mercoledì 21 maggio 2014

Fino a data da decidere, in corso, col vampirotto...

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CHIUSO PER MATERNITA' 





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giovedì 15 maggio 2014

Agente letterario 3.0 Reloaded di Carla Casazza


Agente letterario 3.0. Reloaded.: Versione aggiornata 2014



Poche le parole da spendere nei confronti di qualcosa che dovrebbe essere semplicemente lapalissiano: l'agente letterario è un mestiere e come tale va considerato. Non vi sono scorciatoie e sconti in tal senso. Nessuno si sognerebbe mai di andare da un notaio per un rogito e pretendere di non pagarlo, no? Allora come mai, ultimamente, si pensa sia assurdo pagare e avvalersi del lavoro di un professionista? Perché, forse, la tecnologia ci ha portati a credere che chiunque possa essere in grado di far tutto. E in parte è così. In parte, poiché per poter raggiungere un obiettivo vi è comunque bisogno di esperienza, mezzi, opportunità e conoscenze. Un autore, al giorno d'oggi, pensa di essere tale soltanto perché è stato in grado di ticchettare sulla propria tastiera parole di senso compiuto atte, forse, a descrivere una scena, un episodio, una storia. Ma quanti, tra gli autori emergenti ed esordienti, possono dire di essere realmente scrittori? Non essendovi più una selezione, grazie all'auto pubblicazione, chiunque sembra poter essere in grado di vendere il proprio “talento”. Ma il talento, in queste persone, esiste davvero? Agente Letterario 3,0 Reloaded si prefigge, riuscendoci, di spiegare come sia cambiata, nel tempo, la situazione dell'editoria moderna e come, per un'agente, sia d'obbligo uniformarsi a tale avanguardia in modo da poter offrire un servizio sempre al top delle aspettative. Ma questo piccolo manuale non è solo questo. È anche chiedere agli autori un bagno di umiltà nel riconoscere i meriti di un mestiere fin troppo bistrattato in Italia, quello dell'agente, e soprattutto comprendere che scrivere un libro, per quanto bello, non significa diventare il prossimo Stephen King. Come mai, ultimamente, son tutti autori, qui in Italia? E come mai tutti questi autori si improvvisano imprenditori di sé stessi, magari incappando in ingenuità che mediante la figura professionale dell'agente eviterebbero accuratamente? Perché il mestiere dello scrittore, ormai, è visto come un lavoro che tutti possono fare, senza studi, senza letture, senza assidua frequentazione di manuali di grammatica italiana. E l'agente, non è figura meno snobbata. A cosa serve un agente a chi è convito di aver scritto un best seller in grado di scalare le classifiche in men che non si dica? E magari talmente valido da esser notato, per meriti, dalle grandi case editrici e ottenere, mediante questo, un contratto milionario? Parafrasando Carla Casazza, l'autore reloaded 3,0 è convinto che l'agenzia letteraria sia solo una schiera di parassiti e che l'agente miri semplicemente a rubare i suoi milionari guadagni futuri. Allora, credo, sarebbe il caso riavvolgere il nastro, leggere e ascoltare chi dell'editoria ha fatto la propria vita e imparare, semplicemente imparare. Con umiltà e tanta voglia di lasciarsi guidare. E si, pagare anche, se ciò a cui si aspira è il professionismo. Se si vuole ottenere una laurea, si pagano le tasse universitarie, se si vuole un consulto legale si paga un avvocato. Nello stesso modo, se si vuole diventare scrittori e avere la possibilità di avere un parere sincero sul proprio lavoro, sulle proprie potenzialità senza essere raggirati dagli squali presenti nel mondo editoriale moderno, ci si rivolge a un professionista quale l'agente letterario. E nel frattempo, se si vuole capire qualcosa di tutto ciò che ho scritto fino a ora in maniera chiara, precisa e puntuale, si legge Agente Letterario 3,0 Reloaded di Carla Casazza, edito da Errant edizioni... Perché la cultura non si coglie in un prato come le margherite e la professionalità si acquisisce con il sacrificio, il sudore della fronte e moltissima passione e umiltà.

Pieno di Luna di Enrica M. Corradini


Dettagli prodotto

Altiero è un professore universitario stimato dagli studenti, dalla comunità che sovente lo onora di qualche insigne carica per vari meriti, adorato dai colleghi e dalle sue vicine di casa e amiche d'infanzia. Altiero è un uomo, prima di essere un professore, e a suo tempo è stato marito, padre e nonno. Il problema fondamentale è, forse, rammentare il tempo in cui la sua vita conobbe il suo vero senso di appartenenza, il reale significato della presenza nel mondo. Che sia, questo senso, proprio della prima, della seconda o della terza dimensione. Che padre è stato? E che marito? Possibile che per anni non abbia mai avvertito la necessità di indagare, di capire, di comprendere le necessità che la famiglia da lui formata gli richiedeva quale tributo d'amore? Amore... Forse è quella scintilla che inizia a ricordare, nel cuore prima ancora che nella mente, tramite l'ideogramma “Luna d'autunno” concessa dalla Società Trasparenze. Ideogramma così valido e rilassante, dato quello che l'ha pagato, da fargli dimenticare l'ansietà del passato pur riportandolo in auge nel presente. Ideogramma pur sempre ideato dall'uomo e per questo soggetto ad avaria, proprio come la mente di Altiero, ormai lla prossima deriva.

