venerdì 28 febbraio 2014

Ma non prenderci gusto! di Xlater - Damster edizioni

Ma non prenderci gusto!: Avventure erotiche con un'irresistibile donna per amico (Eroxe, dove l'eros si fa parola) (Damster - Eroxè, dove l'eros si fa parola)


Giorgia è una donna finemente conturbante, dallo spiccato sex appeal e da uno sguardo talmente evocativo da rendere la prospettiva di un amplesso con lei una meraviglia da sondare e vivere. Giorgia è lesbica. Profondamente lesbica. Sembra, infatti, che non ci sia possibilità di “redenzione” alcuna, neanche se a tentarla ci si mette Marco, un uomo dalle indubbie qualità amatorie e dalle evidenti armi seduttive quali un uomo può solo aspirare con malcelata bramosia. Inizia ed evolve in questo modo il racconto di questo autore fin'ora, per me, sconosciuto. Come è capitato recentemente, Facebook, se utilizzato a dovere, sa essere il giusto trait d'union tra la ricerca di belle menti e il contatto con esse. E Xlater non ha fatto eccezioni. In questa novella, dal gusto tipicamente erotico-ironico, l'autore eviscera un talento tanto innato quanto intriso di studio, concetto ed esperienza nello scrivere. Fuoriesce, indubbia, una cospicua conoscenza della materia, anche se, soprattutto, è la fantasia a farla da padrone. Come in ogni sogno maschile per eccellenza, infatti, “Ma non prenderci gusto” va a evidenziare il desiderio recondito di trovarsi tra le mani di una lesbica e farla godere come fosse un'eterosessuale, con l'istintivo desiderio di essere la persona giusta a farla “rinsavire” da ciò che, invece, potrebbe trovare estremamente gratificante. Così come una donna sogna di diventare il sogno unico e preponderante di un omosessuale, così nell'uomo tale bisogno di conferma emerge attraverso una delle più classiche fantasie. Se a condire il tutto, poi, si aggiunge la bramosia di una potenziale “schiava”, atta a galvanizzare l'ego maschile a tal punto da renderlo suo padrone, si ha un quadro generale di come il cliché maschile di super uomo abbia, comunque, sempre la meglio su tutto il resto. D'altronde, non possiamo nascondere la necessità, per ogni essere umano, di sentirsi indispensabilmente attraenti, potenziali desideri sessuali del mondo intero, tipo femme fatale o uomo padrone sexy e irresistibile. È umano, è normale, è terribilmente eccitante. Cos'è, allora, che rende questo racconto degno di essere acquistato, letto e goduto? Il modo in cui è scritto. La padronanza di un linguaggio mai scontato, la sapienza di saper creare situazioni eccitanti, altrimenti banali, supportando i dialoghi con frasi e nomi espliciti mai fuori posto, rendono “Ma non prenderci gusto” un piccolo cioccolatino da scartare e assaporare con calma. Non sempre il linguaggio spinto, in effetti, rende una lettura piacevole, specialmente per una donna, avvezza più all'erotismo in chiave romantica e intriso di paroloni aulici e ricercati. Io non faccio eccezione, in taluni casi. Eppure la scorrevolezza e la spontaneità con i quali Xlater ci presenta anche situazioni al limite della perversione, hanno il potere di coinvolgere, eccitare ed emozionare. Non sempre, al di fuori delle lenzuola, parole volgari e spinte hanno l'effetto desiderato, ma la delicatezza, se vogliamo, con cui vengono pronunciate dai protagonisti, denotando non violenze ma veri e propri istinti di piacere atti ad amplificare una passione dirompente. Senza, per questo, scadere nel sovente pornografico di chi non ha maestria nel destreggiarsi in tale genere. Sfatiamo un mito: scrivere genere erotico non è riempirsi la bocca di “cazzo, figa, succhia”. Scrivere erotico, in maniera giusta e sapiente, è saper donare, al lettore, un emozione tale da stuzzicare una fantasia latente, sottocutanea, pronta ad esplodere nella realtà. Xlater, ho scoperto, è un autore davvero eccezionale, in questo. Oltretutto la sua velata ironia in questo racconto, ma accentuata in altri suoi componimenti, lo rendono assolutamente di facile e godibile fruizione. Autore anche di sonetti erotici che mi accingo a leggere con tutta la curiosità possibile, Xlater è indubbiamente uno scrittore da seguire, da leggere, da sostenere., mentre “Ma non prenderci gusto” è una novella erotica da leggere per divertirsi... e divertire! Insomma, ragazzi, andate a cercare, oltre a questo lavoro, anche tutti gli altri di questo scrittore, ne vale davvero la pena! As usual, di seguito il link all'acquisto... Solito caffè sotto al Colosseo risparmiato, ma un'ora di puro godimento guadagnata!  

mercoledì 26 febbraio 2014

L'Inferno di Rebecca - edizioni Damster - un romanzo mio!




Oggi parlerò dell'Inferno di Rebecca. Non per vana gloria. Non per farmi pubblicità, anche se sarebbe del tutto normale, trattandosi del mio libro, ma perché voglio spiegare il contenuto del romanzo, non lasciando al lettore l'arduo compito di farlo o di comprenderne il significato non facile. Negli ultimi tempi si parla moltissimo della violenza sulle donne, della loro sudditanza di fronte ad aggressori in grado di manipolare e aggirare una mente che, fino all'incontro con lui, era sana e colma, sicuramente, di una gioia di vivere pari a quella degli altri. La violenza, non solo fisica, ma soprattutto quella psicologica, si insinua nella mente della vittima, comincia a logorarne le pareti e a scavare una voragine dalla quale risulta quasi impossibile risalire. La coercizione di un essere che si ritiene inferiore,, perché magari avvinto da un sentimento che dovrebbe essere amore ma, nel più delle volte, si tramuta in una sottomissione totale, reca all'aggressore un potere difficile da scalfire. Il carnefice inizia a sentirsi Dio in casa, tra le pareti, continuando a subissare la propria compagnia con cattiverie gratuite, accentuando un'insicurezza nata proprio dalle sue parole. Nessuno è al riparo da tale giogo, e nonostante si pensi che le vittime designate debbano essere donne deboli, inclini a un comportamento simile, molto spesso con un passato triste, ci si deve ricredere. La realtà è che l'arma del fascino e dell'amore è molto più forte di un carattere, se utilizzato con l'intenzione di brandire e fare male. Rebecca è una persona indubbiamente normale, prima di conoscere Stefano, con la propria vita d'adolescente e le inclinazioni sessuali proprie di una ragazza della sua età. Stefano, invece, si dimostra una persona disturbata, dalla spiccata perversione sessuale, affetto probabilmente da quella che si potrebbe definire satiriasi. La sua curiosità verso l'oscuro lo porterà nelle mani di demoni potenti, in grado di esaudire i suoi desideri sessuali nuocendo gravemente a tutti coloro con i quali verrà in contatto, facendolo sentire onnipotente e sprezzante delle regole. Ma i demoni delle regole le hanno e, nonostante si stia parlando del male puro, atto a soverchiare la coscienza umana a qualsiasi costo, le regole devono essere rispettate, pena la morte. Ma non una morte indolore, priva di sofferenze. Una morte al “Monaco di Lewis”, alla “Doria Gray”, atta a punire insubordinazioni, atta a far comprendere cosa significhi vendere la propria anima in favore della realizzazione del proprio ego. E metaforicamente, la morte è atta a provare come la violenza generi violenza. Perché di questo si parla, nell'Inferno di Rebecca. Di violenza, di squallore, di sesso perverso, di sottomissione. Esistono personaggi positivi? Si, ma come nella realtà di chi vive una violenza, non emerge. Tutto il mondo sembra ignaro alla sua sofferenza. Quale scappatoia, se non rifugiarsi in un mondo fatto di dualismi, dove il proprio doppio è in grado di agire per proprio conto? L'unica via di salvezza sembra la pazzia. Se di pazzia si può parlare. La realtà dell'Inferno è il voler sondare e spiegare come una persona, apparentemente sana e lucida, possa essere soggiogata dalla scaltrezza e furbizia di un'altra, magari dotata semplicemente di una personalità più forte. L'inferno è un intreccio di vite di esperienze, di sensazioni e, in taluni casi, di una normalità sconcertante. Volete scoprire un mondo sotterraneo che, ultimamente miete vittime come mosche? Leggete L'Inferno di Rebecca. Ma non se avete uno stomaco debole. Perché i demoni sanno essere lussuriosi, ma l'essere umano è capace di una fantasia ancora più feroce e lubrica.
Per leggere le prime pagine e acquistarlo tramite tutti gli store, il link:
  

martedì 25 febbraio 2014

In Paradiso di Antonella Aigle


In Paradiso (Damster - Eroxè, dove l'eros si fa parola)


