Oggi parlerò dell'Inferno di Rebecca.
Non per vana gloria. Non per farmi pubblicità, anche se sarebbe del
tutto normale, trattandosi del mio libro, ma perché voglio spiegare
il contenuto del romanzo, non lasciando al lettore l'arduo compito di
farlo o di comprenderne il significato non facile. Negli ultimi tempi
si parla moltissimo della violenza sulle donne, della loro sudditanza
di fronte ad aggressori in grado di manipolare e aggirare una mente
che, fino all'incontro con lui, era sana e colma, sicuramente, di una
gioia di vivere pari a quella degli altri. La violenza, non solo
fisica, ma soprattutto quella psicologica, si insinua nella mente
della vittima, comincia a logorarne le pareti e a scavare una
voragine dalla quale risulta quasi impossibile risalire. La
coercizione di un essere che si ritiene inferiore,, perché magari
avvinto da un sentimento che dovrebbe essere amore ma, nel più delle
volte, si tramuta in una sottomissione totale, reca all'aggressore un
potere difficile da scalfire. Il carnefice inizia a sentirsi Dio in
casa, tra le pareti, continuando a subissare la propria compagnia con
cattiverie gratuite, accentuando un'insicurezza nata proprio dalle
sue parole. Nessuno è al riparo da tale giogo, e nonostante si pensi
che le vittime designate debbano essere donne deboli, inclini a un
comportamento simile, molto spesso con un passato triste, ci si deve
ricredere. La realtà è che l'arma del fascino e dell'amore è molto
più forte di un carattere, se utilizzato con l'intenzione di
brandire e fare male. Rebecca è una persona indubbiamente normale,
prima di conoscere Stefano, con la propria vita d'adolescente e le
inclinazioni sessuali proprie di una ragazza della sua età. Stefano,
invece, si dimostra una persona disturbata, dalla spiccata
perversione sessuale, affetto probabilmente da quella che si potrebbe
definire satiriasi. La sua curiosità verso l'oscuro lo porterà
nelle mani di demoni potenti, in grado di esaudire i suoi desideri
sessuali nuocendo gravemente a tutti coloro con i quali verrà in
contatto, facendolo sentire onnipotente e sprezzante delle regole. Ma
i demoni delle regole le hanno e, nonostante si stia parlando del
male puro, atto a soverchiare la coscienza umana a qualsiasi costo,
le regole devono essere rispettate, pena la morte. Ma non una morte
indolore, priva di sofferenze. Una morte al “Monaco di Lewis”,
alla “Doria Gray”, atta a punire insubordinazioni, atta a far
comprendere cosa significhi vendere la propria anima in favore della
realizzazione del proprio ego. E metaforicamente, la morte è atta a
provare come la violenza generi violenza. Perché di questo si parla,
nell'Inferno di Rebecca. Di violenza, di squallore, di sesso
perverso, di sottomissione. Esistono personaggi positivi? Si, ma come
nella realtà di chi vive una violenza, non emerge. Tutto il mondo
sembra ignaro alla sua sofferenza. Quale scappatoia, se non
rifugiarsi in un mondo fatto di dualismi, dove il proprio doppio è
in grado di agire per proprio conto? L'unica via di salvezza sembra
la pazzia. Se di pazzia si può parlare. La realtà dell'Inferno è
il voler sondare e spiegare come una persona, apparentemente sana e
lucida, possa essere soggiogata dalla scaltrezza e furbizia di
un'altra, magari dotata semplicemente di una personalità più forte.
L'inferno è un intreccio di vite di esperienze, di sensazioni e, in
taluni casi, di una normalità sconcertante. Volete scoprire un mondo
sotterraneo che, ultimamente miete vittime come mosche? Leggete
L'Inferno di Rebecca. Ma non se avete uno stomaco debole. Perché i
demoni sanno essere lussuriosi, ma l'essere umano è capace di una
fantasia ancora più feroce e lubrica.
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