martedì 8 aprile 2014

I Marmi di Carlo Campani e Paolo Cecchini

I marmi


Possibile che le persone non debbano esser lasciate in pace neanche dopo la loro morte? Possibile che, anche nella sacralità dei marmi immobili del cimitero di Trespiano, la perversione debba toccare punti di inaudita violenza? La povera ragazzina Vittoria Gori è stata quasi trafugata e, certamente, toccata in maniere poco usuali a ciò che un cadavere richiederebbe, mentre un ragazzo, pronto a una delle classiche prove di coraggio indette dalla sua combriccola, è stato quasi ammazzato proprio in mezzo al cimitero, lasciato agonizzante alle porte della cappella della giovane. Cosa diavolo sta succedendo a Firenze? Perché, ora, sembra vi siano trafficanti di salme e necrofili pronti a saziare le proprie infide voglie su corpi inermi come quello dell'innocente, quanto rinomata, ragazzina? Settembrini, il vicecommissario della Regia Questura, se lo chiede interdetto, aggrottando la fronte, nel suo incedere quasi claudicante tra i marmi, nella sua andatura resa lenta e instabile da una vecchia ferita di guerra. Di certo non si metterà a correre per inseguire i colpevoli, per quello sarà sufficiente la mente abile e scaltra di cui è dotato. D'altronde al suo servizio ha il Masi e lo Scodellini che in quanto a forza fisica e d'animo non hanno nulla da recriminare a nessuno. Certo, non si potrebbe dire la stessa cosa dello Zipolo, ma nessuno può sapere, fino in fondo, di cosa sia capace il nuovo arrivato napoletano. Napoletano in terra fiorentina, una cosa quasi da ridere. Ma torniamo a noi, al reato, al tentato omicidio. Perché a questo, tra poco, si aggiungerà anche il ritrovamento inquietante del cosiddetto “Mezzasalma”. Quello si che è un bell'inghippo, per il Settembrini. Ma poi c'è la strana scomparsa del Tocci, la sua malsana collaborazione con lo Sterra, il becchino del cimitero, e poi il Giacomoni e... Mio Dio, tutti questi personaggi in un romanzo solo senza creare confusione alcuna? Oh si. Oh si, Campani e Cecchini lo hanno fatto e ne hanno aggiunti anche degli altri, magistralmente, senza assolutamente divagare in nessun particolare. Beh, a dire il vero un pochino si, ma solo apparentemente. Ma torniamo nei ranghi, in modo tale da riuscire a spiegare qualcosa de “I Marmi”. Spiegare... No, non potrei. Per il semplice motivo che rischierei, a ogni dettaglio, di rivelare parti interessanti e salienti di un romanzo che sembra costruito a tavolino pezzo per pezzo. Narrata con una maestria quasi inaudita, la storia de I Marmi incastra, come in un complesso puzzle, pagina dopo pagina, tasselli indispensabili alla risoluzione di un caso ancor più grande di quello che si intuisce fin dalle prime pagine. Ambientato nei primi anni venti del secolo scorso, subito dopo la marcia su Roma, nel pieno fulgore di un fascismo pronto a inerpicarsi, come un'edera, per i muri di un'Italia ancora sofferente per la guerra passata, I Marmi testimoniano la realtà di una Firenze normale, una Firenze scaltra, per alcuni versi cattiva e insensibile, ma densa di una dignità perduta nel tempo. Come fece il Gadda anni prima, riprendendo una struttura linguistica e stilistica simile, Campani e Cecchini propongono il classico noir, condito dai vari dialetti che fecero dell'Italia, molto più in passato che in epoca moderna, quel Bel paese che ancora il mondo, in qualche modo, ci invidia. Meta di stranieri attratti dalle bellezze del paese, nonché dalla buona cucina e dalla giovialità, forse in alcuni casi solo apparente, delle piccole frazioni cittadine, l'Italia emerge ne I Marmi forse più che di Firenze stessa, ambientazione scenografica dei fatti narrati. Descrivendo in maniera acuta, intelligente e puntuale l'avvento del fascio, di un Mussolini non edulcorato e della Milizia, esercito innovativo atto a soverchiare la sovranità delle autorità fino a quel momento centrali e importanti, Campani e Cecchini immergono il lettore in un mondo quasi in bianco e nero, sfocato, come nei film anni '40. dal fumo di sigarette altolocate e serie, intellettuali, quasi legittimate