La vera bellezza di frequentare facebook, piattaforme sociali in generale e amazon è il continuo ricercare, scovare e godere di nuovi autori, validi. Utilizzare ciò che la rete mette a disposizione per arricchirsi culturalmente credo sia la cosa migliore che si possa fare, specialmente in un periodo in cui l'italiano è sempre più messo alla berlina in favore di un estremo amore per lo straniero. Perché ti fanno credere che straniero è bello. Che le uniche letture che valga la pena fare siano quelle oltreoceano, o comunque oltre il nostro paese. Poi, invece, capita di imbattersi in romanzi come “In Paradiso” e finalmente uno squarcio arriva a frammentare quel lugubre e grigio panorama letterario fatto solo di sfumature di rosso, viola, grigio, nero... Insomma quello che volete, pur che sia non italiano. Diamine, abbiamo fior fiori di scrittori scalpitanti e in attesa che qualcuno creda in loro e che li legga, e noi ce ne andiamo in giro sfarfallando, magari dicendo anche che qui in Italia non si è in grado di scrivere erotico come all'estero? Allora Antonella Aigle, edita da Damster, che ha scritto un romanzo in grado di farsi leggere in una mezza giornata, non è forse degna di attenzione? Io dico di si. Inizialmente, come al solito, sono andata a leggere le recensioni e i commenti su Amazon, tanto per farmi un'idea. E tra i “superlativo”, solitamente non troppo veritieri, mi sono imbattuta nel “non lo comprate, per carità di Dio”. Inutile dirlo, mi sono incuriosita ancor di più, chiedendomi come si potesse avere pareri tanto contrastanti. Dal momento che qui in Italia vige la moda di voler essere ciò che non si è, quindi: scrittore, recensore, allenatore e qualsivoglia mestiere, magari facendo tutt'altro, ho soprasseduto a tali commenti, decisa a farmi un'idea mia del tutto. All'ora di pranzo mi son messa comoda sul divano e ho iniziato a conoscere Francesca, la protagonista. In pochissimo tempo sono arrivata al cinquanta per cento del romanzo domandandomi circa l'identità di talune persone in grado di definire “In Paradiso” assolutamente da non leggere. Giunta, subito dopo cena, alla fine del romanzo, mi sono chiesta se, per caso e come sempre, non ci fosse lo zampino di qualche autore invidioso dietro ai nick fantasiosi volti a sminuire il lavoro della Aigle. È indubbio il fatto che ci si trovi davanti al romanzo d'esordio di una scrittrice con poca esperienza, lo dimostrano gli errori dovuti alla disattenzione oppure ad alcuni particolari quali tre punti esclamativi consecutivi, il ripetere il nome dell'interlocutore nonostante sia ben chiaro di chi si tratti. Ma, ragazzi, come ho già tenuto a sottolineare in precedenza, un autore è un autore e il suo mestiere è quello di scrivere storie che riescano a coinvolgere, ad emozionare, a trasmettere. E la Aigle tutto ciò lo ha fatto. Leggendo e andando avanti, magari documentandosi, dal punto di vista di qualche particolare in più sulle regole dell'editing, sicuramente perfezionerà ciò che “In Paradiso” è ravvisabile come refuso, ma in quanto a talento nel voler esprimere concetti non ha certo di che giustificarsi con nessuno. Le si è imputato il fatto di descrivere il rapporto anale al secondo giorno di conoscenza con l'uomo dei suoi sogni, nonostante la protagonista non ne avesse mai fatto “uso”. Ragazzi: succede. E neanche così poco spesso. Certo, io avrei ridotto i numerosissimi amplessi, cosa magari non proprio veritiera, ma si tratta di un romanzo, non di vita vera. E ogni uomo, così come ogni donna, sogna notti di interminabile e fantastico sesso, anzicheno! Le si è imputato il fatto di aver parlato della protagonista intenta a bere, e cito testualmente, sperma come fosse cocacola, cosa non solo non vera, dato che l'autrice non ha mai utilizzato neanche lontanamente un espressione volta a pensarlo, ma, comunque, possibile. Vorrei ricordare che i pensieri che possono scattare nella mente di una ragazza come quella descritta nel libro sono molteplici e non per forza confinati in una morale imperante nella società perbenista che vige ai giorni nostri. Su questo punto, oltretutto, avrei molto da dire, dal momento che nessuno ne parla, ma chissà come mai, i romanzi erotici vanno a ruba. È stata altresì mossa l'accusa di ripetere l'espressione “raggiunse l'orgasmo gridando il suo nome” addirittura con il supporto di una cifra. Il commentatore si è messo a leggere il romanzo contando le prole... Queste sono le critiche assolutamente inutili di cui nessuno ha bisogno. Non ci sono molti modi per esprimere determinati concetti, e per quanti se ne possano trovare, si risulterà sempre poco originali. Siamo nel 2014, non nel 1900, e come la musica, molto è stato già scritto e divulgato. La maestria di un autore sta nel creare una storia coinvolgente e narrarla nella maniera più empatica possibile. E la Aigle, questo, lo ha fatto. Leggendo un romanzo erotico io mi aspetto di avvertire un brivido di eccitazione, una sorta di divertimento o di coinvolgimento emotivo. Bene, nel “In Paradiso” non manca nulla di tutto ciò. Non posso che ritenermi soddisfatta della lettura, e posso asserire, senza ombra di dubbio, che attenderò maggio per leggere il secondo romanzo di Antonella, già nella programmazione della Damster edizioni. Spero si giunga, prima o poi, al bando di questa esterofilia dilagante. Gli americani non sono migliori di noi, ragazzi, hanno solo mezzi più potenti per arrivare nelle nostre librerie. Punto. Di seguito lascio il link al romanzo di Antonella Aigle, “In paradiso”, invitandovi al suo acquisto:http://www.amazon.it/In-Paradiso-Damster-Erox%C3%A8-parola-ebook/dp/B00GG2JEX0/ref=sr_1_1?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1393244665&sr=1-1&keywords=in+paradiso

lunedì 24 febbraio 2014

Un giorno da favola di Fabiola D'Amico

UN GIORNO DA FAVOLA


Francesca è un dottoressa specializzata in sessuologia. Francesca è una validissima amica, senza la quale Maria sarebbe persa. Francesca è la webmaster di un blog dedicato interamente al mondo romance in chiave austeniano. Soprattutto, Francesca è una donna sola, dedita indefessamente al proprio lavoro, incapace, dopo il suo fallimentare rapporto di cinque anni prima, di provare alcuna fiducia nei riguardi del sesso forte. Preferisce riversare tutta la sete di romanticismo che prova nelle storie che legge accanitamente e nei personaggi maschili dei romanzi, dal temperamento così forte da procurarle un'infatuazione viscerale a ogni incontro. La verità è che Francesca attende il suo principe azzurro, senza che questo, però, sembri destinato a palesarsi nell'immediato futuro. Per lo meno fino a quando, in una mattina da dimenticare, Christian entra, assieme a un torrente di pioggia scrosciante, nella sua vita. A impadronirsi dei suoi sensi, del suo cuore, della sua anima, se possibile. Da quel momento in avanti, sarà una storia d'amore in piena regola, in perfetto stile “giorno da favola”. Ed è proprio da questo titolo che parto per raccontare di un'autrice scoperta per caso, Fabiola D'Amico, DEGNA di essere chiamata scrittrice, nonostante la ritrosia che lei stessa dimostri nel fregiarsi di tale titolo. Con una rapida ricerca nel web, si scoprono tantissime cose, sul conto di una persona, primo fra tutte le pubblicazioni a cui ha dato seguito nella proprio carriera. Bene, la D'Amico sa il fatto suo. Perché è un'autrice di romance, ma lo è anche, e in maniera brillante, di genere erotico. Oltre a questo piacevolissimo romanzo, ho avuto occasione di leggere anche “La compagnia delle orchidee”, romanzo breve edito dalla Damster edizioni, in cui riesce a dar sfoggio della sua penna sagace, ironica e davvero talentuosa. C'è una cosa da puntualizzare, a chi vorrebbe obiettare errori di distrazione,  presenti in “Un giorno da favola” specialmente (semplicemente perché autopubblicato): un autore non è un l'addetto all'editing. Nella concezione comune e moderna, data la crisi del mercato dell'editoria, si è stati portati a credere che l'autore sia anche la persona con l'obbligo di smussare gli errori, la forma o, molto più volgarmente detto “correttore di bozze”. Bene, non è così. Che bisogni mettere cura nel proprio lavoro, cercando di svolgerlo nel migliore dei modi è un dato lapalissiano, sul quale nessuno si permette di obiettare, ma l'autore è una cosa, l'editore è un'altra. E solitamente, anche se in maniera fiacca, il correttore di bozze viene pagato per il proprio servizio dalla casa editrice. Come si suol dire, a ognuno toccherebbe svolgere il proprio lavoro. Ed è per questo motivo che, pur rimarcando il fatto oggettivo della presenza di alcuni errori (peraltro marginali e non attinenti a una qualche ignoranza dell'autrice, ma semplicemente, forse, a una fretta nel voler divulgare il proprio lavoro agli altri) mi trovo a considerare semplicemente la storia narrata. Storia che ho trovato gradevolissima, simpatica, con personaggi descritti in maniera acuta, in grado di trasmettere emozioni di affetto, ironia, simpatia, rabbia. E quando un autore riesce in tutto ciò, perdonatemi, ma io lo chiamo autore. La D'Amico è riuscita a farmi leggere il suo romanzo in una serata, e non è cosa da poco. Come sempre sono estremamente sincera. Ho ignorato libri lasciati a metà e contattato i vari autori spiegando il perché avessi agito in una maniera simile. Con Fabiola D'Amico non ne ho avuto minimamente bisogno: il libro m'è piaciuto. Una revisione ulteriore e il suo romanzo potrebbe benissimo essere presentato a case editrici valide, anziché essere confinato all'autopubblicazione (e chiamiamola in italiano, per favore, dato che viviamo in questo paese!) Unica nota che devo assolutamente porre a margine è la moda, che ho riscontrato ultimamente, di inserire i titoli dei propri romanzi nei propri libri, facendo leggere ai protagonisti le pubblicazioni passate dell'autore stesso. Sono già tre volte, nel termine di un mese, che leggo di questa usanza in vari autori e non mi piace. Perdonatemi, ma a me non piace proprio. Discorso, forse, prettamente soggettivo, ma ripeto: dico ciò che penso. Tolto questo dettaglio, comunque, che rimane fine a sé stesso e che non pregiudica la lettura di “Un giorno da favola”, consiglio la ricerca dell'autrice in rete. Leggete i suoi lavori e scoprirete un mondo nuovo, credetemi. La simpatia e la maniera brillante di scrivere di questa autrice vi lascerà soddisfatti. Purtroppo ho letto recensioni, inerenti a questo romanzo, assurde. Mi chiedo se le persone, in Italia, comprendano davvero il senso di ciò che leggono e soprattutto di ciò che dicono. Vi lascio il link, come di consueto:

venerdì 21 febbraio 2014

Occhi nelle tenebre di M.P.Black

BRILLIANT - occhi nelle tenebre (BRILLIANT SAGA)
Victoria Moore è pronta. Deve assolutamente imparare a domare le sue quattro arti, in modo tale da poter mettere ordine nella sua vita, ma soprattutto, nel suo cuore. Jonathan si è rivelato il suo vero angelo custode, il cavalier servente sempre pronto a proteggerla dal pericolo incombente. Ma Simon è così tanto crudele? Possibile che l'amore, tanto promulgato, sia stato solo un atto di coercizione per ottenere il corpo della ragazza, nonché la sua totale arrendevolezza? Ai posteri, e ai lettori, l'ardua sentenza. Io, ormai, lo so! Ho letto, come sempre accade con i romanzi della Black, d'un fiato il secondo episodio della Moore, “Occhi nelle tenebre”. Cambiando decisamente registro, orientando la narrazione in chiave nettamente più adulta, la MP spiazza il suo lettore, avvalendosi di una malizia di cui non si pensava fosse in grado. E invece ecco la Moore alle prese con una passione dirompente, sovente analizzata nel particolare, molto spesso eviscerata come in un romanzo decisamente erotico. La Black è adulta? Oh mio Dio, per me è stata una rivelazione! Anche perché lo è nella maniera giusta, senza sottolineare troppo, accarezzando ciò che va solo velatamente descritto e calcando la mano laddove se ne abbisogna. L'unica cosa che a me personalmente ha lasciato un poco perplessa è il linguaggio, a volte forse un po' troppo sboccato della Moore, che stona un poco con il resto della narrazione. In più c'è da dire che c'è una differenza abissale tra Brilliant e il suo seguito. Non che ne sia rimasta delusa, anzi ne sono affascinata. Sono contentissima di conoscere un lato di questa autrice, fin'ora sconosciuto. La rende molto più poliedrica e meno “Cristina D'Avena”. Nonostante questo c'è da dire che la Black rimane fedele a sé stessa nella struttura dei personaggi. Si vede molto di Lisa in Victoria, psicologicamente, così come gli amici delle due eroine messi a confronto. Come sempre ho odiato i buoni e adorato i cattivi, per altro descritti in maniera decisamente più accattivante, e non ho sopportato per nulla gli adulti. Insomma, la Black, pur dimostrando la sua capacità di evolvere il proprio linguaggio, rimane la nostra Black. E ne sono contenta, a dire il vero. Sono presenti alcuni refusi marginali, che devo testimoniare per dovere di cronaca, comunque per nulla rilevanti e che non invalidano assolutamente il lavoro finale. MP Black, come direbbe il tizio della Lipton: mmmm fenomenale! Di seguito, senza neanche starlo a ribadire, il link per l'acquisto. Alla prossima!

