Possibile che le persone non debbano
esser lasciate in pace neanche dopo la loro morte? Possibile che,
anche nella sacralità dei marmi immobili del cimitero di Trespiano,
la perversione debba toccare punti di inaudita violenza? La povera
ragazzina Vittoria Gori è stata quasi trafugata e, certamente,
toccata in maniere poco usuali a ciò che un cadavere richiederebbe,
mentre un ragazzo, pronto a una delle classiche prove di coraggio
indette dalla sua combriccola, è stato quasi ammazzato proprio in
mezzo al cimitero, lasciato agonizzante alle porte della cappella
della giovane. Cosa diavolo sta succedendo a Firenze? Perché, ora,
sembra vi siano trafficanti di salme e necrofili pronti a saziare le
proprie infide voglie su corpi inermi come quello dell'innocente,
quanto rinomata, ragazzina? Settembrini, il vicecommissario della
Regia Questura, se lo chiede interdetto, aggrottando la fronte, nel
suo incedere quasi claudicante tra i marmi, nella sua andatura resa
lenta e instabile da una vecchia ferita di guerra. Di certo non si
metterà a correre per inseguire i colpevoli, per quello sarà
sufficiente la mente abile e scaltra di cui è dotato. D'altronde al
suo servizio ha il Masi e lo Scodellini che in quanto a forza fisica
e d'animo non hanno nulla da recriminare a nessuno. Certo, non si
potrebbe dire la stessa cosa dello Zipolo, ma nessuno può sapere,
fino in fondo, di cosa sia capace il nuovo arrivato napoletano.
Napoletano in terra fiorentina, una cosa quasi da ridere. Ma torniamo
a noi, al reato, al tentato omicidio. Perché a questo, tra poco, si
aggiungerà anche il ritrovamento inquietante del cosiddetto
“Mezzasalma”. Quello si che è un bell'inghippo, per il
Settembrini. Ma poi c'è la strana scomparsa del Tocci, la sua
malsana collaborazione con lo Sterra, il becchino del cimitero, e poi
il Giacomoni e... Mio Dio, tutti questi personaggi in un romanzo solo
senza creare confusione alcuna? Oh si. Oh si, Campani e Cecchini lo
hanno fatto e ne hanno aggiunti anche degli altri, magistralmente,
senza assolutamente divagare in nessun particolare. Beh, a dire il
vero un pochino si, ma solo apparentemente. Ma torniamo nei ranghi,
in modo tale da riuscire a spiegare qualcosa de “I Marmi”.
Spiegare... No, non potrei. Per il semplice motivo che rischierei, a
ogni dettaglio, di rivelare parti interessanti e salienti di un
romanzo che sembra costruito a tavolino pezzo per pezzo. Narrata con
una maestria quasi inaudita, la storia de I Marmi incastra, come in
un complesso puzzle, pagina dopo pagina, tasselli indispensabili alla
risoluzione di un caso ancor più grande di quello che si intuisce
fin dalle prime pagine. Ambientato nei primi anni venti del secolo
scorso, subito dopo la marcia su Roma, nel pieno fulgore di un
fascismo pronto a inerpicarsi, come un'edera, per i muri di un'Italia
ancora sofferente per la guerra passata, I Marmi testimoniano la
realtà di una Firenze normale, una Firenze scaltra, per alcuni versi
cattiva e insensibile, ma densa di una dignità perduta nel tempo.
