Ho iniziato la lettura di questo
romanzo con le mie belle remore, non posso nasconderlo. Non per il
modo di scrivere, che ero certa avrei trovato appassionante e
accattivante (ho conosciuto Alessandra Paoloni con “brevi monologhi
in una sala da ballo di fine ottocento” e ne sono rimasta
folgorata). Non per la qualità con cui è stato svolto il lavoro,
conosco l'autrice e ho iniziato a conoscere anche la casa editrice...
Insomma, le mie titubanze erano rivolte soprattutto alla storia
narrata, al genere... Mi sono trovata, qualche giorno fa, a parlare
con Brasili circa il mestiere dello scrittore. Siamo convenuti al
concetto di base che non importa cosa si scrive: se si è colmi di
talento si è in grado di far leggere ogni cosa. Indovinate un po'?
Sembra proprio che la Paoloni abbia un talento che le sgorghi dalle
vene. Nonostante abbia avuto a che fare con un paranormal fantasy non
mi sono affatto annoiata, anzi, la storia mi ha intrigata, tanto che
sono riuscita, tra un impegno e l'altro, a leggere tutto in due
pomeriggi. E se la Paoloni è riuscita dove altri avevano miseramente
fallito, facendomi abbandonare il libro neanche a metà, significa
che è proprio brava. Non nascondo che il romanzo presenti degli
errori di editing, ma risultano marginali se confrontati ai fini del
lavoro finale. Altro punto a favore è l'estrema qualità con cui la
casa editrice Butterfly ha curato il tutto. Mi piacciono i loro
libri, dalla copertina alla carta. Sembra una cavolata, messa così,
ma posso assicurarvi che non lo è affatto. Non c'è cosa peggiore,
per uno scrittore, che mandare in pubblicazione un proprio lavoro e
vedere, come risultato, un ammasso di fogli a4 tagliati e rilegati.
Credetemi, è avvilente, ci si vergogna. La Butterfly, invece, sa il
fatto suo. Ma torniamo alla star del giorno, che è la cosa più
importante. Emma Onofri, questa eroina creata dalla penna di
Alessandra, destinata, a quanto si evince, a grandi cose. Certo, io
detesto le saghe per la mia proverbiale impazienza, ma posso fornire
un discreto margine di azione, all'autrice, in modo di mettermi a
parte degli sviluppi dell'intera faccenda. Emma è una ragazza
normalissima, di Roma, giunta nel paesino di famiglia, Tiepole, a
causa della morte del nonno Achille. Da qui parte tutto. Sarà
rapita, messa a parte della storia della piccola cittadina in cui è
giunta, landa sperduta, dimenticata persino dalle cartine
geografiche. Farà la conoscenza dei ragazzi maledetti e scoprirà di
esserlo a sua volta. Non sta a me rivelare la trama del romanzo, come
al solito, ma posso svelare che, tra le pagine della Paoloni, si
trova tutto. E per tutto intendo: vampiri, licantropi, mutaforma,
streghe, stregoni, fantasmi, veggenti. E, finalmente, non si tratta
dei moderni personaggi horror tramutati in protagonisti harmony,
anche se si intuisce una certa tendenza a volerlo fare. Durante la
lettura si evince un certo amore verso le storie di Twilight e verso
quelle di Harry Potter, ma non perché ci sia qualcosa, nella
narrazione, di copiato. C'è uno stile, quello proprio di Alessandra,
in grado di trasmettere più della parola scritta. Si può
comprendere un notevole attaccamento alla propria terra, un amore
viscerale verso i propri genitori, una solidarietà e un amore ciechi
verso i propri amici e il sentimento di aiuto reciproco proprio di
chi ha vissuto in un contesto piccolo e affettuoso come quello di un
paesino. Io ci ho vissuto, per un periodo, e ho ritrovato, tra le
pagine della discendente, tutti quei particolari che mi hanno fatto
adorare la permanenza, seppur breve, in una parentesi simile,
corredata, ovviamente, da impiccioni, “lavativi e fatalisti”
cittadini. Altro punto a favore del romanzo è il fatto che non si
fanno sconti a nessuno: se c'è da uccidere si uccide. I cattivi sono
cattivi davvero e i personaggi odiosi fanno ribollire il sangue nelle
vene, per chi ne ha. Io, che sono atipica di mio, ho odiato
profondamente la figura del padre di Emma, davvero troppo presente e
pressante. In più di un'occasione mi sono trovata a tifare per la di
lui dipartita (lo so, sono becera, ma non lo sopporto!) o per la di
lei, Emma, fuga (magari d'amore col bel tenebroso). Ne avrei di cose
da dire, anche sulla discendente stessa, ma non posso, peccherei di
spoiler. Una cosa però posso dirla: tifo per nonna Marta, io! Ah, e
un'altra cosa: le streghe non sono cattive! Tra Mp Black e la Paoloni
questi poveri personaggi sono destinati alla gogna, non è giusto! Vi
lascio di seguito il link all'acquisto del libro: leggetelo!
La saga di Dre Walker by CK.Harp
venerdì 31 gennaio 2014
giovedì 30 gennaio 2014
Oggi un raccontino stile orrorifico ve lo lascio, va...
Il
riflesso del male
Non
fu in grado di trattenere le lacrime.
“Dai,
me lo avevi promesso! Vedi che non ci si può fidare di te? Sei di un
confortante...”
“Su,
non ti arrabbiare.” Tosca cominciò a respirare affannosamente,
portando una mano allo stomaco, nel tentativo di calmare le sue risa.
“Non è colpa mia se... Se il parrucchiere ha deciso di farti
diventare come la protagonista di Apocalypto!”
“Ancora?
La fai finita?” Ma il sorriso si stava già facendo largo,
sgomitando, tra le labbra di Rosaria. Era impossibile non
abbandonarsi all'ilarità, quando c'era Tosca nei paraggi...
E
ora eccola lì, con un'accettata fra capo e collo, ad attendere una
mano dal cielo. “Voglio morire... Guarda cosa mi ha combinato quel
deficiente... Adesso mi dici come vado in giro? Mi dovrei tagliare la
testa!”
“Beh,
il parrucchiere ti ha dato una bella mano...” Tosca riprese a
ridere sommessamente, tra i borbottii indignati di Rosaria, mentre
una debole pioggia prese a cadere sulla strada deserta. “Ecco, ci
mancava solo l' ACQUA... Così, con i CAPELLI ricci che ho, sai che
bel porcospino divento? Fortuna che non c'è nessuno in giro...
Anzi... Ma oggi c'è qualche sciopero?”
Tosca
si fermò un momento, smettendo di ridere, e si guardò attorno,
prendendo con i suoi OCCHI azzurri tutto l'isolato. “Che io sappia
no, ma è strano, effettivamente, questo “assenteismo”... Non
saprei cosa dirti. Una cosa è certa. Se ci si avvicina qualcuno, con
quel casco di banane che hai in testa, scappa a gambe levate! Mamma
mia, Rosaria, che ti ha combinato... Dovresti fargli causa!”
Lo
sguardo, quasi schifato, della sua amica le fece montare una rabbia
quasi indomabile. “LA VUOI FAR FINITA? SCHERZARE VA BENE, MA COSI'
È TROPPO! TI RENDI CONTO CHE CI DEVO ANDARE IN GIRO IO CON QUESTO
COSO IN TESTA? CHE CAZZO CONTINUI A PRENDERE IN GIRO?”
“Ehy,
datti una calmata... Anche perché, così, non è che migliori la
situazione... Guarda che i cappelli fanno miracoli...” Il sorriso a
trentadue denti, Tosca era incorreggibile. Impossibile portarle
rancore per più di due minuti. “Vaffanculo, vai... “Ricresceranno,
Rosaria. Non fartene un problema, sul serio. Non ti stanno tanto
male. Tutto sta nel farci l'abitudine...”