giovedì 20 febbraio 2014

La guardia del corpo di Letizia Draghi


La guardia del corpo: 8 (Senza sfumature)


Dopo la parentesi fallimentare con Daniele Martini, Alessia torna a essere la semplice segretaria nello studio della “rapace” Ornella. È disincantata, scottata da un rapporto, quello con l'ideatore della Sala delle Punizioni, che l'ha toccata nel vivo, creandole ancora più insicurezze di quante non ne avesse prima. Ma una cosa buona, da tutta quella storia, ne è uscita fuori: l'assegno da duecentomila euro che l'uomo le ha elargito a seguito del suo coinvolgimento alla realizzazione della sala sadomaso. Forte di quei soldi, finalmente la nostra eroina avrà la possibilità di andarsene via da casa, da una madre egoista, dal suo compagno dispotico e da tre fratellastri tutt'altro che mansueti e dolci. Ma un terremoto arriva a scombinare i suoi piani. E non si tratta di un terremoto emotivo, bensì di uno vero, reale. Non posso andare oltre, come sempre, altrimenti svelerei troppo, ma io adoro Letizia Draghi. Il modo che ha di scrivere è talmente scherzoso e colloquiale da rendere la sua Alessia un'amica ideale, la classica persona che si desidera incontrare e di cui si vuole sapere tutto. La guardia del corpo, personaggio che entrerà in scena quasi da subito, è il classico sogno di ogni donna. Uno straniero, palestrato e mastodontico, in grado di proteggere, adulare e amare la propria compagna. Bello da togliere il fiato, Sergey salva Alessia non solo da uno scippo, ma anche da sé stessa e dalla vita infelice a cui è costretta. Ne rapisce il cuore, i sensi, introducendola in un mondo differente, atto soprattutto a valorizzare le sue potenzialità, invece di abbrutirle. Sergey desidera far scoprire ad Alessia che anche lei, come ogni donna, è una potenziale farfalla pronta a spiccare il volo distendendo le proprie, bellissime, ali. Sarà proprio lui, infatti, a farle capire cosa significa osare credendo nelle proprie potenzialità e possibilità. E lo farà nella maniera più sensuale e sessuale possibile. Le scene erotiche, come nella Sala delle punizioni, sono divertenti, accarezzate in modo deciso ma mai volgare, atte a evidenziare un'eccitazione latente sempre in bilico tra il fare l'amore e il sesso selvaggio. Alessia è un portento, simpatica e delicata, grazie anche alla sua insicurezza che abbandona, via via, facendo spazio alla donna che è in lei e che preme per fuoriuscire. In più le parole utilizzate da Sergey, durante la seduzione, lo rendono quanto di più desiderabile esista... Insomma, ho già acquistato Body Sushi, il capitolo successivo della Draghi, ma non potevo esimermi dal leggere “La guardia del corpo” e non potete farlo neanche voi! Quindi, bando agli sprechi e avanti con gli acquisti intelligenti, perché la Letizia li merita tutti, come tutte le autrici della collana “senza sfumature”! Di seguito link, ragazzi!

mercoledì 19 febbraio 2014

Non si parla del "diverso"... Giusto, perché dovremmo?

Ho notato con sgomento che nessuno, e dico nessuno, ha parlato del programma andato in onda il 17 di febbraio su Rai3. Che programma era? Uno stage di sei ragazzi con sindrome di Down presso un albergo. Innanzitutto c'è da riportare l'ormai nota e triste realtà di vedere tali programmi di informazione su canali secondari e in fasce orarie decisamente proibitive per molti. In più, a questo, si aggiunge la pochissima informazione dell'evento. Se la persona Down viene schiaffata in prima serata con la De Filippi per far ridere qualcuno tutto bene, ma se bisogna indagarne la vita vera si baipassa tutto ad altri. Vi sembra una cosa normale? In Italia lo è, eppure non dovrebbero esistere queste cose. Tempo fa scrivevo dell'importanza, per il cosiddetto "normodotato", di aiutare, se si è in grado di farlo, il prossimo meno fortunato. E per meno fortunato intendo dal punto di vista genetico. Ora: se non ci si prende neanche la briga di informarsi su ciò che fa parte del proprio mondo, che senso ha promulgare buoni e falsi sentimenti? Facile intenerirsi davanti all'immagine di due persone con handicap che si baciano. Facile indignarsi fino ai capelli davanti ai soprusi dei bulli ai danni di chi è debole, ma quando si tratta di fare qualcosa di concreto, oppure semplicemente prestare attenzione per più di cinque minuti a quello che da noi risulta "diverso" è troppo... Ed è davvero sconcertante. C'è la concezione comune, e credetemi che parlo per esperienza, di guardare alla persona Dwon come al "porello" al "eh, ma c'hanno una forza..." "eh, ma c'hanno una sensibilità..." "eh, ma so tanto dolci" "eh, mi fanno tanto ridere"... Chiariamo una volta e per tutte, dato che nessuno si informa sul tema e nessuno tenta di farlo: le persone con sindrome di Down sono PERSONE, non giullari di corte, mostri dei circhi passati o individui da compatire. Se solo la società si prendesse la briga di accettare il prossimo per quello che è, e non per come lo intende e per quanto timore gli rechi, allora si vivrebbe in maniera più civile. Ci sono voluti secoli affinché chiudessero i manicomi e le persone con handicap cominciassero a venir trattate non più come bestie ma come persone con una propria patologia da valutare. Non mi sembra, però, che dalla legge Basaglia la concezione sociale sia mutata più di tanto... Addirittura pochi anni fa si parlava di nuovo di creare delle classi speciali per persone speciali, tanto per confinare l'handicap lontano dai normodotati in modo da non intaccarne il prezioso apprendimento. Le bestie, in questo caso, continuiamo a essere noi. Vado su Facebook e continuo a veder parlare di cani, gatti, giraffe, movimenti gay, movimenti politici, diatribe su eventi assurdi quali programmi televisivi o partite di calcio. Per carità di Dio, la vita è fatto di e soprattutto di questo. Ma come mai non esiste nessun dibattito sulla condizione dei bambini con handicap nelle scuole? Sul fatto che le ore di sostegno siano state ridotte al lumicino, impedendo un regolare apprendimento di questi bambini in funzione delle loro reali capacità? Si parla di scuola, ma solo in funzione dei professori, dei maestri, dei bambini normodotati, delle impalcature che cedono. Ma il fatto che una famiglia debba vedere e sapere che il proprio bambino con handicap viene condotto a scuola per, la maggior parte delle volte, disegnare su un foglio di carta bianco per cinque ore, cosa che potrebbe fare benissimo a casa sua, no. C'è giustizia? No. C'è informazione? No. Ed è anche vero che la maggior parte delle volte tale informazione, seppur fatta, viene ignorata dalla società e bollata come "notizia noiosa", ma riportata in auge solo nel momento di un'elezione, tanto per accaparrarsi qualche votarello in più. Se si parla della persona Down si deve far ridere, altrimenti non ci si accattiva la simpatia delle persone. Se si parla dell'autismo lo si deve fare solo alle Iene e portando come esempio un ragazzo che ha la fortuna di avere un grande papà che ha sacrificato tutto per lui. Dei sordi e dei ciechi o dei muti non si parla proprio, tolta la pubblicità con Arbore. Poi ci sono le varie associazioni per le malattie rare e rarissime che chiedono, giustamente, contributi e che, strano ma vero, hanno ben più visibilità delle patologie più comuni. Anche solo il ritardo mentale non viene per nulla menzionato e si continua a vedere gente adulta che ride a crepapelle davanti a una persona che, pur sforzandosi, non riesce a comprendere determinate cose. A volte verrebbe da prendere tutto e mettere a ferro e fuoco le istituzioni, ma poi si dovrebbe passare a picchiare l'ignoranza e non è possibile. L'unica cosa che è concessa fare è continuare a divulgare un amore per chi non si conosce, per chi ha il DIRITTO di esserci, tanto quanto noi. Spero che prima o poi la mentalità muti, istruendo i bambini a una sensibilizzazione che ben pochi genitori posseggono.

lunedì 17 febbraio 2014

Zona d'ombra di Emiliana de Vico


Zona d'ombra: 7 (Senza sfumature)


Vivienne è sola. Di nuovo. Alexander Cambi è stato un miraggio, una dolorosa meteora nel suo mondo fatto di solitudine e dolore altrui. Non ha voglia di amare, non più. Il tradimento emotivo dell'uomo l'ha travolta, facendola piombare in un'insicurezza che dovrebbe essere propria dei suoi assistiti, non sua. Ma in fondo nessuno è al riparo dalla tristezza e dal dolore, pur conoscendo questi sentimenti nel profondo, pur avendo guardato negli occhi la solitudine, la violenza di un amore perverso. Ma Vivienne è ignara del fatto che il futuro è un libro oscuro nel quale sono scritti destini involontari, provenienti quasi da mondi paralleli. Sexy Law, o più semplicemente Oliver, arriva come un turbine nelle sue giornate, scombinando le sue certezze con le sue zone d'ombra, visibili, latenti, dolorose. Ero incerta, all'inizio, avendo timore di leggere una sorta di replica del primo episodio. Sono stata sorpresa, travolta io stessa dalle emozioni che la De Vico ha trasmesso, così intense da mettere, quasi, in secondo piano l'erotismo, descritto in maniera strategica e spiazzante, come era stato nel primo episodio. Nessuna replica, ma un'intensità tale da spingere a indagare il proprio animo. Fino a quanto si è disposti a donare di sé stessi in favore di un amore totalizzante? La violenza psicologica, molte volte, sa essere più subdola e penetrante di quella fisica, spingendo un individuo ad annullare la propria identità in funzione del proprio aguzzino, di cui non si percepisce la pericolosità. Mai. La forza di Emiliana sta nel testimoniare e nel provare che la violenza non è propria solo degli uomini, intesi come maschi. La violenza può essere perpetrata su chiunque, in un turbinio di ricatti capaci di evirare, uccidere, annientare la volontà della vittima. Con “Zone d'ombra”, di nuovo, la De Vico dimostra la sua sapienza, in ambito psicologico, spingendo però il lettore ad arrivare con le proprie capacità alla soluzione di un bandolo intricato quanto può esserlo una mente distorta dal dolore. Vivienne è toccata da una violenza data dal tradimento della fiducia riposta, mentre Oliver è vittima di un tipo di coercizione forzata, mentale, invisibile, ma latente. Come sovente accade, con le grandi penne che si ha la fortuna di leggere ogni tanto, l'erotismo eccitante è un trait d'union tra la psicologia e l'amore. La mente umana sa essere complicata, ostica e decisamente ottusa, se permeata da sentimenti poco usuali, e da ciò che la morale considera insensato e sbagliato. Non posso andare oltre, nelle considerazioni, perché rischierei di rivelare troppo di un racconto che desidera essere letto perché meritevole di rimanere nella mente e nella coscienza di tutti, come bandiera, specialmente in questi periodi bui in cui la violenza sulle donne è criticamente presente in Italia e nel mondo, inneggiante alla libertà dell'individuo e alla propria dignità nell'essere vivo. Link di seguito, non posso che battere le mani ad Emiliana, rinnovando i miei complimenti

domenica 16 febbraio 2014

In attesa di te...



