estraniano alla ricerca del proprio spazio, per lasciar respirare
il proprio ego e non soffocare sotto parole d'amore o gesti che alla
lunga divengono anche fastidiosi. Il problema dell'indipendenza è il
senso di vuoto e di colpa che si viene a creare quando proprio quei
familiari lasciano il mondo terreno senza preavviso, oppure in
maniera tale da non consentire un'adeguata resa dei conti, un momento
in più per poter dire il “ti voglio bene” perduto nei meandri
del proprio ego. Ed è qui che, credo, venga a collocarsi la storia
di Altiero. Strutturato come una sorta di 1984 di Orwell, Pieno di
Luna è ciò che non desidera apparire. Se superficialmente è un
racconto di fantascienza, con tre dimensioni, rapporti familiari
vissuti e difficili, tendente a dimostrare quanto la vita di un
anziano solo sia difficoltosa, perché accerchiato da ricordi non
sempre positivi, Pieno di Luna racconta anche altro. Mi sono trovata
a chiedermi, durante la lettura, se la realtà descritta fosse come
appariva o se si trattasse di una sorta di “The Others” dove i
morti non sono morti e i vivi non sono i vivi. Se la realtà per come
la conosciamo non fosse vera, ma un ideogramma, come la Luna
d'inverno di Altiero, atta a far vivere all'uomo un'esistenza
differente da quella vera? E se invece la seconda o terza dimensione
descritte dalla Corradini non fossero meri particolari di un racconto
di fantascienza, ma l'idealizzazione della coscienza e della veglia?
Oppure, ancora, si trattassero della sanità mentale contrapposta a
una malattia atta a modificare le linee guida di un mondo che
conosciamo solo per abitudine e non per esperienza pura, perché
privi degli strumenti adatti a discernerne le potenzialità volute
dalla natura? La Corradini ha creato, nel suo Pieno di Luna, un
universo talmente fitto e intricato, mediante una storia che desidera
essere più semplice di quella che è, che il termine della lettura
segna l'inizio di interrogativi millenari, ostici, scomodi ma
avvincenti e superlativi. Pieno di Luna non è un'opera semplice, ma
rientra decisamente nella sfera di quei piccoli capolavori che ci si
chiede come nascano e come si sviluppino. Desiderosi di leggere
qualcosa di davvero innovativo e dannatamente interessante? La
Corradini e il suo Pieno di Luna fa per voi!
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