Martina e Andrea sono morti da due
anni, ma il ricordo che Elga conserva di loro è vivo e presente in
ogni suo giorno. Anche dopo il coma, soprattutto da quando è tornata
a casa, vivendo tra le stesse mura che hanno conosciuto la felicità
dei loro giorni assieme. Martina, la sua bimba dai capelli ramati e
boccolosi, e Andrea, marito esemplare e dall'amore profondo, erano
tutto ciò che rendeva le giornate di Elga degne di esser vissute.
Martina, più di Andrea, in effetti. Ed è per questo che la donna
continua, imperterrita, a perseguire nella tradizione di festeggiare
il compleanno della sua bimba, confezionandole le bambole che tante
ha amato e farcendo le torte che era solita divorare, felice e
contenta nell'amore che le era stato riservato. Portare avanti quella
tradizione è un po' come continuare ad averla vicina. E la bambola
reborn dai capelli neri e gli occhi azzurri che le ha confezionato
quest anno è semplicemente meravigliosa, tanto che Elga quasi
immagina l'espressione estasiata della bimba nello scartare la
scatola di velluto in cui è incartata. Questo evento non avverrà
mai, ma Elga trae conforto solo dal pensiero dell'immaginazione,
l'unica cosa che gli è rimasta da vivere in una realtà scomoda e
densa di solitudine. Non ha chiesto lei di rimanere incolume
all'incidente. E non ha chiesto lei di avere una sorta di stalker che
la segue ovunque vada, inconsapevole, forse, del dramma che la sta
logorando da due anni e che non accenna minimamente a regredire.
Perché Elga è sola e vuole rimanere tale. Nessun amico, né
conoscente, né parente a girarle intorno. Solo lei e il suo universo
fatto di bottega e bambole reborn. Ma la notte del compleanno di
Martina accade qualcosa. Elga, nel sonno, avverte davvero la presenza
di Martina e, nonostante il terrore che l'evento evoca, piange di
gioia, anche se il profumo che avverte non sia della sua bambina. No,
non è di zucchero filato misto a vaniglia. Somiglia all'odore della
terra bagnata. Ma non importa, in fondo. La manina che le stringe il
braccio nel buio è reale, è della sua piccola, non è
immaginazione. Non è immaginazione...
Strisciante, vagamente soffocante e
decisamente inquietante. Ecco come inizia uno degli horror moderni
più belli tra quelli letti ultimamente. Perché Reborn è un horror,
è bello ed è decisamente un romanzo da leggere, godere e divorare.
Non può esser letto centellinando pagine, non ne da possibilità
alcuna. Fin dall'inizio ne appare chiaro il fascino, non lasciando
adito a dubbi di sorta. Una bambola... Cosa c'è di più inquietante
di una bambola? Solo una bambina sconosciuta che penetra in casa
scardinando ogni certezza fin a quel momento acquisita. Non è un
caso che la maggior parte dei film horror di successo abbiano per
protagonisti bambole e bambini. Ma questa mia affermazione non vuole
assolutamente lasciar intendere una trama scontata o priva di
originalità, al contrario. Proprio per la dura prova in cui si
cimenta Miriam Mastrovito, talentuosissima autrice poliedrica
emergente che ho imparato a conoscere nel tempo, fin dai suoi albori
con “L'ultimo rap”, il romanzo Reborn rappresenta una perla che
credo abbia davvero il dovere di figurare in alto nelle classifiche.
Il linguaggio estremamente colto ma mai ridondante, lo stile
narrativo sciolto e capace di avvincere e catturare, i personaggi
credibili e perfettamente descritti affascinano il lettore rendendolo
vittima di un'assuefazione dalla quale è quasi impossibile fuggire.
Si odia, si ama, ci si emoziona e si spera: Reborn è un
caleidoscopio di sensazioni molteplici. Al di là, poi, dell'aspetto
orrorifico dell'opera, oltretutto, ciò che è mirabile è l'alto
tasso di riflessioni a cui è portato il lettore durante il procedere
della storia narrata. Il libero arbitrio, l'ineluttabilità degli
eventi e l'esistenza di Dio contrapposta a un Caos in grado di far
credere cose del tutto prive di fondamenta sono solo alcuni degli
argomenti importanti trattati. L'amore familiare, poi, viene
smembrato e analizzato in maniera quasi chirurgica, svelando
dinamiche impossibili da descrivere ma reali, purtroppo attuali e per
nulla facili da digerire. Le violenze sui minori, la psicologia
infantile e le fratture di una mente messa alla prova dal fato fanno
da cornice, infine, a un romanzo completo, ben scritto e dannatamente
giusto. L'ho adorato, non ho molto altro da dire, anche perché
rischierei di anticipare scene ed eventi che hanno l'obbligo di esser
letti. Mirabile la scena della bambina colta da doppia personalità
nella sua stanza, il fotogramma alla IT in cui il bacio d'amore
diventa un bacio d'orrore... L'ho divorato in un giorno e mezzo e,
dico la verità, ho provato quasi la voglia di averlo scritto io! È
raro mi accada una cosa simile, ma sono sincera. La Mastrovito ha
dato prova di essere una grande autrice e non vedo l'ora di leggere
un suo nuovo horror, decisamente un genere in cui questa meravigliosa
scrittrice sa muoversi davvero con grazia e inaudito talento.
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