Il tuo potere immenso

Il primo giorno che
ho saputo di averti creato
che ho percepito il senso
di aver avuto potere in questo



Quel primo, singolo giorno
ho capito che eri, per me
come l'unico libro meritevole
di essere sfogliato e letto


Le sole pagine
in una vita intera
degne di essere sfiorate
dalle mie mani tremanti


L'unico essere in grado
di emozionare il mio umore
non avendoti visto
non avendoti udito



L'unico cuore
in grado di essere percepito
senza che il mio orecchio
abbia mai potuto udire suono


Le uniche mani
che afferro ogni giorno
ogni notte di questi mesi
senza poterle vedere


Sei l'unica emozione
immaginata eppure reale
un concetto impossibile
ma naturale, nel contempo


Non sono io ad avere potere
ma tu a possederne uno immenso
ispirare amore

rimanendo celato al mondo

sabato 15 febbraio 2014

Il suo gioco di Frances Shepard



Il suo gioco - copertina



Si può essere travolti da una passione tanto forte da essere indotti a sposare l'oggetto della propria bramosia? Lilian, donna inglese di origini, ma anche nell'animo, pensa di si quando decide di essere la moglie di Leonardo, uomo facoltoso e aristocratico della Roma bene dei primi anni del '900. L'amore scoppia, frenetico e irrefrenabile, nel cuore della donna, incapace di resistere agli occhi e al fascino dell'uomo. Ogni giorno è come il primo. Ogni carezza scatena, nelle membra di Lilian, una scossa talmente potente da farle rinnovare un sentimento lungi dall'esaurirsi. E, forte di queste emozioni, la donna scoprirà di aver sposato uno sconosciuto, dal passato celato nel mistero. Ma, questo, rappresenterà un ostacolo al rapporto, oppure un modo per comprendere la reale natura dei sentimenti che l'uomo nutre nei confronti della sua sposa? Frances Shepard, pseudonimo di un'autrice premiata dal talento innegabile, descrive in maniera saggia, delicata ma decisa, una storia di amore travolgente, in grado di proiettare il lettore nei luoghi sfarzosi in cui i personaggi si muovono, odorando gli stessi odori e toccando, con mano, gli stessi mobili e suppellettili. Fin dalle prime battute, si ha l'impressione di conoscere Lilian, di scorgerne il rossore nell'indugiare sul corpo del suo amato, lasciandosi andare alle vibrazioni naturali che l'amore le scatena dentro. Si è con lei nel castello, durante il ricevimento per gli amici di Leonardo, provando lo stesso suo turbamento nell'entrare, dalla porta principale, in un mondo a lei sconosciuto. Leggendo, fremendo, si provano i batticuori e i dubbi della morale, il terrore di scorgere una parte dell'animo, fino ad allora sconosciuto, trasgressivo ed eccitante. Insomma, la Shepard sa come parlare al lettore e lo fa senza indugi, lasciandosi andare a scene erotiche in grado di incendiare e sognare, delineando mondi, trasgressivi ancora oggi, denunciando come la morale abbia prevalso sull'istinto umano che non vorrebbe fuggire ad alcune pratiche, nonostante la gelosia, nonostante lo spettro del tradimento a pungolare un cuore tentato. Già da come ne sto parlando, si può capire benissimo come “Il suo gioco” non sia un racconto erotico fine a sé stesso, ma una goccia nel mare della riflessione, screziata dal pizzicore proprio del proibito. Un gran bel racconto, meritevole indubbiamente di essere letto per la classe con cui è narrato. Spero di leggere altro di questa brillante autrice. Ovviamente, rinunciando al vostro caffè giornaliero, invito caldamente all'acquisto tramite il link che segue (guardate che vi sto facendo un favore... è meglio una buona lettura piuttosto che l'ennesimo caffè della giornata!)

venerdì 14 febbraio 2014

Babe, i'm gonna leave you (a San Valentino un horrorino c'è tutto!)

Da leggere con questa, stupenda, colonna sonora dei Led Zeppelin...




Seduta sulla riva di quella spiaggia incontaminata, Babe si sentiva in pace col mondo. Una mano a stringere, teneramente, quella di Robert, chiuse gli occhi, inspirando a pieni polmoni l'aria calda carica di salsedine. Tutto il suo passato era dimenticato, sfocato, inarrivabile. Contava solo il calore del sole, giunto al termine del suo cammino giornaliero, l'odore del sale e lo stridere degli uccelli sull'acqua. Null'altro. Avvertì l'amore penetrare ogni fibra del suo essere, seduta li, sulla sabbia bianca dell'isola, mentre le carezze del suo uomo indugiavano, timide, alle porte della risolutezza. Gli occhi serrati, Babe desiderò fermare quel frammento di tempo, vivere in eterno il momento perfetto, dimenticando le urla, il buio, il fuoco.
Il fuoco. Quelle lingue suadenti e calde capaci di ardere la sua carne, senza per questo incendiarla. Solo Robert riusciva a farlo. Avvertì lo sguardo languido dell'uomo sulla sua pelle, scaldata dai raggi dell'estate ormai al termine, fremendo del desiderio di essere posseduta, nel suo frammento di tempo statico. Ma non sarebbe accaduto. Aprì gli occhi, la bocca serrata, e si voltò verso il compagno, lo sguardo lucido di lacrime. Il cuore dilaniato dalla consapevolezza, sorrise enigmatica. Qualcosa la stava chiamando, lo avvertiva. Sarebbe tornata a casa, contro il suo volere. A casa. Una lacrima, solcandole il volto accaldato, si andò a incuneare tra le labbra, ora socchiuse, mescolandosi alla saliva. Non sua.
-L'ora è giunta- sembravano sibilare le onde. Ma il mare, che le parlava, le scorreva nelle vene. Era la lava, quella dell'inferno, che la richiamava, mentre Robert, ignaro, continuava ad accarezzarle i capelli, amorevole. Non avrebbe voluto abbandonarlo, e lui lo avrebbe compreso. Se fosse rimasto vivo. Ah, il sole, i suoi raggi calanti, l'estate che, volgendo al termine, richiamava i suoi sensi attenti. Babe socchiuse gli occhi, il sorriso sempre sulle labbra carnose, si voltò di nuovo verso la schiuma infranta sulla riva, ai suoi piedi. Una chitarra in lontananza, il suono struggente dell'arpeggio, mentre le parole del cantante arrivavano chiare, come a voler spiegare la scena di un film muto.
-Devo lasciarti, sai che non vorrei, ma devo farlo. Qualcuno mi sta chiamando. A casa. Non senti?
-Vieni. Ti stiamo aspettando. Ti abbiamo dato il tempo di cui necessitavi. Ora basta. Ora cedi.
Babe, le braccia strette ad avvolgere le ginocchia rigide, cominciò a cedere, in effetti, mentre le parole della sua anima e quelle della canzone si sovrapponevano.
-Babe, devo lasciarti.
Ma non era Robert a dover lasciare lei. Era il contrario. E la donna non lo desiderava. I baci dell'uomo, sul collo caldo e liscio, la fecero rabbrividire, mentre il buio cominciava a sostituire i raggi rossastri del sole. Del suo cuore.
Pietra. Avvertì il battito rallentare, indurirsi, irrigidirsi. Le mani, ora strette convulsamente ai polpacci, si arcuarono, così come la sua schiena, d'improvviso a terra nello spasmo del cedimento. Stavano arrivando, la stavano afferrando per spingerla nella lava, per ucciderla con le loro urla, con i loro ghigno. L'unico pensiero di Babe era di non voler abbandonare Robert. Non voleva far ritorno a casa, ma doveva. Lui la stava chiamando. Lui, il suo Signore.
-Sei mia, hai promesso. Sei mia.
E lei desiderò, ora, non aver annuito alla richiesta del suo Signore. Un patto che la costringeva ad abbandonare il suo Robert, li, mentre l'estate volgeva al termine. Li, sulla spiaggia dalla sabbia bianca, mentre i suoi occhi si rovesciavano, rivelando il grigio delle pupille, la saliva, colante dalle labbra socchiuse, nel sorriso enigmatico di poco prima. Robert urlò, le si avventò addosso. E lei avrebbe voluto gridargli di arretrare, lontano. Doveva lasciarla andare. Tornare a casa. Doveva. L'arpeggio della chitarra crebbe, mutando in una sventagliata di musica potente, mentre le urla dei suoi fratelli si affastellavano al grido di dolore del cantante. E lei, Babe, pianse, nel sorriso, afferrando la gola di Robert, stringendo. Si sarebbero incontrati di nuovo, un giorno, ma doveva tornare a casa. Doveva lasciarlo. Sotto i raggi del sole in tramonto, sulla sabbia bianca, col sangue a fluire dalle dita rigide. Doveva lasciarlo e non avrebbe voluto. Un ringhio, dalla sua bocca, eruppe nel silenzio dell'isola, rotto solo dallo stridere degli uccelli in volo. Robert si accasciò, riverso con il volto al cielo, mentre lei, sorridente, pianse il suo dolore, accanendosi sul corpo del suo amato. Morse la carne dell'uomo, divorandone il collo
-Babe, sto per lasciarti... Non scherzo, devo andare. Tornare a casa.
Lo aveva già lasciato. Nonostante avesse desiderato passeggiare con lui, mano nella mano, oltre quell'estate, oltre i loro corpi, oltre le loro coscienze. Ma il suo Signore le aveva parlato, imponendole comandi scomodi. Col sangue tra i denti, Babe continuò a succhiare avidamente il midollo nelle ossa dell'uomo. Si sarebbero incontrati di nuovo. O forse lo avrebbe semplicemente custodito per sempre dentro di sé, insieme ai suoi fratelli. Fratelli uniti, amorevoli nel loro delirio, pronti a possederla a turno, sempre presenti, eppure discreti quando serviva.
-Babe, sto per lasciarti. Mai, mai, mai, mai ti lascerò...
La donna dilaniò il torace villoso di Robert, arrivando al cuore con le sue unghie affilate. Si chinò, i capelli a solleticare una trachea ormai inesistente, a suggere gli atri scomposti, palpitanti fino a poco prima. Eppure lo aveva avvertito. Gli aveva detto di ascoltarla. Divorò metà del suo cuore, le lacrime a rendere salato il sangue sulla lingua, e pensò di voler passeggiare nei parchi, tutti i giorni, con lui. Lo avrebbe fatto. Perché lui sarebbe tornato a casa con Babe. Robert le sarebbe rimasto attaccato all'anima, donata, ma pur sempre sua.
Pur sempre sua. Nessuno arrivò a porre termine a quello scempio, e il sole calò il sipario sul giorno, mentre l'arpeggio scemava e le urla dei suoi fratelli si acquietavano. Babe si sdraiò accanto al corpo di Robert, ansimante, gli occhi ancora riversi all'interno, a lasciar scoperto solo il grigio, solitamente celato dalle palpebre. Represse i conati di vomito, portando una mano alle labbra, sempre rigida, sempre risoluta. Robert sarebbe rimasto con lei. Durante il viaggio di ritorno. Glielo aveva detto, lo aveva avvertito.