Giunsero
davanti il portone di casa di Tosca in silenzio e, prese le chiavi,
salirono le scale. “Ti faccio compagnia... Ma solo finché non
arriva Luigi. Se non torno a casa per tempo, mi tocca uccidere mia
madre. Lo sai com'è fatta. Puntualità sopra ogni cosa... Prima però
uccido te...”
“Si,
lo so... Però lo sai che non sopporto di stare in casa da sola...
Accenditi il televisore, vado un momento in bagno. Ah... Mi so
difendere bene, io! ”
Rosaria
si adagiò sul divano, sprofondando nei cuscini morbidi e caldi, e
prese a fare zapping tra un canale e l'altro. Le sei del pomeriggio e
come al solito, nulla di interessante... Sbuffò e, afferrato il
pacchetto di sigarette, ne accese una meccanicamente, per semplice
noia. Chiuse gli occhi e, senza rendersene conto, si addormentò.
Plink.
Plink.
Plink.
Aprì
gli occhi. Era in piedi, vicino al divano, la sigaretta spenta.
Titubante, aggrottò la fronte. Un vuoto di memoria... Che strana
sensazione...
Le
gocce provenivano dal bagno. Stranamente le distingueva nitidamente,
nonostante fuori stesse diluviando.
Seguì
il rumore, appoggiando le mani tremanti lungo il muro candido. Si
voltò, avanzando verso il bagno, e si accorse della lunga scia di
sangue sull'intonaco. Il cuore perse un colpo, ma il terrore non
arrivò, come aveva immaginato. Si sorprese tranquilla. Continuò a
camminare, ora sicura, e aprì la porta del bagno semichiusa. La
vide. Il sangue sgocciolava copioso dagli occhi di Tosca, distesa
nella vasca asciutta. Occhi... Non li aveva più. Rosaria la fissò,
avvertendo l'acido salirle in gola, ma non gridò. Se lo aspettava.
Perché? “Ma che cazz...” Portò una mano alla fronte e tastò
una ruga. A quel punto la paura si fece largo. Una ruga... Come era
possibile? A vent'anni, una ruga? Il cuore batteva furiosamente nel
petto. Sembrava volesse esplodere. Si catapultò sul lavandino,
cercando lo specchio, dai bordi gialli, dell'amica. Si vide riflessa
e fu lì che l'urlo nacque potente e imponente. Un grido
agghiacciante, che percorse in poco tempo l'intero palazzo, infranse
i vetri del salotto. Cos'era diventata? I denti affilati, gli occhi
infossati e rossi, il volto completamente deturpato... Cos'era quel
mostro? Si voltò, guardando i lineamenti dolci di Tosca, e una
rabbia cieca la pervase. Non poteva essere bella, lei che era morta.
Cosa se ne faceva della bellezza, una persona che era capace
solamente di prendere in giro gli altri? Lei sarebbe dovuta essere
bella... Lei, e nessun'altra! Contemplò le proprie mani, intrise del
sangue della ragazza, e notò gli artigli. Sorrise, perversa. Bene...
I capelli non sarebbero più ricresciuti, perché si sarebbe uccisa
prima, ma quella stronza avrebbe avuto un funerale ancor peggiore.
Sarebbe diventata una senza – volto...
Si
gettò sul corpo esanime di Tosca, squartando, con tutta la forza
sovrannaturale di cui era capace, e ne dilaniò i tratti distintivi.
Strappava, mordeva, gridava e rideva... Rideva di gusto come mai
aveva fatto... Una volta terminato avvertì la calma riprendere il
proprio posto nel suo corpo. Ansimava ancora, ma sempre più
lentamente. Si voltò verso lo specchio, pronta a gridare. Vide la
sua immagine e delle lacrime le rigarono le guance... Rosaria la
contemplava dal vetro, sorridente e giovane... e comprese... Chiuse
gli occhi e consentì la trasformazione.
Si
chiuse la porta dietro le spalle, toccandosi i capelli corti con le
dita, sorridendo, dopotutto. Ci stava già facendo l'abitudine...
Il
suo doppio sarebbe riemerso un giorno, forse... O forse no...
Astri di paura, 2009
martedì 28 gennaio 2014
Il Lupo di Luigi Brasili
Il Lupo. Primo episodio della collana
The tube: Exposed (racconti esposti al morbo), collana ideata e
curata da Franco Forte, pubblicata dalla Delos Book, composta da racconti, maxi racconti, scritti dalle penne degli
scrittori e dei lettori del forum Writers Magazine Italia.
Il Lupo, un racconto di Luigi Brasili.
Dico: Luigi Brasili, non il primo arrivato nella valle dei “cazzoni”.
Di Brasili ho letto molto, ma soprattutto ho adorato (come darmi
torto?) La strega di Beaubois. Luigi non è uno di quei tipi che ci
credono, che fanno di tutto per apparire scrittori, che sgomitano tra
i tanti in cerca di gloria. Luigi Brasili è uno scrittore che non ha
bisogno di conferme, perché non ne sbaglia una. Forse, allora, non
serve tirarsela per dimostrare che si è validi. Perché se una
persona viene pubblicata a destra e manca, senza rompere l'anima al
prossimo, è perché, evidentemente, se lo merita. Il Lupo è la
chiara dimostrazione che la bravura non ha storie: la classe è
classe, così come il talento. Io non amo il genere degli zombie, ed
è per questo che ho tergiversato a lungo per acquistare l'e-book e
leggerlo. Ero pronta a dare un'occhiata alle prime pagine e a farmi
gli affari miei, non informando neanche il mondo di averne iniziato
la lettura. E invece Luigi è riuscito laddove, solitamente, altri
falliscono. Mi ha fatto piacere i morti che camminano! E non tanto
perché la gente si mangia l'un l'altra, in un crescendo di labbra
mozzate e dita che rotolano, ma per tutto ciò che precede il
contagio. Lo scenario che viene descritto, lo squallore, la
caratterizzazione dei personaggi... Tutto è perfettamente mostrato
al lettore, seppure l'autore si sia avvalso di pochissime righe per
farlo. Cacchio, questo è talento. Sono entrata nel vivo del luogo,
stavo col Lupo, con Gina, a vomitare l'anima appresso alle pillole
ingurgitate, a provare disgusto davanti alla morte. Ero insieme al
gatto che si strusciava sulle gambe del suo padrone barbone, ero
nella branda di Einstein, mentre curava le bruciature del suo amante.
Un film. In poche pagine ho visto un film. E allora, secondo voi, Il
Lupo è da leggere? Secondo voi, vi consiglio la lettura di questo
e-book e del suo seguito, uscito proprio oggi “Il Lupo, il
ritorno”? Se non ci siete arrivati: si, vi consiglio di acquistare
i due e-book, veloci e fruibili, e mangiarveli in un sol boccone,
come i protagonisti “brucano” dal torace delle loro vittime (una
frase, questa, decisamente stupenda, Luigi!). Non vi anticipo nulla,
non vi dico altro. Già di per sé Luigi non avrebbe bisogno di
presentazioni, quindi fate voi...
lunedì 27 gennaio 2014
Il viaggio in carrozza
Gli occhi chini in terra, le mani
rigide ai lati del volto, nessuno si curava del signor Triponi.
