Da leggere con questa, stupenda, colonna sonora dei Led Zeppelin...
Seduta sulla riva di
quella spiaggia incontaminata, Babe si sentiva in pace col mondo. Una
mano a stringere, teneramente, quella di Robert, chiuse gli occhi,
inspirando a pieni polmoni l'aria calda carica di salsedine. Tutto il
suo passato era dimenticato, sfocato, inarrivabile. Contava solo il
calore del sole, giunto al termine del suo cammino giornaliero,
l'odore del sale e lo stridere degli uccelli sull'acqua. Null'altro.
Avvertì l'amore penetrare ogni fibra del suo essere, seduta li,
sulla sabbia bianca dell'isola, mentre le carezze del suo uomo
indugiavano, timide, alle porte della risolutezza. Gli occhi serrati,
Babe desiderò fermare quel frammento di tempo, vivere in eterno il
momento perfetto, dimenticando le urla, il buio, il fuoco.
Il fuoco. Quelle lingue
suadenti e calde capaci di ardere la sua carne, senza per questo
incendiarla. Solo Robert riusciva a farlo. Avvertì lo sguardo
languido dell'uomo sulla sua pelle, scaldata dai raggi dell'estate
ormai al termine, fremendo del desiderio di essere posseduta, nel suo
frammento di tempo statico. Ma non sarebbe accaduto. Aprì gli occhi,
la bocca serrata, e si voltò verso il compagno, lo sguardo lucido di
lacrime. Il cuore dilaniato dalla consapevolezza, sorrise enigmatica.
Qualcosa la stava chiamando, lo avvertiva. Sarebbe tornata a casa,
contro il suo volere. A casa. Una lacrima, solcandole il volto
accaldato, si andò a incuneare tra le labbra, ora socchiuse,
mescolandosi alla saliva. Non sua.
-L'ora è giunta-
sembravano sibilare le onde. Ma il mare, che le parlava, le scorreva
nelle vene. Era la lava, quella dell'inferno, che la richiamava,
mentre Robert, ignaro, continuava ad accarezzarle i capelli,
amorevole. Non avrebbe voluto abbandonarlo, e lui lo avrebbe
compreso. Se fosse rimasto vivo. Ah, il sole, i suoi raggi calanti,
l'estate che, volgendo al termine, richiamava i suoi sensi attenti.
Babe socchiuse gli occhi, il sorriso sempre sulle labbra carnose, si
voltò di nuovo verso la schiuma infranta sulla riva, ai suoi piedi.
Una chitarra in lontananza, il suono struggente dell'arpeggio, mentre
le parole del cantante arrivavano chiare, come a voler spiegare la
scena di un film muto.
-Devo
lasciarti, sai che non vorrei, ma devo farlo. Qualcuno mi sta
chiamando. A casa. Non senti?
-Vieni.
Ti stiamo aspettando. Ti abbiamo dato il tempo di cui necessitavi.
Ora basta. Ora cedi.
Babe,
le braccia strette ad avvolgere le ginocchia rigide, cominciò a
cedere, in effetti, mentre le parole della sua anima e quelle della
canzone si sovrapponevano.
-Babe,
devo lasciarti.
Ma non
era Robert a dover lasciare lei. Era il contrario. E la donna non lo
desiderava. I baci dell'uomo, sul collo caldo e liscio, la fecero
rabbrividire, mentre il buio cominciava a sostituire i raggi
rossastri del sole. Del suo cuore.
Pietra.
Avvertì il battito rallentare, indurirsi, irrigidirsi. Le mani, ora
strette convulsamente ai polpacci, si arcuarono, così come la sua
schiena, d'improvviso a terra nello spasmo del cedimento. Stavano
arrivando, la stavano afferrando per spingerla nella lava, per
ucciderla con le loro urla, con i loro ghigno. L'unico pensiero di
Babe era di non voler abbandonare Robert. Non voleva far ritorno a
casa, ma doveva. Lui la stava chiamando. Lui, il suo Signore.
-Sei
mia, hai promesso. Sei mia.