Inizialmente titubante, ho tentennato nella lettura di questo racconto lungo di un'autrice che, per giunta, non conoscevo, Enrica M. Corradini. Non amo la fantascienza e molto raramente mi propongo di leggerne, per la poca attrattiva che ne consegue e che mi spinge, sovente, all'abbandono. Beh, devo dire che con Pieno di Luna ho iniziato, continuato e terminato la lettura in un continuo spasmo di sorpresa e riflessione. Del tutto spiazzata, sono giunta al termine del racconto con la bocca spalancata, febbrilmente alla ricerca di segnali, in internet, che portassero alle stesse conclusioni da me raggiunte. Per soddisfazione di aver compreso, per resa di giustizia a un racconto davvero complesso e ben scritto, per assonanza e affinità mentale tra scrittore e lettore. Ebbene, come sovente capita, l'autrice, purtroppo, non è abbastanza conosciuta da raggiungere un pubblico in grado di apprezzarla nella maniera in cui dovrebbe. Molti pochi i commenti racimolati, devo dire comunque positivi, ma fin troppo esigui e non esaustivi come avrei voluto. Per la prima volta, da quando leggo esordienti ed emergenti, ho provato l'impulso di voler conoscere l'autore del libro in modo tale da poter conferire con lui circa il significato di determinati passi. Seppur inizialmente Pieno di Luna si delinei quale opera di fantascienza, infatti, ben presto diventa un racconto intimistico, atto a indagare nei meandri della mente umana, della memoria perduta, dei giochi che la coscienza compie pur di preservare un minimo di sanità psicologica al fine di non soccombere al dolore e alla tristezza. La Corradini testimonia quanto possa diventare intenso e forte il senso di solitudine dovuto alla morte dei propri cari, specialmente se colmi di rimorsi per occasioni perdute, affetti non donati e non palesati, tempo perduto alla ricerca di sé a discapito della dimostrazione di sentimenti condivisi ma dimenticati. La famiglia rappresenta, come nella realtà del lettore, una piccola società concentrata tra poche persone e in uno spazio ristretto come una casa, forse per questo anche più difficile da amministrare e tenere da conto. Sovente i vari membri della piccola comunità che ognuno di noi ha, per scelta o appartenenza diretta, si allontanano ed estraniano alla ricerca del proprio spazio, per lasciar respirare il proprio ego e non soffocare sotto parole d'amore o gesti che alla lunga divengono anche fastidiosi. Il problema dell'indipendenza è il senso di vuoto e di colpa che si viene a creare quando proprio quei familiari lasciano il mondo terreno senza preavviso, oppure in maniera tale da non consentire un'adeguata resa dei conti, un momento in più per poter dire il “ti voglio bene” perduto nei meandri del proprio ego. Ed è qui che, credo, venga a collocarsi la storia di Altiero. Strutturato come una sorta di 1984 di Orwell, Pieno di Luna è ciò che non desidera apparire. Se superficialmente è un racconto di fantascienza, con tre dimensioni, rapporti familiari vissuti e difficili, tendente a dimostrare quanto la vita di un anziano solo sia difficoltosa, perché accerchiato da ricordi non sempre positivi, Pieno di Luna racconta anche altro. Mi sono trovata a chiedermi, durante la lettura, se la realtà descritta fosse come appariva o se si trattasse di una sorta di “The Others” dove i morti non sono morti e i vivi non sono i vivi. Se la realtà per come la conosciamo non fosse vera, ma un ideogramma, come la Luna d'inverno di Altiero, atta a far vivere all'uomo un'esistenza differente da quella vera? E se invece la seconda o terza dimensione descritte dalla Corradini non fossero meri particolari di un racconto di fantascienza, ma l'idealizzazione della coscienza e della veglia? Oppure, ancora, si trattassero della sanità mentale contrapposta a una malattia atta a modificare le linee guida di un mondo che conosciamo solo per abitudine e non per esperienza pura, perché privi degli strumenti adatti a discernerne le potenzialità volute dalla natura? La Corradini ha creato, nel suo Pieno di Luna, un universo talmente fitto e intricato, mediante una storia che desidera essere più semplice di quella che è, che il termine della lettura segna l'inizio di interrogativi millenari, ostici, scomodi ma avvincenti e superlativi. Pieno di Luna non è un'opera semplice, ma rientra decisamente nella sfera di quei piccoli capolavori che ci si chiede come nascano e come si sviluppino. Desiderosi di leggere qualcosa di davvero innovativo e dannatamente interessante? La Corradini e il suo Pieno di Luna fa per voi!

mercoledì 14 maggio 2014

Naso di Cane di Caterina Ferraresi


Rocky è scappato di casa. Beh, non poteva essere altrimenti, del resto. Come poteva rimanere a guardare EsseTi ignorarlo, insultarlo (lo ha chiamato cane!) e gettarsi addosso quella puzza terribile della boccetta strana che è comparsa da qualche giorno in casa? E pensare che, per fargli un favore, gliel'aveva anche rotta, quella dannatissima boccetta. Ma, per strano che possa sembrare, EsseTi si è arrabbiato e gli ha gridato contro. Che senso avrebbe avuto rimanere accanto al suo amico d'infanzia che ormai parla in una scatoletta nera a bassa voce con l'espressione stana di chi ha perso qualche rotella? Meglio saltare sull'Ape di Gigio e partire all'avventura! Annusare gli odori buonissimi che lo fanno andare in visibilio, quelli che EsseTi (e via che non c'è verso di ricordare il nome per intero, eppure è strano perché lo ama alla follia!) troverebbe disgustosi: uova marce, cipolle, vino... E poi andare all'avventura, trovare un senso alla solitudine che ha sentito ultimamente in casa...

