Chissà cosa passa nella mente
dell'adolescente? Davvero, non me lo spiego. Lo sono stata, me lo
ricordo, tanto tempo fa, e non sono stata neanche troppo difficile da
gestire. Almeno credo, di non essere stata complicata. Non ero tipa
da canne, da birra a fiumi e da taccheggio all'Oviesse. Sono stata
messa in punizione, ma non mi sono mai ribellata, andando contro i
consigli comuni dei miei coetanei, rispettando sempre i miei
coprifuochi imposti da mamma e papà. Insomma, ero una tipa ok, una
tipa introversa, a volte, un po' nerd, a mio modo, ma ok. Eppure
c'erano momenti in cui mi lasciavo andare a un pianto irrefrenabile,
chiusa nei bagni del liceo, confidando alla mia migliore amica di
allora di essere convinta di morire giovane. Non vedevo futuro, non
riuscivo a immaginarmi sposata, incinta, con un lavoro o con una casa
mia. Perché? Voi lo sapete? Io no. Non mi mancava nulla. Certo,
avrei capito istinti suicidi durante gli anni delle scuole medie, per
me davvero insidiosi, ma non negli anni del liceo. Avevo un lavoro
estivo, avevo due sorelle, una famiglia normale, un po' severa, ma mi
ha reso ciò che sono quindi andava bene. Avevo un ragazzo all'epoca
che mi adorava, nonostante non sia andata affatto bene con lui, e ho
conosciuto colui che, a distanza di quindici anni, sarebbe diventato
mio marito. Insomma, cosa avevo che non andava, che mi faceva vedere
il buio totale lungo un cammino di certo impervio ma primo di
sostanziali difficoltà? Non me lo so spiegare. Proprio per questo
motivo provo una profonda paura nell'affrontare la maternità. Non
perché sarò costretta a dormire poco, come molti sostengono, non
perché farò meno sesso con mio marito o perché non riuscirò a
uscire di casa per trecento anni, stando a ciò che dicono i
promulgatori del terrorismo psicologico post parto. No. Ho paura
perché dalle conoscenze che fornirò al mio bambino, assieme a suo
padre, dipenderà la struttura mentale con la quale lui affronterà
il mondo, le delusioni, le gioie e i tormenti della vita. Quante
persone si soffermano a pensare a tutto ciò? Molte, credo. Sarebbe
bello pensare che tutti gli aspiranti genitori si pongano domande
simili, dimostrando una lungimiranza nell'educazione che svilupperà
il giovane di domani, ma non pretendo tanto. Però... Però mi
capita, ancora adesso, di ascoltare storie di ragazzi morti suicidi a
causa di un brutto voto a scuola, di una delusione d'amore, o di una
gita andata male. Ci sono anche quelli che decidono di ammazzare i
propri genitori, amici o fidanzati. Perché? Possibile che tutto
dipenda dalla società cattiva? Possibile che tutto dipenda dai
genitori che non riescono, a volte, a sopportare la pressione del
loro ruolo? Possibile che dipenda da icone negative presenti nelle
vite quotidiane del nostro tempo? E se, invece, dipendesse,
semplicemente, dal fatto che gli adolescenti sono adolescenti?
Facilmente influenzabili da tutto, inclini al melodramma più spinto,
raramente empatici, estremamente narcisisti. Gli adolescenti, quelli
che se ne vanno in giro, con le cuffiette, a cantare storie di amori
infranti, credendo che l'universo sia racchiuso in un gruppo
musicale. Allora, forse, la vera educazione di un genitore sta
nell'accettare il carattere del proprio figlio, rimanere concentrato
nel proprio ruolo senza cedere alla tentazione di essere amico,
anziché guida, e sostenere, comprendere e punire nella giusta
misura, in modo che il proprio figlio riesca nel difficile compito
della transizione verso l'età adulta. Gli errori ci sono e ci
saranno, è inutile negarlo, ma è anche inutile dare la colpa dei
fallimenti alla società, alla musica o ai libri. Gli adolescenti
sono adolescenti. Punto. E continueranno a piangere, nei bagni di
scuola, senza motivo, blaterando di aver paura di morire giovani.
Nonostante tutto. E i genitori devono fare i genitori. Ed essere
obiettivi. E basta.
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