Stipati come bestie da macello, ognuno perso nel proprio mondo
bislacco, viaggiavano ininterrottamente da tre giorni. Nella
carrozza, in quel momento, erano più di trecento, ma Chi di dovere
sapeva che, con la prossima fermata, si sarebbe arrivati a più di
cinquecento persone per carrozza. Persone... Animali. Chi di dovere,
nella prima cabina del treno merci, sorrise con disgusto al pensiero,
poi si voltò verso il macchinista e riprese il racconto della sua
notte brava di una settimana prima. Nessuno parlava, oltre i soldati,
e nessuno proferiva una parola di senso compiuto. Il signor Triponi,
meno di tutti. Perché lui neanche riusciva a pronunciare alcun
fonema. Era muto. E autistico. Un bel problema, come ne esistevano
tanti, del resto. La missione del nuovo regime era quello di ripulire
le strade dalla feccia ebrea, ma anche dei singoli scarti della
società ammassati nei manicomi. Già, perché non esistevano solo
gli sporchi ebrei. Quelli, Chi di dovere lo sapeva bene, dovevano
essere eliminati perché costante minaccia all'economia nazionale. Ma
gli altri... Gli altri erano semplicemente abomini naturali, aborti
non perpetrati per carità cristiana... Quei rincoglioniti di preti!
Che significato aveva lasciar vivere certi deformi, certi ritardati,
solo per la soddisfazione di dire “Se esiste un Dio, io ho fatto la
cosa giusta ai suoi occhi?” Non esisteva nessuno. Perché se fosse
esistito, non avrebbe permesso simili scempi nella razza umana. Nella
razza ariana, per meglio dire. Gli italiani, quegli insulsi, non
capivano che avrebbero fatto, prima o poi, la stessa identica fine
degli animali che contribuivano a deportare. Chi di dovere lo
sospettava da tempo. Il progetto finale era quello di lasciare in
circolazione solo la stirpe superiore, quella derivante da Odino. Era
una legge di sangue provata. Provata dal primo cancelliere, mica
bazzecole. Il signor Triponi, lo sguardo sempre chino a terra, si
accorse di essere bagnato, ma non se ne preoccupò. Sapeva che non
era sua l'urina che macchiava le sue natiche, ma in quel marasma non
importava. A chi importava di lui? Non era mai importato a nessuno.
Almeno, per quei tre giorni, non era stato esposto al vento gelido di
gennaio. Già, perché in manicomio erano soliti lasciarlo per notti
intere all'addiaccio, solo per vedere che fine avrebbe fatto. Il
signor Triponi era muto e autistico, mica stupido. Sapeva fare i
conti, nonostante nessuno glielo avesse mai insegnato. Era cresciuto
in manicomio. Portato li da sua madre, donna fragile, piccola e
ossuta, alla tenera età di quattro anni, era stato dimenticato tra
le braccia della suora che lo aveva afferrato senza tanti
complimenti. Era strano, il signor Triponi, perché non parlava. E i
suoi genitori avevano notato che non si voltava quando veniva
interpellato. Che fosse pure sordo? No, sordo no. Il signor Triponi,
Glauco all'epoca, ci sentiva bene, solo che non s'interessava del
mondo circostante. E guai a toccarlo. Era come se un fuoco vivo lo
devastasse in mille lingue. E i genitori, poveri cristi, non potevano
sopportare la sua vista. Chi avrebbe potuto? Chi avrebbe voluto un
ragazzino incapace di amare? Incapace di socializzare? Incapace di
essere di qualche aiuto all'economia familiare? Ed ecco che si erano
ritrovati al Santa Maria della Pietà, a consegnare quel pacco umano
alla mercé di sedicenti psichiatri che, per amore della scienza, lo
accolsero tra le loro elettriche braccia fatte di elettrodi. Brutti
ricordi, per il signor Triponi. Ora, nonostante fosse sporco delle
feci del suo vicino, o dei suoi vicini, sorrise, compiaciuto. A mai
più rivederci, dottor Udinetti. A mai più rivederci, suor Beatirce,
graziosa donna dalle mani lubriche e desiderose di cose da toccare.
Di corpi, da toccare. A mai più rivederci, carta incerata marrone
sporca di urina cinque giorni su sette. Ora si viaggiava, ora si
andava all'avventura. Chi di dovere sapeva il destino di quel treno
di ritardati. Già, perché tutti i passeggeri presenti provenivano
dai manicomi italiani disseminati per la penisola. Ed erano tanti, oh
se erano tanti. Il signor Triponi era solo un piccolo ago
nell'immenso pagliaio dei dimenticati, dei deformi, degli storpi.
Down, cerebrolesi, carrozzati, autistici, sordi, muti, sordomuti
(addirittura!) e chissà che altro si era inventato il mondo pur di
infestare le strade ariane... Perché tutte le strade, erano ariane.
E che non stessero molto tranquilli, quelli dei paesi oltreoceano,
perché, prima o poi, sarebbero arrivati anche li. Chi di dovere lo
sapeva benissimo, mentre parlava di zoccole e vino umbro. Mancava
ancora tanto, alla meta, ma il signor Triponi lo ignorava. Gli occhi
chini a terra, le mani sempre sollevate, rigide, ai lati del viso,
era seduto nella stessa posizione da tre giorni. Ci aveva persino
dormito, seduto, come i muli. D'altronde, era impossibile sdraiarsi.
Erano ammassati come i tasselli di un mosaico. Una volta, al signor
Triponi, una suora aveva insegnato ad attaccare i tasselli colorati
su un pezzo di legno. Quella donna era scomparsa, dal manicomio, dopo
appena tre settimane di servizio. Il signor Triponi c'era rimasto
male, aveva pianto dentro, ma non lo aveva dato a vedere. O a
sentire. Ora, al ricordo, aveva i crampi ai gomiti, ma di abbassare
quelle braccia proprio non se ne parlava. Non poteva, era il suo modo
di tenerle lungo i fianchi. E il viaggio proseguiva, la meta era
lontana, la prossima tappa vicina. Chi di dovere lo sapeva bene,
molto bene. Il signor Triponi chiuse gli occhi, i pantaloni, ora,
completamente bagnati, avvertendo i morsi della fame, ascoltando i
mugolii dei vicini, parenti nella tragedia. Chissà che fine avevano
fatto i suoi genitori? Un padre, di cui non rammentava il volto, la
madre ossuta che lo aveva consegnato a quel postaccio. Chissà? Li
avrebbe trovati, una volta sceso da quel treno? E i suoi occhi, si
sarebbero riaperti, al suo risveglio? O non si sarebbe più
risvegliato? Chi di dovere sapeva che, se si fosse risvegliato, ci
sarebbe stata comunque la morte ad attenderlo. Altro che genitori.
Altro che affetto. Solo gas. In fondo, il signor Triponi era solo un
ritardato. Un muto del cazzo da sterminare, da eliminare. Il signor
Triponi non era un signore, non aveva nemmeno cognome, per la legge.
Era un essere con le braccia perennemente alzate, le mani rigide, la
bocca serrata, allargata in un sorriso ebete, lo sguardo a fuggire
quello degli altri. E non sarebbe stato neanche un numero, non ne
avrebbe avuto il tempo. Quell'essere sarebbe stato polvere, gas, se
avesse avuto la sfortuna di risvegliarsi, dopo il viaggio. Non
sarebbe stato più nessuno, benché, già ora, non possedesse
identità. Il signor Triponi.
Racconto in memoria delle vittime dei campi di sterminio. Per ricordare anche loro, quelli che non hanno la memoria di molti.
domenica 26 gennaio 2014
Crune d'aghi per cammelli: un libro di Maria Silvia Avanzato (un genio!)
Edgarda Solfanelli. Una di noi. Una in
cui è così semplice identificarsi, se si ha provato almeno una
volta l'esigenza di scrivere, da renderla un'eroina moderna. Che poi,
quando provi tale urgenza, quella di scrivere intendo, una volta, non
la molli più. Edgarda Solfanelli. Una che quasi prostituisce ogni
sua molecola, pur di ricevere un contatto in grado di proiettarla nel
mondo dell'editoria. Perdendo, a tratti, la sua dignità. Ma con un
obiettivo in mente. Lasciarsi alle spalle un oscuro coniglio cagone,
quella fregnaccetta, di cui si è resa autrice in tempi non sospetti.
