venerdì 14 febbraio 2014

Babe, i'm gonna leave you (a San Valentino un horrorino c'è tutto!)

Da leggere con questa, stupenda, colonna sonora dei Led Zeppelin...




Seduta sulla riva di quella spiaggia incontaminata, Babe si sentiva in pace col mondo. Una mano a stringere, teneramente, quella di Robert, chiuse gli occhi, inspirando a pieni polmoni l'aria calda carica di salsedine. Tutto il suo passato era dimenticato, sfocato, inarrivabile. Contava solo il calore del sole, giunto al termine del suo cammino giornaliero, l'odore del sale e lo stridere degli uccelli sull'acqua. Null'altro. Avvertì l'amore penetrare ogni fibra del suo essere, seduta li, sulla sabbia bianca dell'isola, mentre le carezze del suo uomo indugiavano, timide, alle porte della risolutezza. Gli occhi serrati, Babe desiderò fermare quel frammento di tempo, vivere in eterno il momento perfetto, dimenticando le urla, il buio, il fuoco.
Il fuoco. Quelle lingue suadenti e calde capaci di ardere la sua carne, senza per questo incendiarla. Solo Robert riusciva a farlo. Avvertì lo sguardo languido dell'uomo sulla sua pelle, scaldata dai raggi dell'estate ormai al termine, fremendo del desiderio di essere posseduta, nel suo frammento di tempo statico. Ma non sarebbe accaduto. Aprì gli occhi, la bocca serrata, e si voltò verso il compagno, lo sguardo lucido di lacrime. Il cuore dilaniato dalla consapevolezza, sorrise enigmatica. Qualcosa la stava chiamando, lo avvertiva. Sarebbe tornata a casa, contro il suo volere. A casa. Una lacrima, solcandole il volto accaldato, si andò a incuneare tra le labbra, ora socchiuse, mescolandosi alla saliva. Non sua.
-L'ora è giunta- sembravano sibilare le onde. Ma il mare, che le parlava, le scorreva nelle vene. Era la lava, quella dell'inferno, che la richiamava, mentre Robert, ignaro, continuava ad accarezzarle i capelli, amorevole. Non avrebbe voluto abbandonarlo, e lui lo avrebbe compreso. Se fosse rimasto vivo. Ah, il sole, i suoi raggi calanti, l'estate che, volgendo al termine, richiamava i suoi sensi attenti. Babe socchiuse gli occhi, il sorriso sempre sulle labbra carnose, si voltò di nuovo verso la schiuma infranta sulla riva, ai suoi piedi. Una chitarra in lontananza, il suono struggente dell'arpeggio, mentre le parole del cantante arrivavano chiare, come a voler spiegare la scena di un film muto.
-Devo lasciarti, sai che non vorrei, ma devo farlo. Qualcuno mi sta chiamando. A casa. Non senti?
-Vieni. Ti stiamo aspettando. Ti abbiamo dato il tempo di cui necessitavi. Ora basta. Ora cedi.
Babe, le braccia strette ad avvolgere le ginocchia rigide, cominciò a cedere, in effetti, mentre le parole della sua anima e quelle della canzone si sovrapponevano.
-Babe, devo lasciarti.
Ma non era Robert a dover lasciare lei. Era il contrario. E la donna non lo desiderava. I baci dell'uomo, sul collo caldo e liscio, la fecero rabbrividire, mentre il buio cominciava a sostituire i raggi rossastri del sole. Del suo cuore.
Pietra. Avvertì il battito rallentare, indurirsi, irrigidirsi. Le mani, ora strette convulsamente ai polpacci, si arcuarono, così come la sua schiena, d'improvviso a terra nello spasmo del cedimento. Stavano arrivando, la stavano afferrando per spingerla nella lava, per ucciderla con le loro urla, con i loro ghigno. L'unico pensiero di Babe era di non voler abbandonare Robert. Non voleva far ritorno a casa, ma doveva. Lui la stava chiamando. Lui, il suo Signore.
-Sei mia, hai promesso. Sei mia.