Come fece il Gadda anni prima, riprendendo una struttura linguistica
e stilistica simile, Campani e Cecchini propongono il classico noir,
condito dai vari dialetti che fecero dell'Italia, molto più in
passato che in epoca moderna, quel Bel paese che ancora il mondo, in
qualche modo, ci invidia. Meta di stranieri attratti dalle bellezze
del paese, nonché dalla buona cucina e dalla giovialità, forse in
alcuni casi solo apparente, delle piccole frazioni cittadine,
l'Italia emerge ne I Marmi forse più che di Firenze stessa,
ambientazione scenografica dei fatti narrati. Descrivendo in maniera
acuta, intelligente e puntuale l'avvento del fascio, di un Mussolini
non edulcorato e della Milizia, esercito innovativo atto a
soverchiare la sovranità delle autorità fino a quel momento
centrali e importanti, Campani e Cecchini immergono il lettore in un
mondo quasi in bianco e nero, sfocato, come nei film anni '40. dal
fumo di sigarette altolocate e serie, intellettuali, quasi
legittimate nella loro erudizione. Nel romanzo vi sono tutti i canoni
classici del noir, dalla bella vedova dall'aria misteriosa al vice
commissario integerrimo e incorruttibile, dal sottoposto un po'
fessacchiotto ai poveracci della cittadina, colpevoli di un'ignoranza
atavica. Vi sono i morti e il mistero che vi si cela dentro, i colpi
di scena a non finire e l'assassino strano, deviato, ben differente
da quelli descritti nei gialli d'autore. Forse proprio il luogo
deciso dagli autori per inscenare il loro romanzo rende I Marmi così
originale nonostante il genere quasi scontato. Non è semplice
scrivere noir, proprio per la semplicità con cui si rischia di
cadere nella banalità. Come in un racconto narrato da Lucarelli, ad
esempio nella sua dissertazione circa i delitti del Pacciani, la
storia di Alceo Cori si mescola a quella del Settembrini percorrendo
vie parallele ma congiunte tra loro da linee sottili. Due personaggi
agli antipodi, collegati tra loro soltanto dal luogo d'origine,
dall'ironia feroce di cui si fa vanto, specialmente in taluni casi,
la città di Dante e da un dialetto che riesce a sembrar simpatico
nonostante la brutalità degli atti narrati. Non si riesce a non
sorridere nel leggere i dialoghi tra i becchini del cimitero di
Trespiano. Non si riesce a non essere indignati davanti al Fracassi,
alla sua ampollosità nell'essere così dannatamente fascista e
miliziano, non si riesce a non provare deferenza e rispetto al
cospetto dell'integerrimo Settembrini. La polizia acquisisce di nuovo
quella dignità che, nel tempo, ha perduto, testimoniando come,
assieme ai Carabinieri, l'epoca del secolo scorso fosse
pericolosamente migliore di quella moderna. Nonostante l'avvento
della seconda guerra mondiale, nonostante il potere e i suoi giochi
cattivi e privi di empatia alcuna, leggendo I Marmi si prova
l'indiscussa tentazione di voler scardinare il presente, resettare
l'egemonia della globalizzazione e far tornare le vecchie abitudini,
nonché gli antichi modi pensare e vivere, in auge. I vecchi dicono
ancora oggi “Si stava meglio quando si stava peggio” e leggendo
il Cecchini e il Campani si pensa proprio sia vero. Aldilà del noir,
della bravura e del talento indiscutibile degli autori nel narrare,
nel citare versetti in latino, facendo trasparire una cultura che
raramente, nei tempi moderni, è facilmente ravvisabile negli autori
contemporanei, ciò che davvero cattura del romanzo è la dignità
del popolo italiano che si respira. Che fine ha fatto la gente che
popolava il nostro paese? Le convinzioni, le tradizioni... Tutto
perduto in una nostalgica storia post e prebellica. Ci sarebbero
innumerevoli altre cose da dire, altri dettagli da svelare, altre
angolazioni da sondare attentamente, ma non sarebbe possibile. Perché
I Marmi è, come si suol dire, TANTA ROBBA, e conversarne in questa
sede risulterebbe alquanto riduttivo. Ci sarebbe da analizzare il
dramma nella figura del Cori, la scaltrezza nella bellezza
consapevole della Giunti, la dignità e l'animosità del Settembrini,
la simpatia insita nello Zipolo che, come per i personaggi fiorentini
ed empolesi, possiede un dialetto, quello napoletano che lo rende, di
diritto, privo di scontrosa antipatia. Descrivere dettagliatamente un
romanzo simile sarebbe impresa altresì ardua anche per il linguaggio
estremamente colto e raffinato che scade talvolta, e in maniera quasi
perfetta nella sua puntualità, anche in frasari più dialettali, con
una prosa ruvida e perfettamente rispondente alla situazione.
Insomma, leggere I Marmi mi ha entusiasmato, restituendomi il gusto
della lettura non per mero piacere dell'atto, ma per conoscere e bere
avidamente da una fonte sempre nuova di acqua fresca e pura. Ho
riscoperto la gioia di centellinare le pagine, pregustando il colpo
di scena, gioendo per le vittorie e sorridendo inconsapevolmente
delle digressioni saltuarie. Non posso che consigliare la lettura di
questo romanzo, augurandomi e augurandovi, chissà, di partecipare a
qualche presentazione dello stesso, un giorno.
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