Proiettato verso l'infinito
A ben guardare, in fondo, non era poi
tanto male. Il seno di una terza misura abbondante, le natiche sode e
le labbra invitanti. Nel complesso non era da buttar via. Certo, i
capelli biondi, poco puliti, e le unghie dallo smalto scrostato non
erano certamente invitanti. Ma non odorava di cattivo, questo no. Le
si avvicinò, lo sguardo lubrico, il pene duro nei pantaloni. Gli
bastava così poco, ormai, per far si che l'eccitazione prendesse
pieno potere dei suoi arti inferiori. Avvertì il classico pizzicore
all'inguine, mentre il membro continuava a salire verso l'ombelico,
sfiorando l'elastico delle mutande strette. Si sedette meglio sul
sedile dov'era seduto, accostandosi ancora un poco alla ragazza.
L'ondeggiare della metro aiutava il suo pene a distendersi,
provocando una sorta di movimento propedeutico all'eccitamento
progressivo. Un braccio sulla testiera del sedile di destra, si
sporse a odorare la chioma poco fluente della ragazza. Ciò che sentì
non era esattamente quel che avrebbe desiderato, d'altronde già il
loro aspetto non gli aveva fatto sperare il contrario. Ma non
importava. Lo sguardo gli cadde nuovamente sulla scollatura ampia
della ragazza, ignara di essere diventata, d'un tratto, preda
succulenta. Le cuffie del lettore mp3 alle orecchie, teneva gli occhi
chiusi, battendo un piede a terra al ritmo incessante di quello che
distinse come un rock duro. Duro, come il suo pene. Sorrise,
sfiorando col ginocchio quello di lei. Solo quel contatto gli provocò
una scarica di adrenalina pura e immaginò come sarebbe stato
affondare le labbra nei seni prosperosi, infilare le dita nell'incavo
delle cosce, leccando i capezzoli e risalendo, fino al mento. Si
chiese, una mano a massaggiarsi il membro, come sarebbe stato
insinuare la sua lingua tra le labbra lisce di lei, ascoltare il
pulsare del suo pene nell'umida cavità del suo intimo, affondando
una mano tra i capelli, afferrandole la nuca.
La ragazza aprì gli occhi, a
controllare la fermata a cui erano giunti, e si accorse dell'estrema
vicinanza all'uomo. Visibilmente imbarazzata, cercò di allontanarsi,
accostandosi ancor più alla testiera. Erano soli nel vagone e la
mano sul membro che ne massaggiava l'interno la spaventò ancor più
del pensiero che le era sovvenuto alla mente. Lo osservò, cercando
di respirare piano e di muoversi con estrema cautela. Non voleva che
si destasse, non voleva attirare ancor di più la sua attenzione.
Faceva caldo e i calzoncini che aveva indossato, per recarsi a
lavoro, avevano fatto in modo che la pelle delle cosce si attaccasse
al sedile. Cercò di alzarsi con estrema lentezza, ma avvertì un
estremo dolore nel farlo. Troppo caldo, troppo calore. Timorosa di
aver mosso troppa aria, si voltò a osservare il suo vicino. Non era
brutto. Non era affatto brutto, e in un'altra circostanza gli avrebbe
riservato un lungo sguardo, cercando una maniera per farsi abbordare.
Ma non così, non con la sua mano che massaggiava l'evidente
eccitamento che lei, o qualsiasi altra cosa, gli avevano procurato.
Appoggiò la mano destra sul sedile a fianco e riprovò a muoversi,
questa volta con più successo. Quel dannato trenino sembrava
proiettato verso la fine del mondo. Non si fermava mai, in nessun
posto, come fosse incantato. Avvertì la nausea bruciarle la gola,
montandole direttamente dallo stomaco, mentre con orrore notava gli
occhi cerulei dell'uomo aprirsi e guardarla. Lei non si era ancora
mossa dal suo posto e la mano di lui, abbandonata alla testiera del
suo sedile, dondolante al movimento ondulatorio del vagone, incombeva
come un rapace sul suo seno. Si osservarono, il respiro di lei
trattenuto nei polmoni, quello di lui corto. Un sorriso. La ragazza
arrossì, immobile nel panico crescente.