E lei desiderò, ora, non aver annuito alla richiesta del suo Signore. Un patto che la costringeva ad abbandonare il suo Robert, li, mentre l'estate volgeva al termine. Li, sulla spiaggia dalla sabbia bianca, mentre i suoi occhi si rovesciavano, rivelando il grigio delle pupille, la saliva, colante dalle labbra socchiuse, nel sorriso enigmatico di poco prima. Robert urlò, le si avventò addosso. E lei avrebbe voluto gridargli di arretrare, lontano. Doveva lasciarla andare. Tornare a casa. Doveva. L'arpeggio della chitarra crebbe, mutando in una sventagliata di musica potente, mentre le urla dei suoi fratelli si affastellavano al grido di dolore del cantante. E lei, Babe, pianse, nel sorriso, afferrando la gola di Robert, stringendo. Si sarebbero incontrati di nuovo, un giorno, ma doveva tornare a casa. Doveva lasciarlo. Sotto i raggi del sole in tramonto, sulla sabbia bianca, col sangue a fluire dalle dita rigide. Doveva lasciarlo e non avrebbe voluto. Un ringhio, dalla sua bocca, eruppe nel silenzio dell'isola, rotto solo dallo stridere degli uccelli in volo. Robert si accasciò, riverso con il volto al cielo, mentre lei, sorridente, pianse il suo dolore, accanendosi sul corpo del suo amato. Morse la carne dell'uomo, divorandone il collo
-Babe, sto per lasciarti... Non scherzo, devo andare. Tornare a casa.
Lo aveva già lasciato. Nonostante avesse desiderato passeggiare con lui, mano nella mano, oltre quell'estate, oltre i loro corpi, oltre le loro coscienze. Ma il suo Signore le aveva parlato, imponendole comandi scomodi. Col sangue tra i denti, Babe continuò a succhiare avidamente il midollo nelle ossa dell'uomo. Si sarebbero incontrati di nuovo. O forse lo avrebbe semplicemente custodito per sempre dentro di sé, insieme ai suoi fratelli. Fratelli uniti, amorevoli nel loro delirio, pronti a possederla a turno, sempre presenti, eppure discreti quando serviva.
-Babe, sto per lasciarti. Mai, mai, mai, mai ti lascerò...
La donna dilaniò il torace villoso di Robert, arrivando al cuore con le sue unghie affilate. Si chinò, i capelli a solleticare una trachea ormai inesistente, a suggere gli atri scomposti, palpitanti fino a poco prima. Eppure lo aveva avvertito. Gli aveva detto di ascoltarla. Divorò metà del suo cuore, le lacrime a rendere salato il sangue sulla lingua, e pensò di voler passeggiare nei parchi, tutti i giorni, con lui. Lo avrebbe fatto. Perché lui sarebbe tornato a casa con Babe. Robert le sarebbe rimasto attaccato all'anima, donata, ma pur sempre sua.
Pur sempre sua. Nessuno arrivò a porre termine a quello scempio, e il sole calò il sipario sul giorno, mentre l'arpeggio scemava e le urla dei suoi fratelli si acquietavano. Babe si sdraiò accanto al corpo di Robert, ansimante, gli occhi ancora riversi all'interno, a lasciar scoperto solo il grigio, solitamente celato dalle palpebre. Represse i conati di vomito, portando una mano alle labbra, sempre rigida, sempre risoluta. Robert sarebbe rimasto con lei. Durante il viaggio di ritorno. Glielo aveva detto, lo aveva avvertito.

-Devo assolutamente andarmene da questo posto – mormorò, sommessamente, al vento caldo dell'isola. Poi un battito di ciglia, gli occhi dalle iridi verdi al loro posto, in un altro luogo, in un parco. Senza Robert, senza Babe. Era così, quando qualcosa la chiamava. Quando qualcosa la richiamava a casa. E la canzone riprese, l'arpeggio struggente a riportare, sulla carne dilaniata di Robert, il suo senso di abbandono, mentre Babe, lontana, era tornata a casa. Dal suo Signore.

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