lunedì 12 maggio 2014

La Giustizia del sangue di Barbara Risoli



LA GIUSTIZIA DEL SANGUE (Le avventure di Venanzio ed Eufrasia)

Vi è una giustizia nel sangue con il quale si nasce? In epoca moderna forse non più, ma certamente esisteva durante la Francia rivoluzionaria, la Francia del terrore e dell'orrore, dove lo schiavo divenne padrone a suon di omicidi e vili azioni depravate di bestie mascherate da giustizieri. I nobili, ormai messi alla gogna da una sete di perverso senso di libertà, furono banditi proprio per via del liquido blu che scorreva nelle loro vene, viscoso come lo erano state le loro follie lussuose colpevoli, data l'ostentazione, di aver condotto il popolo ignorante al terrore che sfociò nella ben nota lama della ghigliottina. La furia omicida di anni poveri trovò il suo culmine nei primi anni '90. Anni nei quali furono condannati e giustiziati i reali di corte, coloro i quali si erano macchiati di ignavia e sfrontata leggerezza davanti ai reali bisogni di un volgo ignorante e facile preda di contagi ideologici e superiorità oratoria. E fu in questo clima che Eufrasia e Venanzio si mossero, al fine di trarre in salvo l'erede al trono, poco meno che un bambino, dalla crudeltà propria del popolo assetato di perfidia e riscatto. Luigi Capeto, o Carlo, erede bimbo di otto anni, strappato all'amore materno, assieme alla sorella, e costretto a subire le perversioni di sadici maniaci mascherati da promulgatori di leggi giuste ed eque. Libertà, fraternità e uguaglianza sarebbero state, pochi anni dopo, le tre parole fondamentali derivanti da una rivoluzione scaduta nel fango di un sangue versato a fiumi, ma nulla di quei motti fu ravvisabile nel 1793; fu in quell'anno che Eufrasia comprese la vita oltre il lutto di un duplice aborto mai superato e fu in quello stesso anno che Venanzio decise di donare la propria vita in favore dell'unica donna in grado di suscitare in lui un sentimento di profondo amore e rispetto.

Tornano gli eroi neri e crudi del Veleno del cuore, tornano Eufrasia Des Fleuves e Venanzio Sauvage in quello che ha tutta l'aria di essere un romanzo storico che di romanzo sembra non aver nulla. Perfettamente intessuta nelle trame realmente cucite dal tempo, l'opera di Barbara Risoli si innalza sul primo capitolo della saga per stile, linguaggio e assoluta aderenza ai fatti. Più volte, durante la lettura, ci si chiede quanto sia stato inventato dall'autrice e quanto sia stato, invece, creato dalla fantasia perversa e meschina dell'uomo reale. Il bimbo erede morì oppure fuggì alla perversione del vecchio schiavo popolano? Le guardie reali si ribellarono alla rivoluzione, tentando modi e sotterfugi per salvare il salvabile, oppure furono essi stessi parte integrante della follia che imperversò per le strade parigine degli anni bui della rivoluzione? Eufrasia e Venanzio esistettero davvero oppure sono mera fantasia per donare una sorta di aura romantica a ciò che la storia dipinge come atroce e insensato? Come ne La Stella d'Oro, la Risoli riesce a sconvolgere le certezze storiche del lettore, tramite una bravura davvero fuori dagli schemi, scuotendo nervi fino ad allora coperti dagli studi adolescenziali atti a produrre un velo di conoscenza labile e confusa. Lo stile sempre fedele a sé stesso, seppur leggermente differente tramite qualche piccolo accorgimento capace di migliorare qualcosa di apparentemente perfetto già nelle prime battute, l'autrice dona linfa nuova a una storia eviscerata da altri autori, ma mai con la stessa passione e cura. Scrutando, ancora una volta, l'animo umano e le relazioni interpersonali di una famiglia o di un gruppo sociale nel quale dinamiche ideologiche vanno per forza incontrandosi e scontrandosi, la Risoli intesse una trama capace di avvolgere il lettore come una serpe avvinta alla propria vittima. Come nel Veleno del cuore, anche nella Giustizia del sangue la scrittrice indaga e sottolinea l'importanza del dialogo e nel secondo capitolo più che mai. Eufrasia non è più figlia, infatti, bensì moglie e madre, seppur negata da un Dio assente che, ricordiamolo, ricorre sempre nelle opere della Risoli quasi a voler sottointendere un libero arbitrio obbligato dall'ignavia di un Signore al quale dare rispetto per la vita donata. Se nel primo capitolo della saga, quindi, ricorreva l'importanza del confronto tra genitore e figlio al fine di educare, prevenire colpi di testa dati da un'immaturità celata dietro alla ribellione dell'adolescenza e della giovinezza, nel secondo appuntamento di tale duologia il concetto fondamentale è preservare l'amore che ha unito due persone affini in carattere ed eventi. Troppo spesso, maggiormente in epoca moderna, i matrimoni subiscono fallimenti clamorosi proprio a causa di orgoglio, convinzioni errate e mai fugate, dolori inespressi e coadiuvati da una sorta di indifferenza data, forse, dall'incapacità di sostenere lacrime e sofferenze altrui. La centralità di un unione dovrebbe essere composta, appunto, dalla sapienza nell'accettare le debolezze nella coppia, facendole proprie, assumendosene le responsabilità e gli oneri che un matrimonio impone. Troppo spesso la pigrizia di indagare oltre il superficiale, o il terrore di trovare qualcosa che va al di là della propria comprensione, causa delle fratture che col tempo divengono insormontabili e prive di risoluzione. Ed è questo che, neanche troppo velatamente, sostiene la Risoli tramite la coppia Eufrasia-Venanzio. Ma vi è anche l'aspetto contrario, nel romanzo, ed è la fiducia che si può venire a instaurare tra due persone seppur legate da un sentimento nuovo, precoce e privo dell'esperienza data da una conoscenza reiterata nel tempo. Nella coppia Xavier-Lisette, infatti, si assiste alla partenza dell'uomo e alla condiscendenza della donna, uniti da un filo conduttore che è profondo affetto nonché profonda maturità nel fidarsi l'uno dell'altro, affidando al fato la vita di entrambi perché consci di non aver potere su tale aspetto. Dura è la denuncia, invece, che l'autrice muove nei confronti degli uomini deboli, incapaci di provvedere alla propria fortuna se non imbeccati dagli eventi e dalla forza caratteriale altrui. Aldo, così come il nobile Saux, sono personaggi sconfitti, moralmente inutili, nonostante il primo dimostri una certa furbizia, a volte, comunque mal gestita per pigrizia o incapacità. La maternità perduta, infine, svela parte dell'animo femminile che, per quanto forte e indipendente, può subire freni e arresti bruschi perché dolore latente che graffia il cuore quasi attentasse alla vita stessa. Contrapposta a questo sentimento, però, vi è anche la capacità della donna di saper donare il medesimo amore, seppur in maniera differente, ad altre persone, altri bambini, altri innocenti, dimostrando come l'istinto materno possa prevalere sulle parole e le convinzioni di una vita. Insomma, l'ultimo capitolo della saga francese della Risoli è un'esplosione, fuochi d'artificio che illuminano un cielo buio, quello dell'editoria, tentando di far luce sui grandi talenti nostrani che ancora non sono stati portati in alto dalla meritocrazia che agognano e a cui speriamo tutti. Prima o poi accadrà...

Nessun commento:

Posta un commento