Ora che la guardava la sua eccitazione
era ancora più palpabile. Aveva gli occhi verdi. Peccato per i
capelli poco curati, d'altronde fuori faceva un gran caldo e la
giornata era volta al tramonto. O almeno credette fosse il momento
del tramonto. La mano ancora a indugiare sull'inguine, si sentì
umido delle poche gocce appena uscite. Le sorrise ancora, mostrando
la sua dentatura perfetta. Sapeva di essere piacente, sapeva di
potersi permettere qualunque ragazza avesse voluto. Ma possederne
una, contro la sua volontà, madida del terrore procurato, era un
afrodisiaco al quale non sapeva più rinunciare. Era come spararsi un
ago in vena. Una volta provato non si era più in grado di
rinunciarvi. Una droga, si, una droga. Sempre guardandola, spostò la
sua mano sul seno, stringendo forte la carne tra le dita. La ragazza,
colta di sorpresa, emise un gemito. Lui lo interpretò come piacere e
la cosa non gli piacque. Si svestì del sorriso, appena indossato, e
la afferrò per la vita con il braccio libero. La ragazza iniziò,
lentamente, a reagire. Avvertì un pugno debole lanciatogli sulla
spalla destra mentre se la portava a cavalcioni sulle cosce. Le
afferrò le natiche con entrambi i palmi aperti e spinse l'intimo di
lei verso la sua eccitazione pulsante. La ragazza gridò più forte,
questa volta. Lui sorrise. Finalmente. Sibilò un invito a tacere,
sporgendo le labbra scure in avanti, e la spinse nuovamente contro il
suo bacino. La ragazza urlò, graffiandolo in faccia.
Bene. Il terrore, il panico
strisciante, il veleno della paura le stava intossicando le vene. Si
alzò di scatto, lei in braccio con le cosce ad avvolgerlo, e si
gettò in terra, posizionandola sotto il proprio peso. Gemette di
dolore.
Bene. Portò una mano all'ampia
scollatura e tirò la maglia verso il ventre, scoprendo un seno
pieno. Si gettò, famelico, a divorarle il capezzo, succhiando
avidamente, mentre con l'altra mano tentava di arginare i movimenti
frenetici delle sue braccia, travolte dal panico. Non disgusto,
panico irrazionale. Il seno in bocca e il collo della maglia bloccato
sotto di esso, utilizzò la mano libera per slacciarsi i pantaloni,
lasciando respirare il suo pene, desideroso di avventura. Poi abbassò
quelli di lino di lei, non trovando alcuna resistenza. Lei gemeva,
mugolava e urlava a tratti, come volesse richiamare l'attenzione di
qualcuno. Nessuno, però, l'avrebbe ascoltata. Quel vagone era
proiettato verso l'infinito e oltre. Un vagone fantasma, giunto alla
fermata giusta nel momento giusto. Secondo i punti di vista, certo.
D'un tratto la metro sussultò, cigolando sui binari. La ragazza, suo
malgrado, sorrise, esclamando un singhiozzo umido di saliva e
lacrime. Incurante, lui la penetrò, continuando a suggere dal suo
seno scoperto, emettendo versi gutturali di un'oscenità rivoltante.
La ragazza urlò il suo disgusto, nonostante sapesse che la salvezza
era vicina, nonostante pregustasse il sangue zampillare dalla pelle
lacerata di lui, una volta fatto preda dei pendolari. La metro si
fermò, le porte del vagone si aprirono e salirono quattro uomini,
tre donne, e cinque adolescenti. Nessuno la guardò, nessuno ne
ascoltò le grida, insistenti, di aiuto. Le porte si richiusero, lei
gettata a terra mossa dai colpi della violenza incalzanti, mentre
gridava il dolore sordo e inascoltato. Lo sentì ridere, lo sentì
gemere e avvertì la saliva colarle lungo un fianco. Poi, mentre i
colpi di bacino si facevano più violenti e i loro gemiti riempivano
lo spazio vuoto, sovrastando il tramestio del mezzo, l'uomo abbandonò
il seno e portò la bocca al suo orecchio, mordicchiandole il lobo,
viscido di sudore, per sussurrarle “Tesoro, non l'hai ancora
capito? Questo vagone è proiettato verso l'infinito, e noi due siamo
solo anime affini unite nella morte.” Lei sgranò gli occhi, la
certezza di non aver colto la propria fine. Urlò, chiedendo un muto
e inutile aiuto ai pendolari, mentre l'uomo le esplodeva dentro e
riarmava le proprie forze per ricominciare da capo.
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