Padre Matteo è un pretucolo di
campagna, assegnato al gregge sparuto e incanutito di un piccolo
paese della campagna calabrese. Beh, non è proprio una chiesa
canonica immersa nel clima gioviale della gioventù in boccio, quella
in cui serve messa, ma i patti con i superiori sono stati chiari e
concisi. Pur di salvarsi la pelle, infatti, Padre Matteo è scappato
dalla grande città e da un'accusa infamante e dannatamente seria.
Abuso sessuale, gente. E che abuso. E mica solo di un minore... No,
di ben diciassette ragazzini. Solo uno di loro ha sempre insistito a
dichiarare la sua innocenza, pur remando contro la moltitudine di
coetanei che invece proclamavano l'abominio ricevuto. Ma tant'è...
Padre Matteo, resistendo strenuamente contro l'impulso malato della
sua mente, continua a sopravvivere in quella piccola chiesa di
campagna. Però qualcuno sa, qualcuno ha capito... E non solo in
città.
Inizia così il breve racconto di
Antonio Francesco Milicia, autore esordiente ma dalla penna
straordinariamente colma di talento. Si, ragazzi, talento. Perché
non è semplice tessere la trama fitta di una storia intricata come
quella che ha descritto, nel suo “Morsi di morte”. Come in una
ragnatela, come lui stesso definisce il mondo in cui si muove uno dei
personaggi chiave della narrazione, Milicia produce, a ogni piccolo
passo, un filo di seta capace di intessersi perfettamente, creando
ricami senza difetti alcuni, non lasciando assolutamente nessun
dettaglio al caso. Il lettore è portato a leggere febbrilmente
pagina dopo pagina, non subendo per nulla la brevità del racconto.
Come se fosse riuscito a costituire, grazie alla penna, un piccolo
mondo, Milicia riesce ad accattivare, esaltare e incuriosire,
trasmettendo ansie e angosce proprie delle vittime descritte. La
denuncia della pedofilia clericale, argomento purtroppo in auge nei
tempi moderni, riesce a essere incisiva per quanto l'autore non si
soffermi affatto sui particolari scabrosi che, sovente invece,
tendono a tempestare le pagine dei quotidiani nazionali interessando
per la loro morbosità più che per l'evento in sé. È possibile
riscontrare, inoltre, la testimonianza di come lo sconforto e il
danno mentale e psicofisico di tale reato siano in grado di
insinuarsi nell'abusato, creando un mondo parallelo di realtà
distorte, capaci di giustificare in qualche modo gli impulsi
primordiali di una voglia di rivincita sull'aguzzino, agognando a una
sua fine in maniere insospettate e insospettabili. È sconvolgente
come, in effetti, Milicia riesca in sole ventiquattro pagine a
rendere il senso di ansia, di ingiustizia, di pazzia latente e
conseguente a un abuso infantile. È sconvolgente come un autore
esordiente riesca laddove molti suoi colleghi di più elevato
spessore e con mezzi altamente superiori a disposizione hanno fallito
in passato. Un thriller, dai risvolti fantastici con brevissimi
accenni all'universo horror, solo accarezzato, quest'ultimo,
nonostante, forse in un contesto più ampio, sarebbe entrato di
rigore e diritto nella narrazione sposandosi perfettamente al
contesto socio culturale descritto. Magistrali le frequenti metafore
utilizzate che riescono a rendere perfettamente determinate scene
altrimenti scomode e crude nel contempo. Insomma, al suo primo lavoro
Milicia dimostra di avere tutte le carte in regola per sfornare un
lavoro di più ampio respiro, come un romanzo, non deludendo,
comunque, sul genere breve del racconto. In attesa di prossimi
sviluppi futuri, che so per certo sono in arrivo a breve, non posso
far altro che consigliare la lettura del suo “Morsi di morte”,
complimentandomi con lui e con il fato che ogni tanto col suo zampino
riesce a mettermi sulla stessa strada di validi autori.
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