Inizia presso a poco così Naso di Cane, storia per bambini dai nove anni in su, edito da Einaudi. Vi chiederete come mai abbia deciso di leggere un libro edito da una grande casa editrice, contrariamente alle mie abitudini... Beh, l'autrice, Caterina Ferraresi, era un'autrice emergente proprio come tanti di noi, fino a poco tempo fa, ed è semplicemente giusto rendere merito a chi, con il sudore della fronte e talento, è riuscita a fare un passo in avanti. Naso di Cane, d'altronde, nonostante sia un libro per bambini, cattura e fa sorridere chiunque, regalando un paio di ore di grazia e stasi, quindi mi sembra come minimo doveroso leggere le opere di chi si può permettere di esser chiamata scrittrice. Già nota tra le pagine del mio blog grazie a “Domani è un altro giorno”, la Ferraresi dimostra, mediante Naso di Cane, la sua vena poliedrica per nulla semplice, considerando gli stili differenti che sono richiesti per i diversi generi in cui si è cimentata. N on è affatto semplice scrivere per bambini, eppure la Ferraresi lo fa in maniera semplice, spontanea, con un linguaggio diretto che arriva dritto dove vuole arrivare. Come ogni storia per bambini, anche Naso di Cane si prefigge lo scopo di insegnare qualcosa alle generazioni future che si avvicinano alla lettura. La denuncia dell'abbandono, la bontà degli animali che va oltre la razza, il dover comprendere e accettare la diversità altrui, scegliendo sempre il bene, e il non dare per scontato affetti che troppo spesso ignoriamo in favore della tecnologia o delle novità. In epoca moderna, dove cellulari, televisioni e videogiochi hanno sostituito, per gran parte, i giochi innocenti che caratterizzavano l'infanzia di pochi anni or sono, è sempre più difficoltoso trasmettere i corretti valori, i giusti propositi e le vie da percorrere per diventare adulti saggi e coscienziosi. Naso di Cane contiene, tra le sue pagine, molteplici chiavi di lettura atte proprio a insegnare al bambino tali valori, invitando anche gli adulti a esaltare tali necessità a discapito di una globalizzazione che sta divorando ciò che dell'infanzia andrebbe preservato e promulgato. I bimbi posseggono, dentro loro stessi, le chiavi giuste per essere persone buone e coscienziose, ma troppo spesso la routine dei grandi ne modificano e deviano la reale natura facendone virare l'attenzione verso particolari e valori meno incisivi e importanti. Naso di Cane, attraverso le avventure di Rocky, invita proprio a non commettere tali errori e, soprattutto, a non dimenticare l'incanto proprio dell'infanzia perché è solo mediante essa che si comprende, in pieno, il vero messaggio dell'amore e dell'affetto. Un animale non possiede la malizia propria dell'essere umano e, per questo, cedendo a istinti naturali che esulano dal razzismo o dalla differenziazione in classi sociali, riescono ad amare indistintamente, cogliendo di ognuno un particolare in grado di esaltarne le qualità. Chiunque, a questo mondo, può essere una bella persona, bisogna solo spogliarsi dei preconcetti e non farsi avviluppare troppo dalla tecnologia tentacolare che attrae e rapisce. Insomma, per me Naso di Cane è stato una buonissima lettura, distensiva e certamente istruttiva. Come lo sarà per qualsiasi bambino a cui sarà data la possibilità di leggerlo e goderne, traendo insegnamenti tramite una riflessione indotta. Ancora una volta la Ferraresi fa centro e io attendo una sua nuova opera, che sia per adulti oppure no. Il bello della lettura, quando si ha a che fare con bravi autori, è che non importa il genere, basta immergersi nelle storie e lasciarsi trascinare. Caterina Ferraresi è in grado di compiere questo piccolo e inusuale miracolo. 

lunedì 12 maggio 2014

La Giustizia del sangue di Barbara Risoli



LA GIUSTIZIA DEL SANGUE (Le avventure di Venanzio ed Eufrasia)