Abbandonare Er Crotalo, agente inutile e tamarro fino al midollo.
Entrare a far parte della scuderia di La Sorte, editore
superfighissimo, lontano anni luce dal suo “omissis”(opera
pregressa di cui l'autrice continua, tutt'ora, a non voler parlare
nonostante ne abbia elaborato anche il seguito). Sfuggire alla pazzia
dilagante di Lavinia la stalker, nonostante senta l'assoluta esigenza
di averla ancora come fan (una presenza assicurata alla prossima
presentazione del coniglio piscione). Dimenticare quel tocco di
ragazzo ravennate che è Filippo, che ha pure... Ma non posso andare
oltre, svelerei troppo, e questo invece è un romanzo tutto da
leggere, con godimento (tipo “non leccandosi le dita godi solo a
metà)
Crune d'aghi per cammelli è un libro
geniale, di un'autrice geniale, di cui è estremamente difficile
illuminarne a genialità. Perché? Perché è impossibile scrivere
una sinossi di un libro di Maria Silvia Avanzato. Come scrive lei non
scrive nessuno. E questo romanzo è talmente complesso, nonostante
voglia disperatamente apparire come una storia semplice, che il
tentativo di spiegare le vicissitudini della protagonista diventa un
impiego full time. L'autrice ha un modo così particolare e
dettagliato di descrivere paesaggi, personaggi, sensazioni, senza
risultare mai prolissa o ripetitiva, da rendere la lettura di Crune
un piacevole passatempo giornaliero di cui non si vorrebbe mai vedere
la fine. Ho tentato, inutilmente, di far durare le avventure della
Solfanelli il più a lungo possibile. Perché? Perché mi sono
divertita da matti. La Avanzato è riuscita a narrare le vicende
assurdamente possibili di una tizia assolutamente reale. Mi è stato
impossibile non associare il volto dell'autrice alla protagonista,
dato che è maledettamente uguale a lei, per il modo che ha di
parlare, di ironizzare, di essere spietata nelle sue osservazioni, ma
oculata e obiettiva. Ragazzi, Crune è il romanzo che narra le
vicende di ogni aspirante scrittore alle prime armi. Ho letto dei
commenti su amazon da rabbrividire. Gente che è riuscita ad
affibbiare una sola stelletta a questo romanzo, edito per altro da
Fazi (non pizza e fichi, Fazi) rendendo noto al mondo la loro
profonda ignoranza in materia di scrittura e lettura. Non so se i
vari improvvisati recensori fossero alla ricerca di avventure nel
deserto con degli aghi infilati dove non batte il sole e per questo
sono rimasti delusi dalla storia della Solfanelli, ma dire che questo
romanzo non ha né capo né coda, che somiglia a una raccolta di
esercizi letterari... Ragazzi, che continuassero a leggere storie
assurde di vampiri arrapati elevandosi a grandi acculturati di testi
contemporanei. Non si può. Chiunque abbia un po' di sale in zucca si
renderebbe conto della fortissima capacità di Maria Silvia a
scrivere. Perché lei, ragazzi, sa scrivere, cazzo (parafrasando la
mia, oramai, guru Edgarda Solfanelli) Questo è decisamente un libro
da leggere, un romanzo per cui valga la pena spendere gli euro
richiesti. Non un lavoro da denigrare, in favore, magari, di libri
assurdi che vengono ammessi nell'olimpo solo perché seguono la scia
dettata dalla modo del momento. Elevatevi, gente! E per quanto mi
riguarda, lasciando il link all'acquisto di Crune d'aghi per
cammelli, faccio i miei sperticati complimenti alla Mary: fantastica!
giovedì 23 gennaio 2014
E siamo arrivati anche a chiedere un risarcimento per l'handicap del proprio figlio... E complimenti!
http://www.studiocornelio.it/faq_9.php
Oggi, navigando su internet alla ricerca di informazioni utili, sono incappata in questo interessantissimo video di un tale avvocato Cornelio "Il mestiere più bello è quello di difendere la gente". Tale signore, intervistato a Mestre dall'informatissima giornalista Maria Stella Donà, informa i telespettatori circa la sua ultima vittoria in campo giuridico. Di cosa si tratta? Di aver ottenuto un risarcimento, dalla cassazione, per una bimba affetta di sindrome Down e per sua madre. Motivazione? La bimba è nata. Si, la motivazione è proprio questa. Sembra, infatti, che la famiglia si sia rivolta all'avvocato per citare in giudizio il medico, e l'ospedale in cui questo lavorava, perché colpevoli di non aver effettuato ricerche mirate alla ricerca della sindrome di Down, con la morale di aver "taciuto" alla famiglia il tipo di gravidanza che stava portando avanti. Tolto che, nei tempi in cui viviamo, sembra alquanto stramba come affermazione, esistendo analisi specifiche quali b-test, amniocentesi, esame dei villi e innumerevoli altre, andiamo avanti nell'intervista. In effetti il nostro simpatico avvocato non si limita a snocciolare cifre da capogiro, quali E.2.900.000 per la bimba e 2.000.000 per la famiglia, no. L'avvocato Cornelio, reduce da lettere minatorie da sedicenti gruppi anti abortisti, avvalora la sua conquista confermando quanto, questi soldi, siano importanti per il tenore di vita della persona Down e, non dimentichiamolo, della sua famiglia. "Voi pensate che sia una cifra spropositata questa" dice "ma se si pensa al DISASTRO che vive la famiglia non sembra poi così sproporzionata. Le aspettative di vita per il Down (per il Down, non per la persona affetta da tale patologia) sono aumentate, quindi il Down può CAMPARE fino a 70 /80 anni ( e qui capiamo che si è pesantemente drogato con sostanze stupefacenti) e qui sta il DRAMMA, perché sopravvivono ai genitori. (Diciamo che la forma lascia un poco a desiderare, no?!) Volete mettere" continua "che il Down, con quei soldi, può comprarsi una bella casa e ospitare genitori o fratelli per farsi accudire?" Io non credo che il tizio in questione abbia molto presente cosa significhi, realmente, vivere con una persona affetta da questa sindrome. E comunque non ha ben chiara la dinamica del mondo che gravita intorno a questa realtà, perché continua "Assodato che il Down non può prendere la patente (è difficile, ma non impossibile e ci sono le testimonianze) non può innamorarsi, l'INFELICE, e uno dei compiti primari dei genitori è proprio quello di educare i propri figli ad astenersi da tali pratiche, Lei non sa" rivolgendosi alla giornalista "quanto soffra l'INFELICE nell'innamorarsi in maniera disperata e atroce, come sono soliti fare, e non essere corrisposto (un po' come te che cerchi il tuo cervello, ma, ahimé, non riesci proprio a trovarlo sotto i capelli! Ma chi te l'ha raccontata questo fatto? Chi?) In tutto ciò, ovviamente, la giornalista zitta. Si giunge alla fine dell'intervista, continuando a parlare del disastro familiare in cui versa una famiglia che, badate, non si pente assolutamente di aver dato al mondo un figlio Down, ma che ha seri problemi nella vita. Allora, io capisco benissimo che shock possa essere rappresentare avere un figlio con qualsiasi tipo di sindrome, non solo quella Down (perché, ricordiamoci, Down non è l'accezione che indica l'handicap in generale, ma un ramo di esso. Il termine handicap indica trecento mila altre patologie) perché, durante i nove mesi si fanno progetti, si alimentano speranze, si immaginano mille scenari per la propria prole. Io ne sono la prova. Sto incinta e già vedo mio figlio "ingarellato" di soldi, famoso e con un capoccione da Nobel! Il discorso è che il non accettare la propria situazione, perché neanche, magari, coadiuvati da personale specializzato in grado di aiutare e sensibilizzare la famiglia, non significa strumentalizzare la stessa per avere un tornaconto personale, coinvolgendo le altre innumerevoli famiglie nella stessa situazione , ma che non la pensano affatto nella stessa maniera. Ora, mi chiedo, mi domando e dico: come fa, la famiglia rappresentata da questo avvocato, a sentir parlare della propria figlia come infelice o come portatrice di disastro all'interno del proprio nucleo familiare? Come diamine fa? Un senso di dignità, verso quella creatura che hanno coccolato, inconsapevoli, per nove mesi e che hanno visto crescere, non ce l'hanno? Non sindaco sui soldi, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, perché in fondo ognuno fa ciò che vuole, anche se risulta alquanto triste pensare di chiedere un indennizzo perché la propria figlia ha un handicap, ma sindaco su tutto il contesto. E comunque se l'avvocato pagasse qualcuno per curare le proprie public relation, non farebbe un soldo di danno... Lui, a parlare, è osceno! E adesso, godetevi l'intervista, se ce la fate!