-Devo assolutamente andarmene da questo posto – mormorò, sommessamente, al vento caldo dell'isola. Poi un battito di ciglia, gli occhi dalle iridi verdi al loro posto, in un altro luogo, in un parco. Senza Robert, senza Babe. Era così, quando qualcosa la chiamava. Quando qualcosa la richiamava a casa. E la canzone riprese, l'arpeggio struggente a riportare, sulla carne dilaniata di Robert, il suo senso di abbandono, mentre Babe, lontana, era tornata a casa. Dal suo Signore.

giovedì 13 febbraio 2014

Il gioco dei ricordi di Laura Bellini


Il gioco dei ricordi



Ayleen, Gabriel e Nathan. Tre individui, differenti tra loro, uniti da un legame lungo secoli. L'amore. Un amore viscerale, costituito da regole, scelte, dolori, decisioni pesanti e gioia. Si, perché l'amore, anche tra essere differenti tra loro, è tutto questo. Ayleen lo scopre, a sue spese, donando tutto di sé stessa affinché la scelta a cui è chiamata sia giusta, corretta, totalizzante. Perché Gabriel e Nathan non sono umani, ma angeli. E che angeli! Il bene e il male, la gioia e il dolore, la vita e la morte. Un dualismo perfetto, due facce di un'unica moneta, imprescindibile e indivisibile. Forse... Appare impossibile, alla ragazza, decidere chi, dei due, sia l'unico uomo in grado di rubarle, definitivamente, il cuore. Se da una parte vi è lo stupendo Gabriel, i tratti divini, la dolcezza personificata, l'angelo divenuto quasi uomo, per lei, dall'altra vi è Nathan. E Nathan è... tutto. La scelta sembra semplice, dannatamente facile, ma ad Ayleen non basta. Perché il cuore si accende alla vista di entrambi. Come scegliere? Sarà sufficiente vagare per i secoli che hanno visto l'amore tra i tre vivere e soccombere? Sarà abbastanza conoscere le storie e gli intrighi che hanno caratterizzate le loro vite passate, pregne e dense di un'amore vincolato a regole divine ferree e frustranti? Oppure Ayleen sarà costretta a rinunciare a entrambi gli angeli in favore di una libertà agognata e mai ottenuta, da un sentimento totalizzante ma, nel contempo, vincolante alla sofferenza? Laura Bellini inizia con questi presupposti un romanzo che ha tutta l'aria di risultare un mix di generi concatenati tra loro. Mai banale, ma a volte (molte poche, ve lo dico!) poco originale, “Il gioco dei ricordi” è un'opera di indubbio impatto emotivo, dai forti connotati fantasy con un pizzico di reale che non guasta. Denotando una spiccata saggezza in ambito storico, la Bellini guida il lettore alla riscoperta di molti avvenimenti che, nei secoli, hanno fatto della società il grande mondo che noi tutti viviamo. D'improvviso, infatti, ci si trova catapultati nella Roma dei cesari, con gli intrighi che hanno denotato l'era imperiale e gli sfarzi proprio di una cultura abituata a vincere su ogni popolo. Poi, sempre seguendo un filo logico, che è quello della ricerca di un'amore che prevarica il tempo e lo spazio, si giunge a bordo del Titanic, in procinto di affondare; poi, ancora, si vive ai tempi di Cavallo Pazzo, e, ulteriormente, nella Romania di Vlad... Insomma, di ogni epoca, la Bellini dimostra la sua cultura, la saggezza del saper narrare, la voglia di condividere, con il lettore, la propria sapienza. E la morale è che si rimane talmente incuriositi, da tali mondi, tanto da riprendere il libro di storia e approfondire taluni argomenti. Sorvolando su questo punto, ci sono anche altri particolari a suggerire la lettura del “Gioco dei ricordi”: la passione con la quale si vive l'amore narrato, le situazioni mai scontate, che ribaltano in un momento ogni certezza. Morte, dolore, omicidio. C'è tutto. E in tutto questo tutto, emerge vittorioso il personaggio di quello che dovrebbe essere il cattivo, che poi tanto cattivo non è per nulla. Nathan, l'uomo che chiunque vorrebbe accanto. Un cavalier servente pronto a sacrificare il proprio futuro in funzione dell'unico amore della sua esistenza... Ovviamente, come in ogni buona storia di un autore emergente, i difetti sono riscontrabili, ma in maniera decisamente inferiore all'impatto emotivo che riesce a donare Laura al suo lettore. Leggerlo? Si, assolutamente. E vi assicuro una cosa... Il finale a sorpresa merita la lettura di tutto il romanzo, senza dubbio alcuno. Non sono persona facile da accontentare, io, e la Bellini credo se ne sia accorta dai miei commenti precedenti, ma posso assicurare a voi che “Il gioco dei ricordi” edito da Butterfly Edizioni, merita di essere acquistato. Di seguito, obviously, il link all'acquisto.

mercoledì 12 febbraio 2014

Il dolce sapore della vendetta di Macrina Mirti




Appena tornata da Oslo, giovane donna con la prospettiva di una carriera fulminante nella Andreoli Cachemire, Sandra si ritrova alla festa di capodanno in casa dei suoi datori di lavoro. Potenzialmente timida, proveniente da una famiglia prettamente cattolica e bigotta, la donna spera in un futuro smagliante, costituito da soddisfazioni lavorative e una vita completamente differente da quella di sua madre, sedotta e abbandonata da un marito colpevole di aver lasciato anche due figli a suo carico. È una sorpresa per lei, quindi, trovarsi faccia a faccia con il simbolo dell'amore perduto, con l'uomo che, tanti anni prima, la tradì senza ritegno, facendola piombare in un'insicurezza latente e galoppante. “Il dolce sapore della vendetta” inizia così. Una sottile storia d'amore e risentimento, avvolta attorno alla figura di un mondo di classe, dove il denaro sembra consentire un tenore di vita al quale tutti agognano, si snoda dalla penna di Macrina Mirti, talentuosa autrice romana. Il linguaggio mai scontato, a volte ricercato, descrive con sapienza una storia capace di far sorridere e innervosire nel contempo, densa di emozioni vissute e visibili. L'erotismo appare, in maniera molto velato, in alcuni punti, mostrando amplessi che vorremmo non avessero termine in breve tempo. A volte si ha come l'impressione che l'autrice non abbia voluto soffermarsi sul mostrare chiaramente delle scene attese durante la lettura facendo accrescere, in questo modo, una fantasia, nel lettore, che invoglia ancora di più alla lettura, allo scoprire il seguito, pagina dopo pagina. Pur trattandosi di un romanzo breve, più che di un racconto lungo, si ha molto romance e molto erotismo. Macrina merita il plauso di una penna formidabile in grado di trasmettere più di quanto, forse, voglia. Il sesso è accarezzato, mostrato dietro un velo sottile e nero, come se una coltre nebbiosa sfocasse l'immagine non rendendone chiari i contorni, accrescendo, quindi, la voglia di togliere quel velo dagli occhi, aprire la porta dalla quale si sta spiando tramite uno spioncino. Mai volgare, dal fortissimo impatto emotivo, consigliato alle amanti del romance spinto, “Il dolce sapore della vendetta” è un racconto da leggere assolutamente. E come di consueto, sperando nella redenzione di chi legge poco o nulla, lascio il link all'acquisto, rimarcando come il costo di un e-book della Delos equivalga a un caffé davanti al Colosseo.

martedì 11 febbraio 2014

Incontri protetti di Emiliana De Vico

Vi chiederete come mai, tutto a un tratto, ho iniziato a postare recensioni a gogò... Beh, ragazzi, tra i libri acquistati e i racconti della Delos, non faccio altro che leggere cose da consigliare!
Incontri protetti: 5 (Senza sfumature)
Vivienne è oppressa dal suo lavoro. Un lavoro duro, che ama, ma che le arreca anche tanta sofferenza. In qualità di assistente sociale la donna è a contatto, costantemente, con la sofferenza di tantissimi bambini e dei loro genitori, scossi da situazioni raramente di semplice risoluzione. È proprio durante un caso simile che Vivienne entra in contatto con il signor Cambi. Alexander Cambi. Un uomo trentenne, dal passato celato in uno sguardo nero come la notte. Un uomo tremendamente sexy. E sarà passione, sarà travolgente trasgressione. Le scene erotiche, di amplessi carichi di pathos, si susseguiranno in un crescendo di aspettative, nel lettore, senza mai disattenderle. Ecco, “Incontri protetti” inizia con i presupposti giusti e sacrosanti di un racconto esplosivo, denso di erotismo e ricco dei colpi di scena che tanto il lettore ama nelle storie romance. L'autrice, Emiliana De Vico, dimostra a tutti cosa significa scrivere e saper trasmettere, al prossimo, emozioni sognate e fantasie agognate. Chi non ha mai, anche solo per un momento, sognato di fare del sano sesso all'aperto? Chi, tra le donne, non ha mai agognato all'uomo capace di essere dominatore e preda, nel contempo, di un amore capace di travolgere e guidare? L'autrice è riuscita a coinvolgermi, proiettarmi nel pieno del caso trattato, odiando anche, a volte, alcuni dei suoi personaggi scomodi. Nel momento in cui si è in grado di stimolare emozioni, nel lettore, si è conquistato il potere su di lui. Ed Emiliana ci riesce, tranquillamente, con il suo linguaggio mai volgare, il suo stile che denota gusto e classe, una sapienza della psicologia, complice anche il suo lavoro primario che si evince dalla biografia, in grado di trasmettere l'empatia necessaria ad affezionarsi ai suoi personaggi. Personaggi caratterizzati, seppur in poche righe, in maniera sapiente e puntuale. Non posso che consigliare questo racconto a chiunque, segnalandolo nel blog e promulgando, ancora una volta, una collana che riesce, puntata dopo puntata, a raccogliere consensi grazie ad autrici sempre nuove e fresche. La Delos non sbaglia, la Liubicich men che meno, nel selezionare le storie da presentare al pubblico, e le autrici non disattendono le aspettative. Come Emiliana De Vico, e il suo “Incontri protetti”. Di seguito, come di consueto, lascio il link all'acquisto, invitandovi alla sua lettura. Alla prossima!