Vi è una giustizia nel sangue con il quale si nasce? In epoca moderna forse non più, ma certamente esisteva durante la Francia rivoluzionaria, la Francia del terrore e dell'orrore, dove lo schiavo divenne padrone a suon di omicidi e vili azioni depravate di bestie mascherate da giustizieri. I nobili, ormai messi alla gogna da una sete di perverso senso di libertà, furono banditi proprio per via del liquido blu che scorreva nelle loro vene, viscoso come lo erano state le loro follie lussuose colpevoli, data l'ostentazione, di aver condotto il popolo ignorante al terrore che sfociò nella ben nota lama della ghigliottina. La furia omicida di anni poveri trovò il suo culmine nei primi anni '90. Anni nei quali furono condannati e giustiziati i reali di corte, coloro i quali si erano macchiati di ignavia e sfrontata leggerezza davanti ai reali bisogni di un volgo ignorante e facile preda di contagi ideologici e superiorità oratoria. E fu in questo clima che Eufrasia e Venanzio si mossero, al fine di trarre in salvo l'erede al trono, poco meno che un bambino, dalla crudeltà propria del popolo assetato di perfidia e riscatto. Luigi Capeto, o Carlo, erede bimbo di otto anni, strappato all'amore materno, assieme alla sorella, e costretto a subire le perversioni di sadici maniaci mascherati da promulgatori di leggi giuste ed eque. Libertà, fraternità e uguaglianza sarebbero state, pochi anni dopo, le tre parole fondamentali derivanti da una rivoluzione scaduta nel fango di un sangue versato a fiumi, ma nulla di quei motti fu ravvisabile nel 1793; fu in quell'anno che Eufrasia comprese la vita oltre il lutto di un duplice aborto mai superato e fu in quello stesso anno che Venanzio decise di donare la propria vita in favore dell'unica donna in grado di suscitare in lui un sentimento di profondo amore e rispetto.

Tornano gli eroi neri e crudi del Veleno del cuore, tornano Eufrasia Des Fleuves e Venanzio Sauvage in quello che ha tutta l'aria di essere un romanzo storico che di romanzo sembra non aver nulla. Perfettamente intessuta nelle trame realmente cucite dal tempo, l'opera di Barbara Risoli si innalza sul primo capitolo della saga per stile, linguaggio e assoluta aderenza ai fatti. Più volte, durante la lettura, ci si chiede quanto sia stato inventato dall'autrice e quanto sia stato, invece, creato dalla fantasia perversa e meschina dell'uomo reale. Il bimbo erede morì oppure fuggì alla perversione del vecchio schiavo popolano? Le guardie reali si ribellarono alla rivoluzione, tentando modi e sotterfugi per salvare il salvabile, oppure furono essi stessi parte integrante della follia che imperversò per le strade parigine degli anni bui della rivoluzione? Eufrasia e Venanzio esistettero davvero oppure sono mera fantasia per donare una sorta di aura romantica a ciò che la storia dipinge come atroce e insensato? Come ne La Stella d'Oro, la Risoli riesce a sconvolgere le certezze storiche del lettore, tramite una bravura davvero fuori dagli schemi, scuotendo nervi fino ad allora coperti dagli studi adolescenziali atti a produrre un velo di conoscenza labile e confusa. Lo stile sempre fedele a sé stesso, seppur leggermente differente tramite qualche piccolo accorgimento capace di migliorare qualcosa di apparentemente perfetto già nelle prime battute, l'autrice dona linfa nuova a una storia eviscerata da altri autori, ma mai con la stessa passione e cura. Scrutando, ancora una volta, l'animo umano e le relazioni interpersonali di una famiglia o di un gruppo sociale nel quale dinamiche ideologiche vanno per forza incontrandosi e scontrandosi, la Risoli intesse una trama capace di avvolgere il lettore come una serpe avvinta alla propria vittima. Come nel Veleno del cuore, anche nella Giustizia del sangue la scrittrice indaga e sottolinea l'importanza del dialogo e nel secondo capitolo più che mai. Eufrasia non è più figlia, infatti, bensì moglie e madre, seppur negata da un Dio assente che, ricordiamolo, ricorre sempre nelle opere della Risoli quasi a voler sottointendere un libero arbitrio obbligato dall'ignavia di un Signore al quale dare rispetto per la vita donata. Se nel primo capitolo della saga, quindi, ricorreva l'importanza del confronto tra genitore e figlio al fine di educare, prevenire colpi di testa dati da un'immaturità celata dietro alla ribellione dell'adolescenza e della giovinezza, nel secondo appuntamento di tale duologia il concetto fondamentale è preservare l'amore che ha unito due persone affini in carattere ed eventi. Troppo spesso, maggiormente in epoca moderna, i matrimoni subiscono fallimenti clamorosi proprio a causa di orgoglio, convinzioni errate e mai fugate, dolori inespressi e coadiuvati da una sorta di indifferenza data, forse, dall'incapacità di sostenere lacrime e sofferenze altrui. La centralità di un unione dovrebbe essere composta, appunto, dalla sapienza nell'accettare le debolezze nella coppia, facendole proprie, assumendosene le responsabilità e gli oneri che un matrimonio impone. Troppo spesso la pigrizia di indagare oltre il superficiale, o il terrore di trovare qualcosa che va al di là della propria comprensione, causa delle fratture che col tempo divengono insormontabili e prive di risoluzione. Ed è questo che, neanche troppo velatamente, sostiene la Risoli tramite la coppia Eufrasia-Venanzio. Ma vi è anche l'aspetto contrario, nel romanzo, ed è la fiducia che si può venire a instaurare tra due persone seppur legate da un sentimento nuovo, precoce e privo dell'esperienza data da una conoscenza reiterata nel tempo. Nella coppia Xavier-Lisette, infatti, si assiste alla partenza dell'uomo e alla condiscendenza della donna, uniti da un filo conduttore che è profondo affetto nonché profonda maturità nel fidarsi l'uno dell'altro, affidando al fato la vita di entrambi perché consci di non aver potere su tale aspetto. Dura è la denuncia, invece, che l'autrice muove nei confronti degli uomini deboli, incapaci di provvedere alla propria fortuna se non imbeccati dagli eventi e dalla forza caratteriale altrui. Aldo, così come il nobile Saux, sono personaggi sconfitti, moralmente inutili, nonostante il primo dimostri una certa furbizia, a volte, comunque mal gestita per pigrizia o incapacità. La maternità perduta, infine, svela parte dell'animo femminile che, per quanto forte e indipendente, può subire freni e arresti bruschi perché dolore latente che graffia il cuore quasi attentasse alla vita stessa. Contrapposta a questo sentimento, però, vi è anche la capacità della donna di saper donare il medesimo amore, seppur in maniera differente, ad altre persone, altri bambini, altri innocenti, dimostrando come l'istinto materno possa prevalere sulle parole e le convinzioni di una vita. Insomma, l'ultimo capitolo della saga francese della Risoli è un'esplosione, fuochi d'artificio che illuminano un cielo buio, quello dell'editoria, tentando di far luce sui grandi talenti nostrani che ancora non sono stati portati in alto dalla meritocrazia che agognano e a cui speriamo tutti. Prima o poi accadrà...

