giovedì 2 gennaio 2014

Tornare a lavoro... ah, dolci ricordi.

Sono finite queste feste? Ancora no? Ancora manca il 6 gennaio? Urca, pure la calzetta... Oh beh, poco male, i dolcetti fanno sempre bene allo spirito. Il problema fondamentale è che la mia mente si è convinta di poter ricominciare a dare seguito ai progetti casalinghi solo ed esclusivamente dopo le fastidiose e stancanti feste. Cosa significa tutto ciò? Dovrei cominciare a dipingere la cameretta del piccolo indemoniato, ma se non finiscono le feste è impossibile solo pensarci. Dovrei dar seguito al terzo romanzo che ho iniziato prima di Natale, ma se non finiscono le feste... Insomma, sono impantanata in un loop mentale dal quale è difficile uscire. Bisognerebbe forzare la mia mente ad agire secondo canoni sociali, ma proprio non so come fare. So cosa state pensando: ma tu un lavoro non ce l'hai? In effetti lo avrei, ma la maternità forzata, a cui sono stata costretta fin dalle prime battute, mi ha portata a elaborare metodi di sopravvivenza in casa. Ragazzi, il mestiere di casalinga è difficile. Non è come le donne lavoratrici dicono: noi facciamo entrambi i mestieri, le casalinghe non fanno nulla e stanno sempre davanti alla tv. Non è così e quando ascolto determinati discorsi sento le viscere rimescolarsi tutte. Intendiamoci, io non posso proprio definirmi casalinga. Io sono una semplice donna incinta costretta a casa. Ma le donne che lavorano in casa non hanno nulla da dover restituire a quelle che vanno sotto padrone. A star appresso alla casa si diventa pazzi. Fosse per le camere, una persone dovrebbe star li a pulire tutti i santi giorni in maniera più che approfondita. La polvere è bastarda, si annida dopo solo 3 secondi che l'hai tolta da un ripiano, e non c'è swiffer o prodotti antistatici che reggano... La laniccia, la sporcizia in generale, i panni da lavare, stendere, stirare... Senza contare l'economia familiare da far quadrare. Parliamoci chiaro: quando una donna è in casa è lei che tira le fila del conto in banca e non è semplice tirar fuori i soldi e risparmiare nel contempo. Noi, per ora, abbiamo entrambi gli stipendi e di problemi non ne sorgono, ma provate a immaginare quelle famiglie monoreddito. Con dei bambini, per giunta. Non è la pigrizia a portare le donne a stare in casa, credetemi. A casa ci si esaurisce, non ci si riposa, quindi nessuno mi venga a dire che le casalinghe stanno a casa perché ci sanno fare eccetera eccetera. È decisamente più semplice andare a lavorare sotto padrone, piuttosto che essere il padrone di sé stessi in casa. Comunque, tutto questo astruso discorso per dirvi che sto lentamente giungendo alla fase depressiva dell'ingabbiamento. La gente mi dice: ma esci, no? Si, ma non è la stessa cosa. L'unica alternativa che ho trovato è stata quella di scrivere e di leggere come una povera pazza. Perché almeno, se nessuno ancora ha inventato il mondo che vorremmo, noi abbiamo tutti gli strumenti per costruirlo. Con una penna e un pezzo di carta, o più semplicemente, con un bel portatile sotto mano.