lunedì 10 febbraio 2014

Il Ladro di Ledra



Il ladro: 3 (Senza sfumature)

Non posso dire di essere delusa... Contrariata, però, indubbiamente. Solitamente non commento mai i libri che mi hanno lasciata interdetta, ma questo è un caso particolare. “Il Ladro” è un racconto strano, particolare, a suo modo unico.
Strano, perché le scene si susseguono con un ritmo che non si riesce a definire incalzante o stimolante. Ogni situazione sembra a sé stante, come tante piccole storie auto conclusive messe insieme con gli stessi protagonisti a far da denominatore comune. Non vi è una vera traccia comune e l'oggetto del contendere, ciò che porta al titolo, è talmente portato all'estremo, per essere celato al lettore fino all'ultimo capitolo, che quasi perde di valore davanti alle scene descritte. Insomma non si riesce a entrare in empatia con i personaggi, nonostante ogni capitolo parli un linguaggio carico si sensualità, meritevole di essere letto e goduto.
Particolare, perché l'autrice, già dalla propria descrizione, lascia a intendere interessi differenti dalla moltitudine della società comune. Assistiamo a giochi estremi, per alcuni versi perversi, che stuzzicano delle vibrazioni forse sconosciute fino al momento in cui vengono provate. Feticismo, collezionismo inteso in senso sessuale, il legame profondo con la natura, proprio di una cultura pagana quasi sconosciuta ai più, e piacere estremo, ricercato in ogni modo possibile, senza ostacoli o preconcetti.

Unico. Non avevo mai letto nulla di simile, fino a ora, quindi non posso che essere soddisfatta dalla lettura. L'eccitazione nasce sottile, a ogni parola, e cresce con la fantasia sfrenata dell'autrice che conduce, mano nella mano, il lettore nei meandri di un universo nuovo, differente, esaltante. Perché, allora, sono rimasta contrariata, tanto da essere combattuta all'idea di parlare di questo racconto? Per gli errori che ho riscontrato nella lettura. Ci sono refusi che innervosiscono. La stessa discontinuità delle scene, seppur descritte in maniera seducente singolarmente, rende la lettura difficoltosa, ostica in alcuni punti. In alcuni punti non si riesce a capire se si sia alle prese con un flash back o se, invece, la storia stia continuando nel futuro. A differenza dei libri o dei racconti che ho abbandonato e di cui non ho parlato, per motivazioni simili, è il fatto che i refusi, per quanto presenti, non sono invalidanti; in più le scene erotiche descritte sono narrate in maniera talmente magistrale, da poter soprassedere alla discontinuità spazio temporale che si riscontra, tra un capitolo e l'altro. E poi il finale a sorpresa merita, assolutamente, la lettura di questo “Il Ladro”. Oh beh, io aspetto i vostri commenti e faccio i miei complimenti all'autrice per l'audacia; inoltre ho visto che è anche uscito un romance che acquisterò in giornata! Vi lascio il link, come sempre, all'acquisto: e non fate i “purciari” che un cappuccino costa alla stessa maniera, in aeroporto!

domenica 9 febbraio 2014

La Sala delle Punizioni di Letizia Draghi


La sala delle punizioni: 2 (Senza sfumature)


Daniele Martini appare come un fulmine a ciel sereno, nella vita di Alessia Delfini, eppure sembra diventare, in un momento, il suo universo. Un universo ricco, bellissimo e tremendamente sexy. Possibile che un uomo del genere abbia, nel suo animo, ciò che nella società odierna viene definita “perversione”? Alessia non se ne capacita. E sulle prime, devo dire la verità, neanche il lettore. In poche righe, però, si evince una sensualità del protagonista talmente carica da annientare ogni remora nata nel cuore della donna... e in chi segue le sue vicissitudini. Forse la narrazione in prima persona, forse il trasporto da cui si lascia travolgere la nostra eroina, fatto sta' che Daniele Martini diventa il fulcro del desiderio nascosto di chiunque. Nonostante, nella vita comune, si sia portati a pensare al sesso come qualcosa di profondamente legato al sentimento fatto di carezze, baci, respiri trattenuti, sempre comunque confinati nel modo “standard”, bisogna ammettere che chiunque subisce il fascino della trasgressione, del proibito e di ciò che la società considera sbagliato, se per caso ne viene distrattamente a contatto. Ed è proprio questo fascino a rendere Alessia così affine al lettore e Daniele così vicino all'ideale di uomo da conquistare e amare o da interpretare. Si, perché la sua Sala delle Punizioni non è più solo il luogo in cui dar vita alle proprie fantasie più sfrenate, ma il nido di un amore che potrebbe sfociare, mediante esse. Devo dire che non sono particolarmente attratta dalla narrazione in prima persona, solitamente, nonostante riconosca che, in alcuni casi, aiuti a immedesimarsi molto meglio nella storia che si sta “vivendo”. Eppure ammetto che nel caso di Letizia Draghi e della sua “Sala delle Punizioni” la modalità scelta di narrazione è tremendamente azzeccata e giusta. L'empatia che l'autrice è riuscita a ottenere per i suoi personaggi è tale da rendere questo racconto non solo un erotico, ma anche un romance. Io ho amato Daniele, in alcuni punti. Ho sofferto con e per lui. E ho anche odiato la protagonista per non aver saputo, o voluto, cercare un modo di oltrepassare le barriere di un mondo differente dal consueto, nonostante alla fine si evinca come la porta sulla trasgressione sia stata aperta per non essere più richiusa. Forse avrei preferito una descrizione un poco più lunga di alcune scene, per entrare ancora più in sintonia con la storia narrata, ma nel complesso mi ritengo ampiamente soddisfatta dalla lettura. In questa settimana ho letto tre racconti e un libro... Questa, per ora, è l'unica vera storia che mi sento di recensire, consigliare vivamente e divulgare come un verbo. La Delos è una valida casa editrice, ma questa collana, nata da poco, è capace di regalare emozioni insospettate. Si è ancora agli inizi, e sono pochi i racconti raccolti e pubblicati. Dopo “La notte dei cristalli iridati” ho deciso di leggere tutti quelli fin'ora pubblicati e ho capito di aver compiuto la scelta giusta dopo aver letto “La Sala delle Punizioni”. E poi, parliamoci chiaro. Se di un racconto si riescono a scrivere più di dieci righe di commento, o si tratta di uno schifo assurdo, oppure di un capolavoro. Letizia Draghi ha scritto un capolavoro in poche pagine. Per questo motivo lascio di seguito il link all'acquisto, rinnovando i miei complimenti all'autrice, e vi prometto di tornare in un batter d'occhio con una nuova puntata della collana “Senza sfumature”.

sabato 8 febbraio 2014

Un racconto erotico horror... pubblicarlo? Ma si, fa parte di me!