giovedì 8 maggio 2014

Il Veleno del cuore di Barbara Risoli



IL VELENO DEL CUORE (Le avventure di Venanzio ed Eufrasia)

Sposa del suo amato. Eufrasia freme, nel suo vestito bianco vaporoso, arrossisce e incede lungo la navata. Finalmente il coronamento di un sogno, finalmente l'amore dell'uomo che ha desiderato, agognato dal profondo fin dal primo istante, combattendo e lottando, come un puma attaccato alla propria preda. Gli occhi neri, come il felino, la donna è pronta al passo ultimo di una guerra d'amore contro suo padre, unico ostacolo al suo sogno. Specchia il suo sentimento negli occhi di Aldo, soldato umile dell'esercito francese, colui che le ha rubato il cuore, che le ha catturato l'anima, e ciò che sente è... Solo rancore, tacito fastidio e profondo astio. Non sente più nessun amore per lui. Lì davanti a tutti, davanti al parroco, alla sua famiglia, agli invitati, Eufrasia dichiara il suo diniego a un'unione voluta, forse, solo per l'ottenimento del rispetto da parte di un padre rude, severo e autoritario. Colui che aveva sempre disprezzato la sua unione. Forse se Aldo avesse combattuto per la loro relazione, come aveva del resto fatto lei durante tutto quel tempo, invece di limitarsi ad accettare lo sforzo altrui prendendo a piene mani una felicità piovuta dal cielo ma mai guadagnata... Eufrasia scappa, gettando disonore sulla casata di appartenenza, generando la rabbia improvvisa del genitore, cavalcando alla disperata ricerca di una soluzione al vuoto che sente forte lacerarle le viscere e stillare lacrime amare. E Venanzio la attende. Oh si, Venanzio sembra sapere esattamente dove trovarla, come prenderla, in quale maniera concupirla. E lo farà, anche con un nuovo nome, anche con una rinnovata identità. Perché Venanzio Sauvage è un assassino, è un ladro, ma è anche colui che riuscirà a scalfire la corazza di pietra che Eufrasia costruirà, come una maschera sul suo volto, pur di non soccombere alla tristezza e al fato.
Francia 1788, primo periodo di instabilità, formazione del Terzo Stato, assurgere della borghesia a una sorta di potere che porterà, successivamente, alla rivoluzione che tutto modificherà del paese nostro cugino. Francia tumultuosa, dove ognuno inizia a guardare ai propri interessi, in cui i prezzi dei beni di prima necessità iniziano ad aumentare in favore di una regalità ottusa e negligente. La nobiltà inizia a subire i primi cedimenti davanti alla ragione di Stato, conscia, forse, dell'imminente catastrofe che troverà il suo culmine nell'anno del 79.
Francia rivoluzionaria.