http://youtu.be/IL4OA9xHPUY
Oggi, navigando su internet alla ricerca di informazioni utili, sono incappata in questo interessantissimo video di un tale avvocato Cornelio "Il mestiere più bello è quello di difendere la gente". Tale signore, intervistato a Mestre dall'informatissima giornalista Maria Stella Donà, informa i telespettatori circa la sua ultima vittoria in campo giuridico. Di cosa si tratta? Di aver ottenuto un risarcimento, dalla cassazione, per una bimba affetta di sindrome Down e per sua madre. Motivazione? La bimba è nata. Si, la motivazione è proprio questa. Sembra, infatti, che la famiglia si sia rivolta all'avvocato per citare in giudizio il medico, e l'ospedale in cui questo lavorava, perché colpevoli di non aver effettuato ricerche mirate alla ricerca della sindrome di Down, con la morale di aver "taciuto" alla famiglia il tipo di gravidanza che stava portando avanti. Tolto che, nei tempi in cui viviamo, sembra alquanto stramba come affermazione, esistendo analisi specifiche quali b-test, amniocentesi, esame dei villi e innumerevoli altre, andiamo avanti nell'intervista. In effetti il nostro simpatico avvocato non si limita a snocciolare cifre da capogiro, quali E.2.900.000 per la bimba e 2.000.000 per la famiglia, no. L'avvocato Cornelio, reduce da lettere minatorie da sedicenti gruppi anti abortisti, avvalora la sua conquista confermando quanto, questi soldi, siano importanti per il tenore di vita della persona Down e, non dimentichiamolo, della sua famiglia. "Voi pensate che sia una cifra spropositata questa" dice "ma se si pensa al DISASTRO che vive la famiglia non sembra poi così sproporzionata. Le aspettative di vita per il Down (per il Down, non per la persona affetta da tale patologia) sono aumentate, quindi il Down può CAMPARE fino a 70 /80 anni ( e qui capiamo che si è pesantemente drogato con sostanze stupefacenti) e qui sta il DRAMMA, perché sopravvivono ai genitori. (Diciamo che la forma lascia un poco a desiderare, no?!) Volete mettere" continua "che il Down, con quei soldi, può comprarsi una bella casa e ospitare genitori o fratelli per farsi accudire?" Io non credo che il tizio in questione abbia molto presente cosa significhi, realmente, vivere con una persona affetta da questa sindrome. E comunque non ha ben chiara la dinamica del mondo che gravita intorno a questa realtà, perché continua "Assodato che il Down non può prendere la patente (è difficile, ma non impossibile e ci sono le testimonianze) non può innamorarsi, l'INFELICE, e uno dei compiti primari dei genitori è proprio quello di educare i propri figli ad astenersi da tali pratiche, Lei non sa" rivolgendosi alla giornalista "quanto soffra l'INFELICE nell'innamorarsi in maniera disperata e atroce, come sono soliti fare, e non essere corrisposto (un po' come te che cerchi il tuo cervello, ma, ahimé, non riesci proprio a trovarlo sotto i capelli! Ma chi te l'ha raccontata questo fatto? Chi?) In tutto ciò, ovviamente, la giornalista zitta. Si giunge alla fine dell'intervista, continuando a parlare del disastro familiare in cui versa una famiglia che, badate, non si pente assolutamente di aver dato al mondo un figlio Down, ma che ha seri problemi nella vita. Allora, io capisco benissimo che shock possa essere rappresentare avere un figlio con qualsiasi tipo di sindrome, non solo quella Down (perché, ricordiamoci, Down non è l'accezione che indica l'handicap in generale, ma un ramo di esso. Il termine handicap indica trecento mila altre patologie) perché, durante i nove mesi si fanno progetti, si alimentano speranze, si immaginano mille scenari per la propria prole. Io ne sono la prova. Sto incinta e già vedo mio figlio "ingarellato" di soldi, famoso e con un capoccione da Nobel! Il discorso è che il non accettare la propria situazione, perché neanche, magari, coadiuvati da personale specializzato in grado di aiutare e sensibilizzare la famiglia, non significa strumentalizzare la stessa per avere un tornaconto personale, coinvolgendo le altre innumerevoli famiglie nella stessa situazione , ma che non la pensano affatto nella stessa maniera. Ora, mi chiedo, mi domando e dico: come fa, la famiglia rappresentata da questo avvocato, a sentir parlare della propria figlia come infelice o come portatrice di disastro all'interno del proprio nucleo familiare? Come diamine fa? Un senso di dignità, verso quella creatura che hanno coccolato, inconsapevoli, per nove mesi e che hanno visto crescere, non ce l'hanno? Non sindaco sui soldi, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, perché in fondo ognuno fa ciò che vuole, anche se risulta alquanto triste pensare di chiedere un indennizzo perché la propria figlia ha un handicap, ma sindaco su tutto il contesto. E comunque se l'avvocato pagasse qualcuno per curare le proprie public relation, non farebbe un soldo di danno... Lui, a parlare, è osceno! E adesso, godetevi l'intervista, se ce la fate!
http://youtu.be/IL4OA9xHPUY
mercoledì 22 gennaio 2014
Critiche costruttive e critiche distruttive... Dove finiscono le une e iniziano le altre?
Sono stata a lungo combattuta se
pubblicare, oppure no, una recensione di un libro appena finito di
leggere. La morale è stata che preferisco soprassedere. Lascio a
tutti il potere di leggere e commentare ciò che più gli aggrada.
Io, per conto mio, credo che mi limiterò a commentare ciò che mi è
piaciuto, ciò che credo valga la pena leggere, ciò che so non
arrecare danno ad alcuno. Perché, nonostante la gente si dichiari
pronta a ricevere qualsiasi tipo di critica, credo non riesca ad
accettare nulla che non sia positivo del proprio lavoro. E da una
parte è comprensibile. Se si è speso del tempo e del sudore, su un
qualsiasi tipo di lavoro, è giusto esserne gelosi e sperare che
ognuno apprezzi tale frutto nella maniera in cui lo si propone. Come
dicevo qualche tempo fa, io non sono nessuno per giudicare o
criticare il lavoro altrui. Io come nessun altro. Ma... Se il proprio
ego spinge la persona a credere ciecamente a ciò che ha elaborato,
impedendogli di vedere ciò che realmente ha prodotto, non sarebbe
dovere morale di un buon amico, di un parente, di un buon conoscente,
farglielo notare? Se ci sono errori strutturali, che ne prescindono
la qualità, non è dovere di una persona che tiene all'altra,
rendere noti tali errori in modo che vengano corretti e, di
conseguenza, evitati la prossima volta? Dove finisce una critica
costruttiva e dove inizia una lapidazione? Dire che ci sono errori, e
indicare anche dove e in che maniera, la reputo una critica
costruttiva. Ovviamente il tutto dovrebbe avvenire in un clima di
pace e serenità, dove entrambe le parti sono pronte a lavorare
insieme per rendere il lavoro in oggetto migliore. Criticare
brutalmente un elaborato, denigrandone la vendita e la lettura la
considero una critica distruttiva. Dare giudizi della serie “Così
non andrai mai da nessuna parte, questo è troppo crudo, questo è
troppo debole, il lavoro nell'insieme non verrà mai apprezzato da
nessuno” è ancora, secondo me, una critica distruttiva fine a sé
stessa. Distruttiva per l'ego della persona che ha impiegato tempo e
sudore nell'elaborazione del manoscritto, o di qualsiasi altra cosa
si stia parlando, lesiva nel rispetto della stessa. Altro discorso è
se si evince che c'è stata poca concentrazione nell'elaborazione.
