Una puttana. Abbordare una puttana è
la scelta più semplice per un serial killer. In fondo, a chi importa
di una puttana straniera? A nessuno! Ed è per questo motivo che
Gianfranco Stavanin se ne va in giro per le strade, le sceglie e le
porta a casa. Per scattare foto. Per fare filmati. Per avere quel
sesso che ha conosciuto per caso e che lo pungola in maniera
perversa. Per provare a sua madre che finalmente ha trovato la donna
giusta.
La verità è che non sono solo
puttane, le donne che cerca, e lo sa lui come lo saprebbe sua madre
se non fosse morta. Sono tentativi. Ogni ragazzo porta a casa la
propria fidanzata, sperando nell'approvazione e nell'accettazione
della propria scelta. Ogni ragazzo cerca la conferma, nei suoi
genitori, di aver fatto bene, di aver agito secondo coscienza e
maturità. E Gianfranco è questo che ricerca in ognuna della sue
“conquiste”. La tanto agognata approvazione di sua madre.
Un'approvazione che, a quanto sembra dal numero di vittime crescente,
non arriva mai. Ciò che pensa suo padre è secondario, perché in
fondo non è lui quello che ha decretato un futuro perverso e ricco
di insoddisfazioni e scatti d'ira nel suo animo. Gianfranco non cerca
uomini su cui riversare la sete d'amore e accettazione di cui si
sente colmo. Gianfranco cerca Maria Amelia, Donatella, sua madre...
Non è semplice entrare nella mente di
un individuo squilibrato, preda dei suoi istinti più nascosti
contrapposti a un'adolescenza ormonale ancora in pieno svolgimento
nonostante l'età adulta. Non è semplice, eppure Andrea Franco ci
riesce. E bene, aggiungo. In un romanzo si impiegano capitoli e
capitoli per rendere la struttura della trama omogenea alla
personalità del protagonista, mentre Franco riesce in poche righe a
fornire qualsivoglia elemento per intuire e comprendere intrecci e
passati. Mediante flash back ben cadenzati, seguendo un ritmo
incalzante proprio del thriller, Andrea racconta e mostra quanto la
mente dello Stevanin fosse immersa in un universo parallelo alla
società che lo attorniava all'epoca dei fatti. E la cosa
affascinante è che l'autore riesce ad accompagnare il lettore nei
sentieri della storia quasi lo prendesse per mano addentrandosi in
una casa degli orrori da luna park anni Novanta. Sembra, in effetti,
di scorgere l'omicida mentre accosta l'auto al marciapiede, parlando
con Gabriella e mostrando alla donna il lato innocente e quasi
scialbo che lo contraddistingue agli occhi dei passanti. Persino
quando viene fermato dalla polizia sembra di sudare con i poliziotti,
in attesa del controllo di routine circa i suoi trascorsi e si
impallidisce di stupore proprio come i due agenti nell'apprendere gli
insospettabili reati di cui Gianfranco è colpevole. Interessante
l'introspezione del personaggio secondo il quale si evince l'odio
verso la figura oppressiva della madre e, nel contempo, la continua
ricerca di approvazione quasi come se la morte di quest'ultima abbia
posto fine alla possibilità di redenzione condannando lo Stevanin a
una continua ricerca insoluta dell'essere accettato con le sue
debolezze e i suoi difetti. Forse, alla fine, non si gioisce neanche
tanto al pensiero che l'omicida sia stato catturato. Forse, alla
fine, si prova compassione per un ragazzo oppresso le cui decisioni
future sono state scelte dalla cattiva condotta genitoriale. Forse,
alla fine, di prova pena per uno psicopatico reso tale dagli eventi.
Però, proprio alla fine, forse si tira anche un sospiro di sollievo
a saperlo in un luogo dove non potrà più nuocere a nessuno.
Il linguaggio utilizzato è diretto,
senza parole arzigogolate per provare chissà quale bravura: il
talento di Andrea Franco non ha bisogno di artefici di alcun genere,
dato che riesce a emergere in maniera tanto lampante persino da un
racconto lungo.
La Delos conferma la ricercatezza nello
scovare autori validi e colmi di talento e io ho trovato un nuovo
scrittore da seguire. E da consigliare!
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