La Francia di Risoli Barbara. Non esiste, un'autrice più corretta di questa, a mio avviso, per descrivere un periodo storico dal quale ella stessa sembra esser appena uscita. Con la grazia del linguaggio che la contraddistingue e la maestria nell'intessere trame fitte dall'imprevedibile epilogo, torna la scrittrice dell'Onda Scarlatta e della Stella d'Oro con una duologia ricca di sentimento e pieno coinvolgimento emotivo. Come in passato, anche ora la Risoli riesce a emozionare, catturare, vincere titubanze e scalfire cuori duri come pietre. Sciogliendo nodi storici perduti in favore dei finali che ben tutti conosciamo, la Risoli si addentra nei suoi regni perfettamente padrona di ogni angolo delle città di cui narra, cucendo trame talmente reali da riuscire a instillare dubbi di veridicità. Con un suo stile ben delineato, mai differente e per questo simile a una sorta di impronta digitale che dichiara l'autenticità come un marchio di fabbrica, l'autrice narra di amore, passione, alterigia e sotterfugi propri di secoli passati che potrebbero benissimo essere moderni e contemporanei. I rapporti familiari astiosi, ma dai legami indissolubili del sangue e del cuore; gli amori sbocciati improvvisamente, senza rigore o significato apparenti, talmente giusti da destare scalpore nelle altrui menti... Questi sono soltanto alcuni dei temi ricorrenti tra le pagine descritte dalla Risoli nei suoi romanzi che, seppur in maniera differente, tenta sempre, riuscendoci, di gettare acqua su un fuoco di sentimenti che sovente divampa laddove non si trova dialogo alcuno tra le parti. Quanto astio e incomprensione ha generato, nel tempo, il mancato confronto tra conoscenti, parenti o familiari? Quanti quei rapporti distrutti in favore di uno stupido orgoglio atto a proteggere una parte che l'uomo troppo spesso considera intoccabile, ovvero il proprio intimo fragile e incantato? E cosa può creare la sofferenza dell'oscuro, del non sapere, l'ignoranza di un sentimento agognato e mai sperimentato? Magari, poi, per paura di un'ulteriore sofferenza. Magari per mero pudore o vile accondiscendenza. Ora molti fatti narrati tra le pagine del Veleno del cuore risultano anacronistici. Non vi sono più genitori che, per via di un possibile disonore, decidono di sacrificare la felicità e la libertà del proprio figlio. Non rinchiudendo questi, comunque, in un convento votandolo a una vita di castità e santità non voluta. Ma riflettendo bene, nonostante le dinamiche nettamente differenti nel tempo, i risultati non sono poi così tanto differenti. Infatti troppo spesso, ancora, si sentono storie di giovani suicidi per paura e codardia nell'accettare un rimprovero, una punizione o semplicemente uno sguardo che potrebbe sottolineare una delusione cocente. È questo forse, al di là di tutto il resto, il messaggio puro che la Risoli lancia tramite la sua prima opera: il dialogo. Non vi è ostacolo più grande per il raggiungimento della felicità nell'unica vita che ci è concesso vivere se non la mancanza di contatto con il prossimo. Le paure di un confronto possono essere molteplici, ma l'importanza di instaurare un rapporto sincero, seppur duro, con i propri figli serve proprio a non imbattersi in situazioni dal finale tragico e incontrovertibile. Se devo esser sincera ciò che adoro dei romanzi di Barbara è proprio la voglia di trasmettere concetti profondi attraverso quelle che sembrano semplici storie di amori storici, comunque perfettamente descritti e narrati. Lasciatemi dire, infatti, che Venanzio non disattende affatto le aspettative, conoscendo i canoni amati dall'autrice, così come fanno la loro figura i personaggi maschili secondari. Come nell'Onda ricorre la figura del lavoratore che, pur non avendo la perfezione intrinseca, guadagna la propria fortuna tramite il sudore della fronte. Vi è poi la figura del padre autoritario, che pur non trovando da subito l'empatia con il lettore, si svela per l'essere umano che in fondo è, con i propri sentimenti celati e le proprie fragilità degne di un genitore catturato e avvinto dalla quotidianità a discapito del valore più alto della famiglia, che comunque è sempre pronto a recuperare nei momenti di maggior sconforto. Le donne, come sempre nei romanzi della Risoli, poi, danno il senso della forza d'animo, dell'indipendenza e dell'assoluta capacità di riuscita nei momenti bui della propria vita senza il bisogno necessario di terzi per il raggiungimento della propria felicità. L'uomo, per le donne della Risoli, è semplicemente l'arricchimento della vita, il particolare necessario alla felicità perfetta, ma non il mezzo per il quale questa viene ottenuta. La fortuna la si costruisce con le proprie mani, che si tratti di uomo o donna, indistintamente. Plaudendo un'ulteriore volta alla bravura di un'autrice a mio avviso degna delle luci della ribalta, mi appresto a leggere il secondo volume della duologia che conclude le vicende di Eufrasia e Venanzio, augurandomi che nel frattempo qualche casa editrice scopra davvero chi è Risoli Barbara. Un'autrice italiana destinata agli scaffali delle librerie e non agli e-book autoprodotti su Amazon.