nella loro erudizione. Nel romanzo vi sono tutti i canoni classici del noir, dalla bella vedova dall'aria misteriosa al vice commissario integerrimo e incorruttibile, dal sottoposto un po' fessacchiotto ai poveracci della cittadina, colpevoli di un'ignoranza atavica. Vi sono i morti e il mistero che vi si cela dentro, i colpi di scena a non finire e l'assassino strano, deviato, ben differente da quelli descritti nei gialli d'autore. Forse proprio il luogo deciso dagli autori per inscenare il loro romanzo rende I Marmi così originale nonostante il genere quasi scontato. Non è semplice scrivere noir, proprio per la semplicità con cui si rischia di cadere nella banalità. Come in un racconto narrato da Lucarelli, ad esempio nella sua dissertazione circa i delitti del Pacciani, la storia di Alceo Cori si mescola a quella del Settembrini percorrendo vie parallele ma congiunte tra loro da linee sottili. Due personaggi agli antipodi, collegati tra loro soltanto dal luogo d'origine, dall'ironia feroce di cui si fa vanto, specialmente in taluni casi, la città di Dante e da un dialetto che riesce a sembrar simpatico nonostante la brutalità degli atti narrati. Non si riesce a non sorridere nel leggere i dialoghi tra i becchini del cimitero di Trespiano. Non si riesce a non essere indignati davanti al Fracassi, alla sua ampollosità nell'essere così dannatamente fascista e miliziano, non si riesce a non provare deferenza e rispetto al cospetto dell'integerrimo Settembrini. La polizia acquisisce di nuovo quella dignità che, nel tempo, ha perduto, testimoniando come, assieme ai Carabinieri, l'epoca del secolo scorso fosse pericolosamente migliore di quella moderna. Nonostante l'avvento della seconda guerra mondiale, nonostante il potere e i suoi giochi cattivi e privi di empatia alcuna, leggendo I Marmi si prova l'indiscussa tentazione di voler scardinare il presente, resettare l'egemonia della globalizzazione e far tornare le vecchie abitudini, nonché gli antichi modi pensare e vivere, in auge. I vecchi dicono ancora oggi “Si stava meglio quando si stava peggio” e leggendo il Cecchini e il Campani si pensa proprio sia vero. Aldilà del noir, della bravura e del talento indiscutibile degli autori nel narrare, nel citare versetti in latino, facendo trasparire una cultura che raramente, nei tempi moderni, è facilmente ravvisabile negli autori contemporanei, ciò che davvero cattura del romanzo è la dignità del popolo italiano che si respira. Che fine ha fatto la gente che popolava il nostro paese? Le convinzioni, le tradizioni... Tutto perduto in una nostalgica storia post e prebellica. Ci sarebbero innumerevoli altre cose da dire, altri dettagli da svelare, altre angolazioni da sondare attentamente, ma non sarebbe possibile. Perché I Marmi è, come si suol dire, TANTA ROBBA, e conversarne in questa sede risulterebbe alquanto riduttivo. Ci sarebbe da analizzare il dramma nella figura del Cori, la scaltrezza nella bellezza consapevole della Giunti, la dignità e l'animosità del Settembrini, la simpatia insita nello Zipolo che, come per i personaggi fiorentini ed empolesi, possiede un dialetto, quello napoletano che lo rende, di diritto, privo di scontrosa antipatia. Descrivere dettagliatamente un romanzo simile sarebbe impresa altresì ardua anche per il linguaggio estremamente colto e raffinato che scade talvolta, e in maniera quasi perfetta nella sua puntualità, anche in frasari più dialettali, con una prosa ruvida e perfettamente rispondente alla situazione. Insomma, leggere I Marmi mi ha entusiasmato, restituendomi il gusto della lettura non per mero piacere dell'atto, ma per conoscere e bere avidamente da una fonte sempre nuova di acqua fresca e pura. Ho riscoperto la gioia di centellinare le pagine, pregustando il colpo di scena, gioendo per le vittorie e sorridendo inconsapevolmente delle digressioni saltuarie. Non posso che consigliare la lettura di questo romanzo, augurandomi e augurandovi, chissà, di partecipare a qualche presentazione dello stesso, un giorno.    

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