E lei
desiderò, ora, non aver annuito alla richiesta del suo Signore. Un
patto che la costringeva ad abbandonare il suo Robert, li, mentre
l'estate volgeva al termine. Li, sulla spiaggia dalla sabbia bianca,
mentre i suoi occhi si rovesciavano, rivelando il grigio delle
pupille, la saliva, colante dalle labbra socchiuse, nel sorriso
enigmatico di poco prima. Robert urlò, le si avventò addosso. E lei
avrebbe voluto gridargli di arretrare, lontano. Doveva lasciarla
andare. Tornare a casa. Doveva. L'arpeggio della chitarra crebbe,
mutando in una sventagliata di musica potente, mentre le urla dei
suoi fratelli si affastellavano al grido di dolore del cantante. E
lei, Babe, pianse, nel sorriso, afferrando la gola di Robert,
stringendo. Si sarebbero incontrati di nuovo, un giorno, ma doveva
tornare a casa. Doveva lasciarlo. Sotto i raggi del sole in tramonto,
sulla sabbia bianca, col sangue a fluire dalle dita rigide. Doveva
lasciarlo e non avrebbe voluto. Un ringhio, dalla sua bocca, eruppe
nel silenzio dell'isola, rotto solo dallo stridere degli uccelli in
volo. Robert si accasciò, riverso con il volto al cielo, mentre lei,
sorridente, pianse il suo dolore, accanendosi sul corpo del suo
amato. Morse la carne dell'uomo, divorandone il collo
-Babe,
sto per lasciarti... Non scherzo, devo andare. Tornare a casa.
Lo
aveva già lasciato. Nonostante avesse desiderato passeggiare con
lui, mano nella mano, oltre quell'estate, oltre i loro corpi, oltre
le loro coscienze. Ma il suo Signore le aveva parlato, imponendole
comandi scomodi. Col sangue tra i denti, Babe continuò a succhiare
avidamente il midollo nelle ossa dell'uomo. Si sarebbero incontrati
di nuovo. O forse lo avrebbe semplicemente custodito per sempre
dentro di sé, insieme ai suoi fratelli. Fratelli uniti, amorevoli
nel loro delirio, pronti a possederla a turno, sempre presenti,
eppure discreti quando serviva.
-Babe,
sto per lasciarti. Mai, mai, mai, mai ti lascerò...
La
donna dilaniò il torace villoso di Robert, arrivando al cuore con le
sue unghie affilate. Si chinò, i capelli a solleticare una trachea
ormai inesistente, a suggere gli atri scomposti, palpitanti fino a
poco prima. Eppure lo aveva avvertito. Gli aveva detto di ascoltarla.
Divorò metà del suo cuore, le lacrime a rendere salato il sangue
sulla lingua, e pensò di voler passeggiare nei parchi, tutti i
giorni, con lui. Lo avrebbe fatto. Perché lui sarebbe tornato a casa
con Babe. Robert le sarebbe rimasto attaccato all'anima, donata, ma
pur sempre sua.
Pur
sempre sua. Nessuno arrivò a porre termine a quello scempio, e il
sole calò il sipario sul giorno, mentre l'arpeggio scemava e le urla
dei suoi fratelli si acquietavano. Babe si sdraiò accanto al corpo
di Robert, ansimante, gli occhi ancora riversi all'interno, a lasciar
scoperto solo il grigio, solitamente celato dalle palpebre. Represse
i conati di vomito, portando una mano alle labbra, sempre rigida,
sempre risoluta. Robert sarebbe rimasto con lei. Durante il viaggio
di ritorno. Glielo aveva detto, lo aveva avvertito.
-Devo
assolutamente andarmene da questo posto – mormorò, sommessamente,
al vento caldo dell'isola. Poi un battito di ciglia, gli occhi dalle
iridi verdi al loro posto, in un altro luogo, in un parco. Senza
Robert, senza Babe. Era così, quando qualcosa la chiamava. Quando
qualcosa la richiamava a casa. E la canzone riprese, l'arpeggio
struggente a riportare, sulla carne dilaniata di Robert, il suo senso
di abbandono, mentre Babe, lontana, era tornata a casa. Dal suo
Signore.
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