lunedì 5 maggio 2014

Reborn di Miriam Mastrovito


Reborn

Martina e Andrea sono morti da due anni, ma il ricordo che Elga conserva di loro è vivo e presente in ogni suo giorno. Anche dopo il coma, soprattutto da quando è tornata a casa, vivendo tra le stesse mura che hanno conosciuto la felicità dei loro giorni assieme. Martina, la sua bimba dai capelli ramati e boccolosi, e Andrea, marito esemplare e dall'amore profondo, erano tutto ciò che rendeva le giornate di Elga degne di esser vissute. Martina, più di Andrea, in effetti. Ed è per questo che la donna continua, imperterrita, a perseguire nella tradizione di festeggiare il compleanno della sua bimba, confezionandole le bambole che tante ha amato e farcendo le torte che era solita divorare, felice e contenta nell'amore che le era stato riservato. Portare avanti quella tradizione è un po' come continuare ad averla vicina. E la bambola reborn dai capelli neri e gli occhi azzurri che le ha confezionato quest anno è semplicemente meravigliosa, tanto che Elga quasi immagina l'espressione estasiata della bimba nello scartare la scatola di velluto in cui è incartata. Questo evento non avverrà mai, ma Elga trae conforto solo dal pensiero dell'immaginazione, l'unica cosa che gli è rimasta da vivere in una realtà scomoda e densa di solitudine. Non ha chiesto lei di rimanere incolume all'incidente. E non ha chiesto lei di avere una sorta di stalker che la segue ovunque vada, inconsapevole, forse, del dramma che la sta logorando da due anni e che non accenna minimamente a regredire. Perché Elga è sola e vuole rimanere tale. Nessun amico, né conoscente, né parente a girarle intorno. Solo lei e il suo universo fatto di bottega e bambole reborn. Ma la notte del compleanno di Martina accade qualcosa. Elga, nel sonno, avverte davvero la presenza di Martina e, nonostante il terrore che l'evento evoca, piange di gioia, anche se il profumo che avverte non sia della sua bambina. No, non è di zucchero filato misto a vaniglia. Somiglia all'odore della terra bagnata. Ma non importa, in fondo. La manina che le stringe il braccio nel buio è reale, è della sua piccola, non è immaginazione. Non è immaginazione...

Strisciante, vagamente soffocante e decisamente inquietante. Ecco come inizia uno degli horror moderni più belli tra quelli letti ultimamente. Perché Reborn è un horror, è bello ed è decisamente un romanzo da leggere, godere e divorare. Non può esser letto centellinando pagine, non ne da possibilità alcuna. Fin dall'inizio ne appare chiaro il fascino, non lasciando adito a dubbi di sorta. Una bambola... Cosa c'è di più inquietante di una bambola? Solo una bambina sconosciuta che penetra in casa scardinando ogni certezza fin a quel momento acquisita. Non è un caso che la maggior parte dei film horror di successo abbiano per protagonisti bambole e bambini. Ma questa mia affermazione non vuole assolutamente lasciar intendere una trama scontata o priva di originalità, al contrario. Proprio per la dura prova in cui si cimenta Miriam Mastrovito, talentuosissima autrice poliedrica emergente che ho imparato a conoscere nel tempo, fin dai suoi albori con “L'ultimo rap”, il romanzo Reborn rappresenta una perla che credo abbia davvero il dovere di figurare in alto nelle classifiche. Il linguaggio estremamente colto ma mai ridondante, lo stile narrativo sciolto e capace di avvincere e catturare, i personaggi credibili e perfettamente descritti affascinano il lettore rendendolo vittima di un'assuefazione dalla quale è quasi impossibile fuggire. Si odia, si ama, ci si emoziona e si spera: Reborn è un caleidoscopio di sensazioni molteplici. Al di là, poi, dell'aspetto orrorifico dell'opera, oltretutto, ciò che è mirabile è l'alto tasso di riflessioni a cui è portato il lettore durante il procedere della storia narrata. Il libero arbitrio, l'ineluttabilità degli eventi e l'esistenza di Dio contrapposta a un Caos in grado di far credere cose del tutto prive di fondamenta sono solo alcuni degli argomenti importanti trattati. L'amore familiare, poi, viene smembrato e analizzato in maniera quasi chirurgica, svelando dinamiche impossibili da descrivere ma reali, purtroppo attuali e per nulla facili da digerire. Le violenze sui minori, la psicologia infantile e le fratture di una mente messa alla prova dal fato fanno da cornice, infine, a un romanzo completo, ben scritto e dannatamente giusto. L'ho adorato, non ho molto altro da dire, anche perché rischierei di anticipare scene ed eventi che hanno l'obbligo di esser letti. Mirabile la scena della bambina colta da doppia personalità nella sua stanza, il fotogramma alla IT in cui il bacio d'amore diventa un bacio d'orrore... L'ho divorato in un giorno e mezzo e, dico la verità, ho provato quasi la voglia di averlo scritto io! È raro mi accada una cosa simile, ma sono sincera. La Mastrovito ha dato prova di essere una grande autrice e non vedo l'ora di leggere un suo nuovo horror, decisamente un genere in cui questa meravigliosa scrittrice sa muoversi davvero con grazia e inaudito talento.