Proiettato verso l'infinito



A ben guardare, in fondo, non era poi tanto male. Il seno di una terza misura abbondante, le natiche sode e le labbra invitanti. Nel complesso non era da buttar via. Certo, i capelli biondi, poco puliti, e le unghie dallo smalto scrostato non erano certamente invitanti. Ma non odorava di cattivo, questo no. Le si avvicinò, lo sguardo lubrico, il pene duro nei pantaloni. Gli bastava così poco, ormai, per far si che l'eccitazione prendesse pieno potere dei suoi arti inferiori. Avvertì il classico pizzicore all'inguine, mentre il membro continuava a salire verso l'ombelico, sfiorando l'elastico delle mutande strette. Si sedette meglio sul sedile dov'era seduto, accostandosi ancora un poco alla ragazza. L'ondeggiare della metro aiutava il suo pene a distendersi, provocando una sorta di movimento propedeutico all'eccitamento progressivo. Un braccio sulla testiera del sedile di destra, si sporse a odorare la chioma poco fluente della ragazza. Ciò che sentì non era esattamente quel che avrebbe desiderato, d'altronde già il loro aspetto non gli aveva fatto sperare il contrario. Ma non importava. Lo sguardo gli cadde nuovamente sulla scollatura ampia della ragazza, ignara di essere diventata, d'un tratto, preda succulenta. Le cuffie del lettore mp3 alle orecchie, teneva gli occhi chiusi, battendo un piede a terra al ritmo incessante di quello che distinse come un rock duro. Duro, come il suo pene. Sorrise, sfiorando col ginocchio quello di lei. Solo quel contatto gli provocò una scarica di adrenalina pura e immaginò come sarebbe stato affondare le labbra nei seni prosperosi, infilare le dita nell'incavo delle cosce, leccando i capezzoli e risalendo, fino al mento. Si chiese, una mano a massaggiarsi il membro, come sarebbe stato insinuare la sua lingua tra le labbra lisce di lei, ascoltare il pulsare del suo pene nell'umida cavità del suo intimo, affondando una mano tra i capelli, afferrandole la nuca.
La ragazza aprì gli occhi, a controllare la fermata a cui erano giunti, e si accorse dell'estrema vicinanza all'uomo. Visibilmente imbarazzata, cercò di allontanarsi, accostandosi ancor più alla testiera. Erano soli nel vagone e la mano sul membro che ne massaggiava l'interno la spaventò ancor più del pensiero che le era sovvenuto alla mente. Lo osservò, cercando di respirare piano e di muoversi con estrema cautela. Non voleva che si destasse, non voleva attirare ancor di più la sua attenzione. Faceva caldo e i calzoncini che aveva indossato, per recarsi a lavoro, avevano fatto in modo che la pelle delle cosce si attaccasse al sedile. Cercò di alzarsi con estrema lentezza, ma avvertì un estremo dolore nel farlo. Troppo caldo, troppo calore. Timorosa di aver mosso troppa aria, si voltò a osservare il suo vicino. Non era brutto. Non era affatto brutto, e in un'altra circostanza gli avrebbe riservato un lungo sguardo, cercando una maniera per farsi abbordare. Ma non così, non con la sua mano che massaggiava l'evidente eccitamento che lei, o qualsiasi altra cosa, gli avevano procurato. Appoggiò la mano destra sul sedile a fianco e riprovò a muoversi, questa volta con più successo. Quel dannato trenino sembrava proiettato verso la fine del mondo. Non si fermava mai, in nessun posto, come fosse incantato. Avvertì la nausea bruciarle la gola, montandole direttamente dallo stomaco, mentre con orrore notava gli occhi cerulei dell'uomo aprirsi e guardarla. Lei non si era ancora mossa dal suo posto e la mano di lui, abbandonata alla testiera del suo sedile, dondolante al movimento ondulatorio del vagone, incombeva come un rapace sul suo seno. Si osservarono, il respiro di lei trattenuto nei polmoni, quello di lui corto. Un sorriso. La ragazza arrossì, immobile nel panico crescente.
Ora che la guardava la sua eccitazione era ancora più palpabile. Aveva gli occhi verdi. Peccato per i capelli poco curati, d'altronde fuori faceva un gran caldo e la giornata era volta al tramonto. O almeno credette fosse il momento del tramonto. La mano ancora a indugiare sull'inguine, si sentì umido delle poche gocce appena uscite. Le sorrise ancora, mostrando la sua dentatura perfetta. Sapeva di essere piacente, sapeva di potersi permettere qualunque ragazza avesse voluto. Ma possederne una, contro la sua volontà, madida del terrore procurato, era un afrodisiaco al quale non sapeva più rinunciare. Era come spararsi un ago in vena. Una volta provato non si era più in grado di rinunciarvi. Una droga, si, una droga. Sempre guardandola, spostò la sua mano sul seno, stringendo forte la carne tra le dita. La ragazza, colta di sorpresa, emise un gemito. Lui lo interpretò come piacere e la cosa non gli piacque. Si svestì del sorriso, appena indossato, e la afferrò per la vita con il braccio libero. La ragazza iniziò, lentamente, a reagire. Avvertì un pugno debole lanciatogli sulla spalla destra mentre se la portava a cavalcioni sulle cosce. Le afferrò le natiche con entrambi i palmi aperti e spinse l'intimo di lei verso la sua eccitazione pulsante. La ragazza gridò più forte, questa volta. Lui sorrise. Finalmente. Sibilò un invito a tacere, sporgendo le labbra scure in avanti, e la spinse nuovamente contro il suo bacino. La ragazza urlò, graffiandolo in faccia.
Bene. Il terrore, il panico strisciante, il veleno della paura le stava intossicando le vene. Si alzò di scatto, lei in braccio con le cosce ad avvolgerlo, e si gettò in terra, posizionandola sotto il proprio peso. Gemette di dolore.

Bene. Portò una mano all'ampia scollatura e tirò la maglia verso il ventre, scoprendo un seno pieno. Si gettò, famelico, a divorarle il capezzo, succhiando avidamente, mentre con l'altra mano tentava di arginare i movimenti frenetici delle sue braccia, travolte dal panico. Non disgusto, panico irrazionale. Il seno in bocca e il collo della maglia bloccato sotto di esso, utilizzò la mano libera per slacciarsi i pantaloni, lasciando respirare il suo pene, desideroso di avventura. Poi abbassò quelli di lino di lei, non trovando alcuna resistenza. Lei gemeva, mugolava e urlava a tratti, come volesse richiamare l'attenzione di qualcuno. Nessuno, però, l'avrebbe ascoltata. Quel vagone era proiettato verso l'infinito e oltre. Un vagone fantasma, giunto alla fermata giusta nel momento giusto. Secondo i punti di vista, certo. D'un tratto la metro sussultò, cigolando sui binari. La ragazza, suo malgrado, sorrise, esclamando un singhiozzo umido di saliva e lacrime. Incurante, lui la penetrò, continuando a suggere dal suo seno scoperto, emettendo versi gutturali di un'oscenità rivoltante. La ragazza urlò il suo disgusto, nonostante sapesse che la salvezza era vicina, nonostante pregustasse il sangue zampillare dalla pelle lacerata di lui, una volta fatto preda dei pendolari. La metro si fermò, le porte del vagone si aprirono e salirono quattro uomini, tre donne, e cinque adolescenti. Nessuno la guardò, nessuno ne ascoltò le grida, insistenti, di aiuto. Le porte si richiusero, lei gettata a terra mossa dai colpi della violenza incalzanti, mentre gridava il dolore sordo e inascoltato. Lo sentì ridere, lo sentì gemere e avvertì la saliva colarle lungo un fianco. Poi, mentre i colpi di bacino si facevano più violenti e i loro gemiti riempivano lo spazio vuoto, sovrastando il tramestio del mezzo, l'uomo abbandonò il seno e portò la bocca al suo orecchio, mordicchiandole il lobo, viscido di sudore, per sussurrarle “Tesoro, non l'hai ancora capito? Questo vagone è proiettato verso l'infinito, e noi due siamo solo anime affini unite nella morte.” Lei sgranò gli occhi, la certezza di non aver colto la propria fine. Urlò, chiedendo un muto e inutile aiuto ai pendolari, mentre l'uomo le esplodeva dentro e riarmava le proprie forze per ricominciare da capo.

venerdì 7 febbraio 2014

Vaneggiamenti n. 2 il ritorno





Chissà cosa passa nella mente dell'adolescente? Davvero, non me lo spiego. Lo sono stata, me lo ricordo, tanto tempo fa, e non sono stata neanche troppo difficile da gestire. Almeno credo, di non essere stata complicata. Non ero tipa da canne, da birra a fiumi e da taccheggio all'Oviesse. Sono stata messa in punizione, ma non mi sono mai ribellata, andando contro i consigli comuni dei miei coetanei, rispettando sempre i miei coprifuochi imposti da mamma e papà. Insomma, ero una tipa ok, una tipa introversa, a volte, un po' nerd, a mio modo, ma ok. Eppure c'erano momenti in cui mi lasciavo andare a un pianto irrefrenabile, chiusa nei bagni del liceo, confidando alla mia migliore amica di allora di essere convinta di morire giovane. Non vedevo futuro, non riuscivo a immaginarmi sposata, incinta, con un lavoro o con una casa mia. Perché? Voi lo sapete? Io no. Non mi mancava nulla. Certo, avrei capito istinti suicidi durante gli anni delle scuole medie, per me davvero insidiosi, ma non negli anni del liceo. Avevo un lavoro estivo, avevo due sorelle, una famiglia normale, un po' severa, ma mi ha reso ciò che sono quindi andava bene. Avevo un ragazzo all'epoca che mi adorava, nonostante non sia andata affatto bene con lui, e ho conosciuto colui che, a distanza di quindici anni, sarebbe diventato mio marito. Insomma, cosa avevo che non andava, che mi faceva vedere il buio totale lungo un cammino di certo impervio ma primo di sostanziali difficoltà? Non me lo so spiegare. Proprio per questo motivo provo una profonda paura nell'affrontare la maternità. Non perché sarò costretta a dormire poco, come molti sostengono, non perché farò meno sesso con mio marito o perché non riuscirò a uscire di casa per trecento anni, stando a ciò che dicono i promulgatori del terrorismo psicologico post parto. No. Ho paura perché dalle conoscenze che fornirò al mio bambino, assieme a suo padre, dipenderà la struttura mentale con la quale lui affronterà il mondo, le delusioni, le gioie e i tormenti della vita. Quante persone si soffermano a pensare a tutto ciò? Molte, credo. Sarebbe bello pensare che tutti gli aspiranti genitori si pongano domande simili, dimostrando una lungimiranza nell'educazione che svilupperà il giovane di domani, ma non pretendo tanto. Però... Però mi capita, ancora adesso, di ascoltare storie di ragazzi morti suicidi a causa di un brutto voto a scuola, di una delusione d'amore, o di una gita andata male. Ci sono anche quelli che decidono di ammazzare i propri genitori, amici o fidanzati. Perché? Possibile che tutto dipenda dalla società cattiva? Possibile che tutto dipenda dai genitori che non riescono, a volte, a sopportare la pressione del loro ruolo? Possibile che dipenda da icone negative presenti nelle vite quotidiane del nostro tempo? E se, invece, dipendesse, semplicemente, dal fatto che gli adolescenti sono adolescenti? Facilmente influenzabili da tutto, inclini al melodramma più spinto, raramente empatici, estremamente narcisisti. Gli adolescenti, quelli che se ne vanno in giro, con le cuffiette, a cantare storie di amori infranti, credendo che l'universo sia racchiuso in un gruppo musicale. Allora, forse, la vera educazione di un genitore sta nell'accettare il carattere del proprio figlio, rimanere concentrato nel proprio ruolo senza cedere alla tentazione di essere amico, anziché guida, e sostenere, comprendere e punire nella giusta misura, in modo che il proprio figlio riesca nel difficile compito della transizione verso l'età adulta. Gli errori ci sono e ci saranno, è inutile negarlo, ma è anche inutile dare la colpa dei fallimenti alla società, alla musica o ai libri. Gli adolescenti sono adolescenti. Punto. E continueranno a piangere, nei bagni di scuola, senza motivo, blaterando di aver paura di morire giovani. Nonostante tutto. E i genitori devono fare i genitori. Ed essere obiettivi. E basta.   