Magari per fretta. Magari per noia. Magari per voglia di procedere
subito alla valorizzazione di una bozza che, forse, doveva essere
ancora perfezionata. Nei miei temi, in italiano, non prendevo mai più
dell'otto. Perché? Perché scrivevo troppo e mi ritrovavo a
consegnare il tema in brutta copia. Perché, nel linguaggio comunque,
preferivo utilizzare il gergo romano piuttosto che lo stesso italiano
impiegato nella stesura di un componimento. E se sbagliavo una frase,
la sua costruzione, la coniugazione di un verbo, magari più corretto
se usato in un ulteriore forma verbale, non arrivavo neanche al
sette. Bastava un errore e veniva compromesso l'intero tema. Bastarda
la professoressa? No, semplicemente professionale. Perché mi
spronava a far meglio. Perché faceva in modo, in tale maniera, di
spingermi a non commettere gli stessi errori. Ma non sempre questo è
comprensibile. Anzi, quasi mai. Ricordo che inviai Dacon, il delirio
del male a Gelostellato, che stilò una sua valutazione, non
pubblicando nulla, solo rivolta a me. L'e-mail che ricevetti fu una
distruzione totale del manoscritto, evidenziando, punto per punto,
cosa non andava, cosa avrei dovuto modificare, le idee balzane che vi
avevo messo dentro, errori di editing del quale ero all'oscuro, dato
che non ho la laurea in letteratura e la mia casa editrice non se ne
preoccupava minimamente. Ci aveva perso talmente tanto di quel tempo,
a stilare quella valutazione, che riuscii solo a ringraziare e a fare
tesoro di tutto ciò che mi aveva detto. Ripresi Dacon in mano, lo
corressi, studiai le cose che non sapevo e che mi erano state
consigliate e lo inviai nuovamente per una nuova pubblicazione,
quella che attualmente è in vendita per la GDS. Sono brava io? No,
però mi considero umile e pronta ad accettare il lavoro, non
retribuito, di chi cerca semplicemente di aiutarmi non per proprio
tornaconto personale. Dato, però, che non mi chiamo Gelostellato e
che non posseggo tutta la pazienza di continuare in un percorso che
non rende giustizia a ciò che faccio, preferisco continuare a
leggere ciò che mi piace, a scrivere le mie cose, nonostante sia
cosciente che molti non le leggano perché troppo accecati dalla
propria “carriera”, e amen. Lo sfogo è rivolto a chiunque e a
nessuno in particolare. Chiunque voglia interagire con me, in tal
senso, è il benvenuto. Solo una cosa: non ho voglia di discutere,
neanche un po', di argomentazioni sterili già dibattute.
lunedì 20 gennaio 2014
Tutti si soffermano sul mestiere della mamma... Ma il papà?
Sento costantemente parlare del rapporto mamma - figlio. Addirittura, una volta si davano le colpe di un possibile autismo del bambino alla figura materna. Come se il ruolo del padre fosse assente. Come se il padre fosse semplicemente un modo, per la donna, di approdare alla propria maternità. Io adoro mia madre, ma adoro anche mio padre e non ne ho mai fatto mistero. Non si riesce a comprendere come mai la visione della donna, in questo frangente, sia nettamente più importante. Eppure entrambe le figure concorrono per il fine ultimo del dar vita a una nuova esistenza. Eppure è il frutto dell'amore tra un uomo e una donna a essere celebrato, con la nascita, non solo lo sforzo di una singola persona. E all'educazione del nascituro concorrono entrambe le parti. Per lo meno dovrebbero. Persino nelle cause legali il padre è la figura ad avere sempre la peggio. Si tende a tutelare la madre, perché si ritiene che il rapporto tra la figura femminile e il bambino sia più solida e importante. Da figlia posso dire che l'amore è rivolto a entrambe le parti e che si può trarre un fortissimo insegnamento sia dalla propria madre che dal proprio padre. Da figlia posso dire che non sempre una persona può comprendere l'umore dell'altro e che, forse, il dualismo della coppia serve anche ad aiutare il difficile processo di comprensione alla propria "creazione". Da figlia posso dire che l'esempio del proprio padre è rilevante per comprendere cosa si cerca in un uomo nel futuro. Da figlia posso dire che, probabilmente, il padre è l'uomo che si ama primo, in maniera pura. Per un figlio il padre è la figura da idolatrare, imitare, da cui trarre ispirazione. Se è un buon padre. E il mio lo è e mi sembra quanto meno doveroso il celebrarlo quando ancora posso farlo, quando ancora può leggere ciò che gli scrivo. Non che sia decrepito, al contrario, ma credo sia fondamentale dimostrare il proprio affetto ai cari quando si è certi che possano comprendere e capire, per non cadere nelle solite frasi del dopo. Solitamente si ha vergogna a esprimere i propri sentimenti. Perché? In fondo la vita, senza emozioni, cos'è? E perché non esprimerle, allora, queste emozioni, quando si è certi di poterlo fare? Quando non si hanno validi motivi per non farlo?
Unico uomo
L'unico uomo
che non amerò mai abbastanza
che sento di dover stringere
quando solo il pensiero lo sfiora
L'unico uomo
che voglio vegliare
nonostante mi abbia donato tutto
il suo potere più grande
L'unico uomo
che ho amato sempre
per senso di naturale
e reale appartenenza
Non credo di saper eguagliare
il sentimento unico
il singolare sentore
che provo solo guardandolo
Non penso poter replicare
e non voglio, in fondo, farlo
la costante voglia di contatto
con le braccia forti che mi tennero
L'unico uomo
vero uomo
che mi ha dato esempio di
ciò che significa padre
Padre
unico e singolo padre
di cui ho preso gli occhi
di cui posseggo, costante, l'affetto
domenica 19 gennaio 2014
Brilliant - Ali di fata... e riprendiamo a sognare con la M.P. Black!
Letto in un pomeriggio, sono giunta
alla conclusione del primo libro della saga di questo Brilliant, ali
di fata.
M.P. Black... Vecchia conoscenza.
Ricordo di un forum, di discorsi vagheggianti circa un Bartolo, un
vampiro strano ma col fascino del cattivo, di una ragazzina
protagonista che odiavo a morte, di varie farneticazioni circa la
mescolanza di personaggi di altri libri...
M.P. Black... Diavolo, quanto è andata
avanti, questa donna. Nonostante io abbia subito una battuta
d'arresto durata cinque anni, lei è andata avanti, imperturbabile,
lavorando sodo sulla passione, sullo stile che la contraddistingue,
sul cercare e ottenere conferme. E Brilliant è una conferma al suo
lavoro. Brilliant è un modo per trascorrere un pomeriggio sognando.
Mi sono immersa in mondi lontani, in un universo proprio dell'età
adolescenziale, dove qualsiasi ragazza sogna di essere speciale, in
qualche maniera, magari magica, magari fatata. Un essere speciale
conteso da due ragazzi. I ragazzi più belli che lei abbia visto.
