Una scarpa è per sempre. No, quello
era il diamante... Eppure sembra che per Cecilia gli unici oggetti in
grado di rivelare l'animo di una persona siano proprio le calzature
che tale individuo indossa. E l'animo non è un particolare
momentaneo. L'animo caratterizza ciò che una persona sente, vede,
ama. Quindi è vero che una scarpa è per sempre. E se tale
affermazione è vera, è reale anche il fatto che una scarpa ideata
da Sanz è eterna. Eterna perché magica, perfetta nel suo insieme,
capace di donare quel tocco che mancava prima che fosse stata
inventata. Insomma, provate a pensare cosa debba significare, per una
tipa come Cecilia, essere invitata alla festa di apertura del nuovo
negozio di scarpe di Steve Sanz. Una gioia delirante che esplode nel
petto, uno svettare verso il cielo anche senza ausilio di tacco
quindici... Ma, come la bella favola di Cenerentola insegna, la festa
sembra quasi irraggiungibile. Vuoi per il vestito che non c'è, vuoi
per le scarpe perfette che Cecilia proprio non può permettersi, vuoi
per le mail di UOMO TRANQUILLO che la gettano nella confusione più
totale... Per non parlare poi delle terribili sorellastre, che nel
caso di Cecilia altro non sono che le sue datrici di lavoro. Due
arpie che la metà basta. La domanda nasce spontanea: riuscirà la
nostra eroina a essere felice? Certamente, ma non contate sul nuovo
vicino di casa, scorbutico e arrogante che...
Mara Roberti. Una scrittrice italiana
che ben poco noto su Facebook, dove gli autori disperati alla ricerca
della CE BIG imperversano, ma che mi ha catturata con il suo modo
spensierato e fiabesco di scrivere l'amore. Un amore semplice, ricco
di emozioni, dove il bello è stupendo e quasi impossibile, ma umano.
Dove la donna è la Cenerentola moderna, con le sue sfortune e le
amicizie assenti, ma forte della proprio modo di essere, fedele a se
stessa ma con il desiderio di migliorare senza cedere al vittimismo.
Oddio, questo quando non ammicca sensuale ai bicchieri di vino nel
pieno del suo pessimismo cosmico, ma ci sta. Devo dire che la lettura
di questo romanzo mi ha riportata indietro nel tempo, al mio periodo
“monolocale/libertà/singletudine”. Dire che ho adorato,
pertanto, questo libro è dire poco. Forse soltanto chi ha vissuto da
solo riesce a comprendere in pieno determinati aspetti del carattere
di Cecilia. Il suo sentirsi sola in una casa enorme, nonostante
inizialmente lei stessa abbia fantasticato su quelle mura pensando
alla gioia di abitarvi dentro. Il particolare di sperare in un
miglioramento della propria vita sola e triste, confidando nella
classica “occasione” in grado di risolvere l'esistenza, e il
sentirsi inadeguati e desiderosi di nascondersi proprio nel momento
in cui questo evento sembra bussare alla proverbiale porta. E poi c'è
la bellissima e struggente sensazione di sognare a occhi aperti, la
semi depressione di sentirsi sole anche in mezzo a tanta gente, il
cercare un legame con persone del passato che reputavamo perfette e
rendersi conto che, forse, si somiglia loro più di quanto non si
pensi. Profondo e toccante il flash back sulla madre di Cecilia.
L'inno alla felicità fatta di piccole cose, che nel linguaggio del
quotidiano diventano cose speciali. La fine dell'amore perfetto e la
conseguente depressione e voglia di evadere, che può colpire
nonostante si siano generati figli, nonostante le responsabilità
spingano a terra. Tenero, poi, il rapporto materno che Cecilia ha con
la portinaia, alias fata madrina, che ricorda tantissimo l'affetto
che molte vicine attempate dimostrano alle ragazze che vivono sole e
per le quali sentono un legame che va al di là del rapporto
consanguineo.
Questo romanzo è ricco di riflessioni,
di psicologia tenera ed elementare che però risulta vera in maniera
disarmante. Chi ha mai pensato a cosa vogliano dire un paio di scarpe
indossate da una persona in un dato momento? Eppure non è forse vero
che proprio grazie a questo oggetto spesso ci sentiamo meglio? Più
belle, più forti. Come indossare un paio di occhiali se si è
timidi. Il meccanismo è lo stesso. E Mara Roberti indaga nell'intimo
del lettore, mediante la sua analisi “scarpesca”, costringendolo
a pensare e riflettere sul proprio carattere e sul proprio modo di
essere con gli altri. Interessante il fatto che l'autrice non faccia
mai menzione delle scarpe delle amiche, nel momento in cui le
descrive. Forse perché quelle, a differenza dei fidanzati o dei
conoscenti, molte volte si “ritrovano” tra capo e collo, senza
una reale spiegazione. Amiche né buone né cattive, semplicemente
amiche che ci sono da anni e che rimangono lì, impigliate tra un
assenso e un sorriso.
Vogliamo parlare del bello? Di Stefano,
il vicino, che pur essendo un arrogante bellimbusto, è un figo
pazzesco con il quale qualsiasi donna uscirebbe almeno una volta
nella vita? Chi non sognerebbe di rimanere chiusa in ascensore con
lui, se le conseguenze sono quelle vissute dalla protagonista? Io,
nonostante il matrimonio e il bimbo, un pensierino ce lo farei
volentieri!
Insomma, questo è stato un romanzo
davvero divertente, gustoso e per nulla “già visto”. Scrivere
d'amore in questo modo, così vicino a quegli Harmony che tutti
bistrattano, ma che tutti continuano a leggere, credo fermamente sia
un'arte.
Un'arte non di tutti.
Ma per tutti.
Nessun commento:
Posta un commento