giovedì 6 febbraio 2014

Vaneggiamenti di una sera di inizio febbraio, aspettando le tenebre




Non è altro che un percorso. Un lungo percorso, la vita, ma breve, a pensarci. Si nasce, ignari di ciò a cui si sarà esposti. Si nasce e si viene portati a credere che la vita è unica, speciale, differente per ognuno. Lo scopo è sempre lo stesso, però. Procreare, dare altra vita. Tanto che ci si chiede cosa accada dopo aver donato un pezzo di sé stessi ad altri individui. E tale scopo non viene ascoltato solo dall'animo del genitore, ma anche da chi non lo sarà mai. Amando altre persone, preoccupandosi per il prossimo, cercando il buono in sé stessi e in altri, provando un sentimento che oltrepassa il proprio ego. Non servono pezzi di dna per raggiungere lo scopo che la nascita ha donato all'uomo. Ma la domanda vera è: cosa accade dopo? Dopo aver provato l'amore puro, il sentimento perfetto, quello in grado di muovere massi, il proprio io che fine fa? Dove va a finire la propria identità? Sarà perduta per sempre? Ci sarà, ma vivrà nascosta sotto gli strati del nuovo essere che ha preso le sembianze dell'individuo adulto? Oppure sarà presente, semplicemente arricchito, come una sorta di macchina base dotata di optional? Non è forse vero che, a volte, un individuo perda il lume della ragione, non riconoscendo più ciò che l'ha aiutato a divenire quel che è divenuto, nel tempo? Non è forse vero che in alcuni è forte il desiderio di regredire ai tempi in cui era possibile solo ascoltare sé stessi, completamente ignari del futuro? Si vive nella costante ricerca di una metà da amare. Lo scopo della vita parte anche da questo: trovare la metà adatta a procreare. Conoscendo l'amore, nell'età adolescenziale, si percepisce la sensazione che quello sarà l'unico motivo che muoverà i passi del proprio corpo, da quel momento in poi. Ma il sentimento evolve, si tramuta in desiderio di essere ancora più uniti. Dall'unione spirituale si passa a quella carnale, per dar vita, infine, a quel che tutti considerano essere la gioia più grande. Un figlio. E lo è, la gioia più grande. Si riconosce un nuovo tipo di amore, ma questo non è possibile se prima non si sono compiuti i passi adatti, per non implodere, per non esplodere. Come accade. Sovente. Riflessione. Ci vuole riflessione. Donare la vita non è semplice, non è un meccanismo puramente fisico. È facile, nella natura, creare. Più difficile accettare il cambiamento che esso comporta. Più difficile ancora accettare che la creatura a cui si è donato la vita non sia il proprio specchio, ma un vetro grezzo a sé stante. Un piccolo pezzo di vetro, pronto a essere modellato, fortificato, con la capacità di crescere nel tempo. Un pezzo di vetro grezzo con una propria identità, ma pur sempre facente parte del vetro madre. E padre. Il tempo. Manca il tempo utile. Ogni essere umano necessiterebbe di una vita intera solo per comprendere il proprio animo, un'altra per essere pronti allo spettacolo della vita. Un'ulteriore per creare una vita mediante l'esperienza accumulata. Queste tre vite sono compresse nelle tre stagioni dell'essere umano, ma non sono sufficienti. E a volte non bastano. Non bastano per comprendere l'universo devastante e infinito che è un neonato, che è un figlio adulto, che è un amico bisognoso d'affetto, o semplicemente uno sconosciuto giunto sul proprio cammino. La vita, a volte, non basta per comprendere in pieno lo scopo che racchiude in sé. Ma il percorso, nel tempo, serve a tentare di indagare. E capire. E amare. Amare chiunque, indistintamente. Anche sé stessi. Soprattutto gli altri. E sarà, allora, come morire e rinascere, per morire e rinascere ancora. È bello pensare che chi non ha avuto questa possibilità è stato erudito in un universo parallelo. E magari sarà così anche per chi, invece, le tre stagioni della vita le passerà tutte. E magari ci si incontrerà tutti, dopo, senza vincoli parentali, senza sotterfugi o rancori. Magari sarà possibile accedere a una luce intensa, colma solo della conoscenza ancora negata. Perché ancora non è dato di comprendere lo scopo puro della vita, solo di intuirlo. Intuirlo e vivere di quella percezione.    

martedì 4 febbraio 2014

La notte dei cristalli iridati di Sapphire Diamonds


Verità. Verità è il fatto che ho trovato questo lungo racconto un oceano da bere rapidamente. Verità è il fatto che ho goduto della storia come raramente accade. Verità è l'innegabile constatazione che l'autrice di questo piccolo capolavoro sia davvero scrittrice sopraffina. Verità è il nome dell'eroina, protagonista di un avvenimento erotico dalla profondità abissale. Seppur di genere, questo lungo racconto della Diamonds sa essere godibile anche a un pubblico vasto, pudico e poco avvezzo alla lettura di erotismo fine a sé stesso. La realtà è che, in questo racconto, tutto è presente, tranne il sesso inteso come atto fisico e meccanico. In poche pagine l'autrice è riuscita a trasmettere il disgusto della guerra, di un'ideologia balzana che tutti, ormai, conosciamo a menadito, portando l'occhio indagatore della sua fedele penna a descrivere un punto di vista completamente differente dal consueto. Facile, oltremodo semplice, catturare frammenti erotici di un gioco sessuale. Altamente difficile trasmettere, mediante questi, sentimenti forti e decisi, volti a testimoniare un amore desueto, ostacolato dalla morale imperante nel 38, scoppiato durante una delle più sanguinose notti mai esistite. La notte dei cristalli, ore buie di una società ripiegata nell'odio e nell'ignoranza. L'autrice, mediante il mestiere più vecchio al mondo, riesce, in poche battute, a catturare un vasto mondo, a dipingere con fedeli sbuffi di colore, un unione bandita dalla legge, dalle ideologie, capace di oltrepassare convinzioni radicate nel tempo. Non ho molte altre parole. Perché sarebbe riduttivo cercare di confinare tutto ciò che ho provato nel leggere le parole ben dosate di un'autrice sconosciuta. Perché sarebbe dannoso, ai fini di una buona comprensione, tentare di spiegare le intenzioni già ben chiare di un racconto che ha l'obbligo di essere letto. Questo è un piccolo capolavoro che testimonia come un autrice, alle prime armi con un genere a lei poco consono, sappia dimostrare talento e classe nell'eviscerare temi delicati e profondi come quelli che scossero la società mondiale dell'epoca. Odio il fatto di non conoscere la Diamonds, per il semplice fatto di non poterle dimostrare la stima che ho nei suoi confronti. Ho provato invidia, in un certo senso, perché ho trovato uno stile fantastico di narrazione. Insomma, ho adorato questo racconto, ho adorato il fatto che in poche pagine mi sembra quasi di aver letto un libro di 200 pagine, e ho adorato il bisogno di leggerne ancora. Se un autore riesce nell'impresa di saper catturare l'attenzione del lettore in maniera così repentina, significa solo che è un vero autore, degno di essere chiamato scrittore. Consiglio vivamente l'acquisto di questo piccolo gioiello, augurandomi che l'autrice, volutamente celata dietro un nome fittizio, venga alla luce per raccogliere l'applauso che merita. Per chi mi conosce sa che non parlo per piaggeria. Se una cosa non mi piace non ne faccio mistero alcuno. La notte dei cristalli iridati mi ha decisamente colpita, al di là di un erotismo sapientemente descritto, mai volgare, ma solo deliziosamente allusivo, per la cura con cui tutto è stato ben dosato, a partire da una scrittura fluida, mai noiosa, decisamente diretta. Complimenti all'autrice!

http://www.delosstore.it/ebook/45500/la-notte-dei-cristalli-iridati/  

lunedì 3 febbraio 2014

Voglio fare l'ingegnere nucleare, guarda un po'!


Complice la totale mancanza, ieri, di programmi o film interessanti, ho incastrato i pochi neuroni rimasti liberi dalla gravidanza nella visione di Lucignolo 2,0. Tolta l'ignoranza allucinante che impera, inesorabile, e tolti i commenti degni di bimbi di dodici anni (per i quali ho pregato i santi affinché mio figlio fosse evoluto, durante la sua crescita) ho capito una cosa importante. Durante la messa in onda del servizio sulle “malate di fama” una tizia dalle tette molleggianti ha dichiarato di voler scrivere un libro erotico, dopo la realizzazione del suo primo calendario, perché sprovvista della necessaria esperienza in altri campi. Complice anche la domanda che due giorni fa mi era stata posta “ma se uno non conosce bene la grammatica italiana, può comunque scrivere un libro? Tanto qualcuno che lo corregge c'è, no?” ho capito che la situazione letteraria italiana è grave. Perché la concezione dello scrittore è talmente astratta che è paragonabile al mestiere della telefonista hot. Non hai esperienza, non hai le conoscenze adatte, ma ti han detto che puoi farlo, quindi alza la cornetta e smignotteggia a gogò. Da dove proviene la convinzione di poter scrivere un libro senza il necessario studio, senza il talento, la lettura, la conoscenza? Ultimamente si assiste alla pubblicazione selvaggia di libri e racconti, di saggi, di poesie... Ma chi scrive è effettivamente in grado di faro? Prima le case editrici a pagamento, poi il print on demand... Chiunque, oramai, può realizzare il proprio “libro” senza una reale bravura nel farlo. È un po' come se, da domani, chiunque possa professarsi architetto e disegnare il progetto di un grattacelo. “Sono capace di disegnare, posso realizzare ciò che voglio, i sogni son desideri bla bla bla... Quindi a che mi serve studiare la matematica e roba simile, se basta solo disegnare un tronco di cemento con quattro finestre sopra?” Il mondo crollerebbe in un momento, un po' come sta effettivamente accadendo in questi giorni a seguito della pioggia incessante (grazie comuni che avete investito i fondi stanziati nella ristrutturazione delle nostre strade invece di mangiarveli tutti, a proposito!) Mi chiedo, allora, come mai io non posso improvvisarmi architetto ma tutti possono improvvisarsi scrittori? E la stessa cosa vale, ultimamente, per i cuochi, per i pasticceri, per i presentatori (cioè... un pugile che presenta mistero è da applauso!) per i politici... Tutti possono fare tutto perché... perché si. Non esiste più lo studio, la ricerca della qualità. Nulla. Esiste solo la ricerca di cosa è in grado di far guadagnare qualcosa, non importa bene cosa. Io non sono laureata, ma mi sono fatta un mazzo tanto per studiare per conto mio. Non ho frequentato l'università, ma ho letto tutto e continuo a farlo, studiato manuali di grammatica in modo da poter evolvere la passione in mestiere... Questo non significa che io sia una scrittrice, ma neanche che non mi stia impegnando nel diventarlo (nel diventarlo, non nello scriverlo sulla carta d'identità per vezzo). E permettete se avverto un pizzicore, dove non batte solitamente il sole, nell'ascoltare tizie che sono indecise tra il fare la velina o la scrittrice, o leggere tizi che scrivono “capolavori” senza né capo né coda... E permettete che io sia indispettita se leggo gente veramente cazzuta, costretta ad auto pubblicarsi per affermare il proprio talento, e gente pagata profumatamente per scrivere due stronzate in croce, sconclusionate, prive di logica o dinamica e ricche di errori. Della serie: hai serie difficoltà nel valutare di utilizzare una virgola o un punto, figurarsi un punto e virgola... E, nel constatare, una volta in più, che ho scelto il percorso più sputtanato al mondo, dopo la prostituzione, ascolto ancora, in lontananza, la domanda che mi rimarrà attaccata all'anima e che un giorno tramanderò ai miei figli “Ma se uno non conosce bene la grammatica italiana, può comunque scrivere un libro, no?”