Sensazioni vissute a quindici, sedici anni. Ciò che mi sconvolge
della Black, e che mi colpì quando la conobbi, è proprio il modo
puro che ha di arrivare al cuore dell'adolescente. Nonostante cresca,
l'autrice riesce sempre a mantenere l'incanto e la speranza proprie
degli anni più belli. L'adolescenza, un epoca molto ristretta, nella
vita dell'uomo, ma talmente densa da somigliare a un mondo parallelo.
Una vita che nasce e muore, nonostante faccia parte di un percorso
più ampio. E questo la nostra Black sa esprimerlo nel migliore dei
modi. Non sto qui a raccontare trame, a svelare segreti, a cercare di
convincere tramite spoiler vari. Non serve. Basterebbe vedere
l'affetto che circonda i romanzi dell'autrice, la passione con la
quale ama le creature che crea, rendendole quasi reali agli occhi del
lettore. Non serve, quindi, parlare di Victoria, del suo essere un
personaggio singolare e magico. Non serve parlare di angeli caduti,
di mistici, di fate crudeli. Non serve neanche narrare del dualismo
eterno tra bene e male, rivisitato tramite l'occhio della fantasia di
un'autrice che riesce ancora a indagare il mondo imperscrutabile che
è proprio dell'immaginazione. Non serve. Ciò che davvero conta è
leggere Brilliant, attendere il suo seguito e continuare a sognare.
Se poi si considera che l'autrice ha terminato il secondo capitolo a
inizio gennaio, si capisce che l'attesa non sarà sfibrante. Io, che
ho letto la trilogia di Lisa, non posso che essere soddisfatta
nell'aver ritrovato lo stile che ho adorato della Black. Mi divertii
all'epoca di Lisa, mi sono divertita ora con queste fate. Però,
M.P., m'hai reso le streghe esseri infernali e questo, mi spiace, ma
una cultrice del genere come me non può fartela passare liscia!
Sappi che chiederò alle vecchie leve di avvalorare la mia
vendetta... Magari prendendo di mira quel Jason... Intanto invito
tutti a correre su Amazon e acquistare Brilliant- ali di fata.
http://www.amazon.it/BRILLIANT-ali-fata-Brilliant-saga-ebook/dp/B00B6DOQ28/ref=pd_ecc_rvi_2?ie=UTF8&qid=1387563740&sr=1-1
sabato 18 gennaio 2014
Il sospetto... Un film che indaga l'animo umano alle prese con la calunnia degli abusi sessuali
venerdì 17 gennaio 2014
I disabili hanno diritto all'aiuto di tutti.
Oggi scrivo poche righe, a mio avviso
essenziali, per rivolgermi alla parte umana delle persone. Se ancora
esiste, ovviamente. Questa mattina mi sono svegliata con un pensiero
fisso, pensiero che mi ronza in testa da qualche mese, in effetti. Io
sono fortunata. Noi tutti, che navighiamo su internet, che abbiamo
una nostra vita, una nostra quotidianità, siamo persone altamente
fortunate. Durante la nostra formazione, ai tempi in cui la nostra
identità era solo un timido abbozzo nelle menti dei nostri genitori,
i nostri cromosomi e ogni parte infinitesimale del corpo si è
collocata nel posto giusto, al momento giusto e nella quantità
studiata dalla natura al fine di costruire la perfetta macchina che
guidiamo inconsapevoli ogni giorno. Per moltissimi individui, però,
la sorte non è stata magnanima alla stessa maniera. Nonostante si
abbia la voglia di parlare di questo argomento, nonostante ci siano
associazioni volte all'aiuto sociale e morale di questa categoria di
persone, molto poco è stato fatto e continua a essere fatto. Al
telegiornale si sente raramente parlare o sponsorizzare le varie
associazioni o gruppi di genitori che, uniti dall'amore per i propri
figli o, semplicemente, i propri simili, combattono ogni giorno
affinché la vita delle persone con handicap non sia più un ostacolo
insormontabile. Quante sono le associazioni che, durante questo
periodo di crisi, hanno abbandonato la speranza di riuscire a
combinare qualcosa con i caproni del nostro paese? Tantissime. Ma non
se ne parla. Sarà che sono particolarmente sensibile all'argomento,
anche se mia sorella ha noi della famiglia a sostenerla. Questa
mattina, di conseguenza, ho deciso di tentare in ogni maniera di
sostenere, nel mio piccolo, qualsiasi associazione che voglia la mia
collaborazione per aiutarli nell'andare avanti. Quindi ho inviato
varie mail, nella speranza che qualcuna risponda, mettendo a
disposizione il mio libro. Magari non concluderò nulla, ma saprò
perfettamente di aver provato a essere utile. Che esiste a fare
l'uomo se non si cura del prossimo? E non c'entra nulla la religione.
C'entra solo l'amore verso la vita. In fondo, la sorte che è toccata
ad altri poteva capitare a me o a tanti di voi, persone “normali”.
È stata questione di culo. Ma la fortuna si crea e non esiste
handicap che non possa essere alleviato anche nei suoi aspetti più
gravosi. Perché le persone rimangono persone, nonostante i loro
difetti fisici e mentali.
A te, ciccia mia:
Da quando sei con me
Non credo esista
nel mondo corrente
una gioia più grande
di quella che ho nel vedere
il volto tuo illuminato
da un sorriso di pura gaiezza.
Tutto ciò che ti riguarda
tutto ciò che ti attornia
illumina anche il dubbio
più tenebroso
posseduto nella mente
di chi non poteva conoscerti
Sei entrata nella mia vita
silenziosa, discreta, immensa
Hai sconvolto la certezza
distrutto il normale corso
di una vita arida
che sarebbe rimasta tale
Cullare il tuo corpo
cantare melodie distanti
vedere il sonno coglierti
e la serenità dell'amore
avvolgere i tuoi sensi
rimane l'insegnamento che
mai nessuno sarà in grado di
eguagliare
Grazie a te, ora
posso dirmi sicura
di saper donare, di saper provare
un sentimento di amore eterno
a un respiro che sarà vita
a un battito che sarà cuore
Ti stringo la mano
e non la lascio
guardo i tuoi occhi
e non li allontano
Colgo il tuo amore
e con esso mi sazio
giovedì 16 gennaio 2014
Il genere horror è destinato a soccombere?
Cosa comporta la passione per il genere
horror? Come viene interpretato l'amore per questo particolare ramo
della letteratura, comprese le sue mille ramificazioni nella musica,
nella cinematografia e in tutti i più svariati aspetti del
quotidiano? E se è una donna a provare un “insano” amore per
tale categoria, come viene interpretata nel quotidiano? Beh, questo
si che è un argomento che richiederebbe mille pagine e oltre.
L'horror non viene visto molto bene. L'horror non è un genere amato.
Nonostante le persone, nel collettivo, dichiarino di adorare i film
horror, rifiutano tutto ciò che gravita intorno a tale categoria,
preferendo tanti altri argomenti più soft. Perché? Possibile che
tiri più un thriller che un sano racconto di paura? Che fine hanno
fatto i racconti che si raccontavano i ragazzini nelle sere fredde,
ma anche in quelle calde, in verità, durante i pigiama party o
semplicemente perché in compagnia? Io sono cresciuta con i libri di
piccoli brividi, abituata fin dalla tenera età a rapportarmi con il
mondo del terrore. Perché ero pazza fin da piccola? No,
semplicemente perché le emozioni che riesce a suscitare un buon
libro horror non hanno eguali. Parlo di libro come potrei benissimo
parlare di film, di musica e così via. La musica di genere horror
viene erroneamente associata a quella satanista e non è così.
