Non è altro che un percorso. Un lungo
percorso, la vita, ma breve, a pensarci. Si nasce, ignari di ciò a
cui si sarà esposti. Si nasce e si viene portati a credere che la
vita è unica, speciale, differente per ognuno. Lo scopo è sempre lo
stesso, però. Procreare, dare altra vita. Tanto che ci si chiede
cosa accada dopo aver donato un pezzo di sé stessi ad altri
individui. E tale scopo non viene ascoltato solo dall'animo del
genitore, ma anche da chi non lo sarà mai. Amando altre persone,
preoccupandosi per il prossimo, cercando il buono in sé stessi e in
altri, provando un sentimento che oltrepassa il proprio ego. Non
servono pezzi di dna per raggiungere lo scopo che la nascita ha
donato all'uomo. Ma la domanda vera è: cosa accade dopo? Dopo aver
provato l'amore puro, il sentimento perfetto, quello in grado di
muovere massi, il proprio io che fine fa? Dove va a finire la propria
identità? Sarà perduta per sempre? Ci sarà, ma vivrà nascosta
sotto gli strati del nuovo essere che ha preso le sembianze
dell'individuo adulto? Oppure sarà presente, semplicemente
arricchito, come una sorta di macchina base dotata di optional? Non è
forse vero che, a volte, un individuo perda il lume della ragione,
non riconoscendo più ciò che l'ha aiutato a divenire quel che è
divenuto, nel tempo? Non è forse vero che in alcuni è forte il
desiderio di regredire ai tempi in cui era possibile solo ascoltare
sé stessi, completamente ignari del futuro? Si vive nella costante
ricerca di una metà da amare. Lo scopo della vita parte anche da
questo: trovare la metà adatta a procreare. Conoscendo l'amore,
nell'età adolescenziale, si percepisce la sensazione che quello sarà
l'unico motivo che muoverà i passi del proprio corpo, da quel
momento in poi. Ma il sentimento evolve, si tramuta in desiderio di
essere ancora più uniti. Dall'unione spirituale si passa a quella
carnale, per dar vita, infine, a quel che tutti considerano essere la
gioia più grande. Un figlio. E lo è, la gioia più grande. Si
riconosce un nuovo tipo di amore, ma questo non è possibile se prima
non si sono compiuti i passi adatti, per non implodere, per non
esplodere. Come accade. Sovente. Riflessione. Ci vuole riflessione.
Donare la vita non è semplice, non è un meccanismo puramente
fisico. È facile, nella natura, creare. Più difficile accettare il
cambiamento che esso comporta. Più difficile ancora accettare che la
creatura a cui si è donato la vita non sia il proprio specchio, ma
un vetro grezzo a sé stante. Un piccolo pezzo di vetro, pronto a
essere modellato, fortificato, con la capacità di crescere nel
tempo. Un pezzo di vetro grezzo con una propria identità, ma pur
sempre facente parte del vetro madre. E padre. Il tempo. Manca il
tempo utile. Ogni essere umano necessiterebbe di una vita intera solo
per comprendere il proprio animo, un'altra per essere pronti allo
spettacolo della vita. Un'ulteriore per creare una vita mediante
l'esperienza accumulata. Queste tre vite sono compresse nelle tre
stagioni dell'essere umano, ma non sono sufficienti. E a volte non
bastano. Non bastano per comprendere l'universo devastante e infinito
che è un neonato, che è un figlio adulto, che è un amico bisognoso
d'affetto, o semplicemente uno sconosciuto giunto sul proprio
cammino. La vita, a volte, non basta per comprendere in pieno lo
scopo che racchiude in sé. Ma il percorso, nel tempo, serve a
tentare di indagare. E capire. E amare. Amare chiunque,
indistintamente. Anche sé stessi. Soprattutto gli altri. E sarà,
allora, come morire e rinascere, per morire e rinascere ancora. È
bello pensare che chi non ha avuto questa possibilità è stato
erudito in un universo parallelo. E magari sarà così anche per chi,
invece, le tre stagioni della vita le passerà tutte. E magari ci si
incontrerà tutti, dopo, senza vincoli parentali, senza sotterfugi o
rancori. Magari sarà possibile accedere a una luce intensa, colma
solo della conoscenza ancora negata. Perché ancora non è dato di
comprendere lo scopo puro della vita, solo di intuirlo. Intuirlo e
vivere di quella percezione.
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