sabato 3 maggio 2014

Anime nere di Andrea Biondi


Anime nere


Anime nere. Nere come il nazismo che sembra perdurare all'infinito, dopo il suo avvento. Nere come il desiderio di riscatto, di giustizia, di libertà che, sovente, rischia di passare il confine sottile del lecito. Nere, come l'orrore in cui i morti non muoiono e hanno bisogno di altro sangue, altra carne e altro delirio per soccombere finalmente, in un rantolo di pace. Forse. Perché nessuno sa davvero se la pace sia poi per i vivi o per i morti. Romano sembra saperlo molto bene, alla guida del suo strano gruppo di... Cosa, amici? Soldati? Compagni? Ci troviamo negli anni cinquanta apocalittici di una Rimini immaginaria, contorta, stramba. Dannatamente nera, come lo sono le anime dei sopravvissuti che tentano invano di continuare a sperare. I nazisti non sono andati via e la guerra, il più grande e catastrofico conflitto che il mondo abbia mai conosciuto in epoca moderna, sembra voler perdurare all'infinito. Romano, il Pelloni, l'Elisa, la Sara... Persino un prete che suona tanto come il giustiziere mascherato. Ma non in chiave comica o tragicamente seriosa. Mascherato del volere di un Dio che sembra essersi dimenticato degli uomini. Come riflette Romano, in effetti, questo Dio sembra aver ecceduto, nella sua sete di giustizia. Non si può distruggere il mondo per creare dalla sue ceneri qualcosa di più sensato. Non è giusto per chi vive, ignaro delle brutture proprie di alcune dinamiche lontane, adatte ai potenti e ai guerrieri e non alla gente comunque, ai contadini, agli umili lavoratori. E il libero arbitrio, in fondo, è semplicemente un'accozzaglia di parole senza senso alcuno. Perché non esiste. Perché qualcuno di potente, forse Dio, forse il demonio, forse qualcun altro, ha già predisposto ogni cosa per gli uomini. E all'umanità non resta che tentare di sopravvivere. Torna Andrea Biondi, torna il suo modo scanzonato di raccontare la vita , complice un'ironia contagiosa che riesce a far ridere e sorridere anche nelle situazioni più delicate e tragiche. Questa volta non siamo alle prese con il thriller riminese di Due, bensì con un horror ben strutturato e decisamente fuori dalle righe. Ambientato nella tanto amata Romagna, Anime nere narra di un immaginario passato costellato da zombie, nazisti golem fatti d'acciaio e fumo, e di un gruppo scapestrato di gente unita dal fato e pronta, forse, ad affrontare una guerra ancor più dura di quella raccontata sui libri di storia reale. Il lettore è spesso portato a chiedersi se scenari di tale stranezza, in fondo, siano stati possibili. Si è sempre ipotizzata un'intelligenza scientifica nel nazismo in grado di creare cose che ancora oggi soltanto immaginiamo. Addirittura si è sempre ipotizzato il ritrovamento del Graal, di una possibile sinergia tra nazisti e alieni, del connubio tra satanismo e occultismo correlato alle SS. In fondo la Thule e tutti i gruppi esoterici, mossi dal culto della magia nera, non sono stati inventati in epoca moderna. Sono esistiti, così come è esistita gente fermamente convinta di poter dominare tali scienze e ascendere al potere mondiale con l'aiuto del demonio. E cosa c'è di più demoniaco degli zombie? Morti viventi che continuano a camminare sulla terra alla ricerca di carne fresca da spolpare. Ma gli zombie non sono poi tutti i morti che son rimasti sulle coscienze di molti aguzzini e che continuano a vivere nelle loro menti, infestandone le sinapsi, pronti a divorarne gli scarni ricordi al fine ultimo di una pazzia meritata? I nazisti, ipotizzati come enormi macchine da guerra, cattivi fino al midollo, inarrestabili nel loro acciaio, dai lineamenti vagamente umani... Non sono forse l'immagine che la storia ha donato loro, supportata da quell'accento così duro e gutturale da incutere timore solo al minimo suono? Non hanno forse dato sempre l'impressione, questi personaggi terrorifici, di essere persone inviate solo per perpetrare una distruzione di massa? Cattivi, neri e terribilmente inumani, i nazisti non hanno sempre dato l'idea di catastrofe? Forse è per questo che la maggior parte degli horror moderni vengono ambientati nell'epoca della seconda guerra mondiale. Perché sono gli scenari e la cattiveria a rendere la storia così terribilmente densa di paura. Non esiste uomo nero più inquietante del nazismo. Ed è un fatto. Così come non esiste forma più vicina alla resistenza del primo partigiano, colui che ebbe l'idea di resistere all'invasore e combattere per la pace e la libertà del prossimo. Ed è questo che fanno Romano e i suoi, pur con i loro difetti, pur con le loro pulsioni umane. Perché, in fondo, di esseri umani si tratta. E così, mentre i morti tornano a camminare sulla terra, pronti a divorare i peccatori in maniera indistinta, come un tristo mietitore incapace di discernere il buono dal cattivo, Andrea Biondi fornisce la prova di essere un autore poliedrico, capace di scrivere e descrivere la vita in chiave naturalistica in ogni genere, pur attenendosi al suo già collaudato metodo di narrazione acuto, scanzonato, sagace e anche un po' gigione. Nonostante la chiave horror, infatti, la lettura procede scorrevole. I dialoghi sono freschi, reali, privi di ridondanze e temuti punti morti. Naturali. Inoltre le descrizioni rendono bene l' idea, scritte come in una sceneggiatura, con tanto di introduzioni “in dissolvenza – esterno - notte” in grado di mostrare e non solo narrare. Il romanzo Anime Nere, in effetti, è stato tratto dalla sceneggiatura di una web series, sempre a opera di Biondi, che sta riscuotendo notevolissimo successo non solo in ambiente italiano, bensì oltreoceano. Candidato al film festival di Los Angeles, infatti, la web series Inglorius Hunterz, ha recentemente vinto il titolo come Best Visual Effect al Rome Web Awards e conta di arrivare lontano, molto lontano. Come, del resto, il romanzo...