Oltretutto se l'horror sconfina nel fantasy creando un genere a sé,
mescolando anche il genere rosa, c'è un boom nelle vendite, se
l'horror rimane fedele a sé stesso, qui in Italia non va. È una
cosa che ha dell'incredibile. Tanto più se si pensa che, ormai,
l'horror viene paragonato a una sorta di condizione schizofrenica. È
così. Chi ama questo genere è tacciato di psicopatia latente. Ami
il dark? Psicopatico! Ami il metal? Psicopatico! Sei una donna e
scrivi racconti o romanzi horror? Fallita depravata psicopatica! Sei
Stephen King? Sei un grande. Su quest'ultimo punto non ci sono dubbi,
ma parliamo di un caso eccezionale, avulso dal reale corso del mondo
che ci attornia. Come mai un King viene apprezzato e uno scrittore di
puro horror no? Di Tulpa, da chi non ama il genere, ne ho sentito
parlare malissimo, eppure mi risulta essere una gran pellicola.
Stesso discorso vale per molti altri film, per il quale, però,
lancio la palla a chi se ne intende molto più di me. Ciò che è
certo è che l'horror non solo non viene letto, ma non viene neanche
commercializzato. È ovvio, che lo si pubblica a fare se qui in
Italia sono pochissime le persone che lo adorano? Zombie, vampiri,
licantropi: adesso vanno di moda, ma in contesti totalmente diversi
da quelli in cui sono stati concepiti. Le ragazzine, e non solo loro,
vogliono la storia d'amore con l'essere diverso, perché fa figo. E
lo scrittore medio asseconda questo tipo di richiesta. Chi rimane
fedele al proprio amore è destinato a soccombere? Sembra di si,
anche perché mi sto rendendo conto che anche le poche case editrici
che pubblicano tale genere lo snobbano in favore di altri romanzi più
validi commercialmente. Allora cosa lo si pubblica a fare? Solo per
provare al mondo che si è temerari? Che si tiene conto di un
sottogenere che la società fa di tutto per tenere nascosto, ma che
brulica grazie a vecchi pilastri? Si pubblicizzano fantasy, thriller
e romanzi chick lit, ma non horror, tanto che gli scrittori di tale
genere hanno cominciato a contaminare i propri romanzi nella speranza
di emergere. Siamo condannati a dimenticare cosa vuol dire vampiro? O
cosa, realmente, voglia dire parlare di uno zombie o cosa fosse, in
passato, il mito della licantropia? Ma forse il vero problema è
l'Italia stessa, che avendo al suo interno uno stato fortemente
incentrato alla mistificazione dell'oscuro rifugge ogni tipo di
cultura che non rientri nella sua morale? La Chiesa c'entra, per
caso, qualcosa con questa moria di terrore? Gli autori, i registi,
gli sceneggiatori di genere horror stanno lentamente soccombendo. Non
lo trovate un peccato capitale? Non credete che si stiano perdendo,
man mano che il futuro incombe, i valori che hanno fatto grande la
cultura? Non dimentichiamo Mr Hide, non dimentichiamo il Faust, non
dimentichiamo Dracula. Cerchiamo di sostenerlo questo genere,
cerchiamo di dar luce nuova all'horror, diamine, tralasciando lupi
mannari arrapati, zombie che possono tornare umani e vampiri che si
illuminano al sole invece di ardere. Per cortesia, leggete i classici
e cercate tra i nuovi. Le emozioni valgono la pena di essere
scrutate, anche quelle più oscure, perché non sono altro che
l'estensione di un lato dell'essere umano che, a volte, scalpita per
uscir fuori. E creare terrore.
martedì 14 gennaio 2014
Chi insegnerà l'amore per la lettura ai bimbi di domani?
Il discorso di ieri mi ha ispirato
un'altra questione spinosa. Cosa spinge una persona a non leggere ciò
che si scrive? Non parlo solamente di libri. Mi sono resa conto che
la gente preferisce non leggere e basta. Parliamo tanto di cultura,
nel nostro paese, ma ascolto sempre più persone dire che è più
semplice vedere un film piuttosto che leggere. Persone, addirittura,
che non conoscono minimamente gli effetti devastanti che un libro è
in grado di provocare nella mente del lettore. Mi sono sentita
chiedere parecchie volte “Come diavolo fai a fare le quattro di
notte per leggere un libro? Come diamine fai a piangere o a ridere
leggendo qualcosa?” Sembra che l'immaginazione stia, lentamente,
sparendo dal quotidiano, asciando spazio esclusivamente a ciò che è
realmente visibile. Non si concepisce il fatto che l'immaginazione
riesce, molte volte, a creare mondi impossibile da riprodurre nella
realtà, per quanto effetti speciali abbiano creato nel mondo
odierno. Diavolo, leggere crea dipendenza. Quando una storia merita
di essere vissuta, non ci sono immagini che tengano. Un bel libro va
aldilà di ogni concetto visivo. Le emozioni che può trasmettere la
parola scritta non hanno eguali. Eppure la gente non legge. Eppure i
social network sono invasi di persone che scrivono come se si stesse
lavorando in un aeroporto, via telex, con abbreviazioni che, a volte,
risultano di incomprensibile interpretazione. Eppure l'editoria ha
subito, qui in Italia, un calo pazzesco delle vendite. Si, buona cosa
è stata fatta con l'avvento degli e-book, ma per un discorso
prettamente economico. Non si eguaglia la gioia di sfogliare un
libro. E comunque sempre troppe poche persone leggono qualsiasi cosa,
fosse anche un articolo di giornale. Ci sono tantissime testate
giornalistiche lette da pochissimi, ci sono persone che scrivono
bizzeffe di racconti rimasti sconosciuti. Ci sono troppi scrittori,
qui, è vero. Ma le stesse persone che sostengono questa massima,
sono le stesse che raramente leggono cose differenti dalle loro.
Perché? Forse non avviene una giusta educazione in casa, in tal
senso? Quanti sono i bambini abituati a vivere tra i libri? Pochi.
Quanti, quelli a cui vengono regalati e storie con le quali poter
sognare? Pochi. A quanti viene letta una favola? Pochissimi. È più
semplice piazzare il bambino davanti alla televisione, fargli
ingurgitare chili di Violetta e non pensare al suo avvenire. I
genitori, molti genitori, hanno dimenticato la regola basilare che
vigeva quando ero piccola io: l'ignoranza è uno strumento potente
nelle mani di chi la sa strumentalizzare. Molti genitori non si
rendono conto dell'importanza della cultura. Se per primi hanno
odiato la scuola, si può stare certi che trasmetteranno una sorta di
noncuranza alla propria prole. L'ho visto, nella maggior parte accade
e non sono frasi fatte. Se, per primi, non hanno avuto l'obbligo
morale di studiare, raramente avranno gli strumenti necessari per
trasmettere la curiosità necessaria a terminare gli studi ai propri
figli. È vero, nell'Italia odierna è certamente più intelligente
consigliare al proprio figlio una scuola professionale, in grado di
insegnargli basi utili al suo futuro, ma non per questo si deve
dimenticare la ricchezza di ciò che può trasmettere uno studio
parallelo di concetti interessanti e stimolanti. Sono rimasta
scioccata nello scoprire che in televisione non esistono più neanche
i cartoni animati. Proprio oggi ripensavo alla serie di “Siamo
fatti così”, cartone con il quale sono cresciuta, che mi ha
instillato la curiosità di andare a cercare cose che alle elementari
non si studiano approfonditamente. Ricordo che chiedevo a mia madre
di spiegarmi, nel dettaglio, come funzionasse il corpo umano. Non
perché volessi fare il medico, da grande, ma per la curiosità che
si attaccava al mio cervello avido. Se non si insegna ai bambini,
ora, cosa significa leggere, non si può pretendere nulla dal futuro.
Nulla. Ed è inutile, quindi, leggere tutte quegli aforismi che
circolano su facebook. Perché non hanno senso, in un popolo
ignorante che si ripiega su sé stesso per pigrizia. L'insegnamento
non è un mestiere facile, ma qualcuno dovrà pur farlo, e i genitori
hanno una grandissima responsabilità in tutto questo.
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