La Casa dei Picche




Quella casa l'aveva sempre spaventata.
Passava lì davanti ogni giorno, per tornare a casa da scuola, e provava sempre la stessa sensazione: brividi freddi di terrore in tutto il corpo.
Anzi... sembrava che una frotta di formiche le camminasse tra i capelli e scendesse giù, fino ai piedi.
Quante volte si era grattata il capo, pensando davvero di trovare degli insetti inviati da chissà quale entità lì presente?
Si vociferava fosse una villa infestata dagli spiriti.
Daria non lo sapeva, ma era quasi certa che qualcuno la fissasse da una di quelle finestre rotte.
La casa era abbandonata, con un grande giardino tutto intorno, incolto e devastato dal tempo e dagli animali randagi. Grande quasi quanto due ville messe insieme, le finestre sporche o direttamente distrutte, aveva disegnati sulle pareti esterne tutti i segni delle carte da gioco: picche, fiori, cuori, quadri.
Era inquietante, specialmente per quei picche neri che sembravano inglobare la serenità dei passanti.
Nessuno degli adulti prestava molta attenzione a quella struttura camminando per quella strada, ma, Daria ne era certa, quando era piccola aveva sempre avvertito la stretta di suo padre farsi più vigorosa transitando lì davanti.
Aveva avuto da sempre il divieto di entrare in una qualsiasi di quelle stanze e, a detta dei suoi genitori, perché gruppi di ragazzi satanisti compivano riti con tanto di pentacolo e sacrifici umani.
Terrorizzata, aveva sempre detestato passare davanti la “Casa dei Picche”, nonostante fosse costretta ogni giorno a percorrere proprio il tragitto che portava alla villa.
E ora eccola lì, truccata di nero,con i capelli biondi appena freschi di piastra fluttuanti al vento e con uno spinello in bocca a far finta di ridere alle battute della sua comitiva.
Erano entrati nel giardino della villa con i motorini grazie un'apertura nella rete metallica che recintava tutta la struttura.
Guardò Roberto e cercò di calmare il battito del suo cuore.
Era semplicemente bello, i capelli ondulati corti e neri, occhi verde bottiglia e una fossetta sulla guancia destra ad ogni sorriso.
Uno schianto... e lei ne era innamorata da secoli.
Portò lo spinello alla bocca distogliendo lo sguardo dal suo idolo e rispose con un sorriso ad una battuta bruttissima e assai poco simpatica di Francesco circa la personale difficoltà di vivere con i suoi genitori.
Beh, certamente vivere costantemente nella bambagia, adorato e servito da parenti serventi e vestire solamente capi firmati, doveva avere il suo bel disagio.
Era entrata in quel gruppo al secondo anno di superiori e da due anni oramai usciva con loro ogni sera.
Erano quattordici sbandati in tutto, follemente innamorati della vita e disperatamente alla ricerca di risposte.
Come ogni adolescente del resto.
Sollevò il capo a guardare le stelle nel cielo terso di fine settembre.
Sospirò, continuando il suo solitario, e si distese con le braccia lungo il manubrio del suo motorino, gli occhi sempre fissi al firmamento.
A che pensi Daria?”
Che questo posto mi mette i brividi...”
Distolse lo sguardo dal cielo e fissò nella direzione di Rino.
La luce delle loro torce spandeva sul vasto giardino della villa, permettendo a Daria di poter vedere i suoi interlocutori in tutta tranquillità e il suo segreto amore di sottecchi ogni volta lo desiderasse.
Non mi piace questa casa, è inquietante. Ho sentito tante di quelle storie che solo passare qui davanti mi mette i brividi...”
Dai, non esagerare. E' solo una casa abbandonata, inquietante certo, ma una villa fatiscente. I miei, ad esempio, mi hanno sempre raccomandato di tenermi alla larga da qui perché cade a pezzi e potrei rimanere sepolto sotto i detriti...”
Roberto ascoltava, Daria lo vide assorto, ma senza proferire parola.
A me, invece, hanno sempre detto che qui c'erano gli spiriti che mi avrebbero ucciso se solo fossi entrata...”
Rino esplose in una risata spontanea, risuonando nel vuoto come un rombo.
Appunto, i fantasmi non sono altro che i pezzi di una casa che potrebbe crollare da un momento all'altro...”
Sara rimase in silenzio, meditando sulla bugia che i suoi le avevano raccontato e alla quale lei aveva sempre creduto, comunque con un certo scetticismo.
Invece a me è stato detto che qui ci sono delle sette...”
Silenzio.
Rino smise di ridere e rimase in ascolto, agitato.
Tutti si voltarono verso Daria e rimasero in ascolto.
Tutti tranne Roberto, ancora assorto, con gli occhi rivolti al giardino.
Mio padre mi ha detto che qui ci sono delle persone, che adorano Satana o chissà cosa, che fanno sacrifici umani e cose... misteriose.”
Daria, non puoi creder...”
Beh, ti vedo agitato, quindi non far finta di nulla. Non è il caso di sdrammatizzare. Anzi...
Possiamo andare via?”
I ragazzi non risposero subito ma un rumore li fece sobbalzare all'unisono.
Roberto si alzò dal suo motorino e si sgranchì le gambe.
Bene ragazzi, dopo tutte queste storielle su spiriti e satanisti vari, io mi vado a fare un giro nella casa...”
Rino lo fissò, preoccupato, ma non disse nulla.
Nessuno fiatò e Roberto si incamminò, sicuro e serio, verso l'interno della villa.
D'un tratto Daria avvertì un alito di vento muoverle i capelli e una voce le penetrò nella mente.

Fermalo

I brividi lungo tutto il corpo, la ragazza si irrigidì, indecisa se muoversi verso Roberto o rimanere lì, al sicuro tra i suoi amici nel giardino.
Il vento divenne più intenso e crebbe in un momento. I ragazzi cominciarono a parlottare, guardandosi spaventati.
E se davvero c'è qualcosa lì dentro? Qualcuno dovrebbe fermarlo...”
Sentite, io non fermo proprio nessuno, anzi... Sapete che vi dico? Io me ne vado. Questo posto comincia a darmi sui nervi.”
Si, vengo anche io, hai ragione. Se vuole fare l'indagatore del mistero, Roberto, che se la vedesse da solo. Io non ho tutta questa voglia di sfidare la sorte. Poi domani mi devo anche svegliare presto...”
Uno dopo l'altro, i ragazzi avviarono i loro motorini, incuranti di Roberto che oramai aveva raggiunto la porta d'entrata fatiscente della villa.
Aspettate! Non possiamo lasciarlo da solo!”
Daria, spaventata ma determinata a non abbandonare il suo amico, si rivolse a Rino, afferrandolo per un braccio.
Il ragazzo si voltò verso di lei, notando la sua espressione contrita, e strattonò la spalla liberandosi dalla presa.
Senti, tanto lo sappiamo tutti che ne sei innamorata cotta. Vacci tu da lui...”
Era astio quel sentimento che aveva notato nella sua voce?
Era gelosia?
Cos'era?
Che stupido!” Si voltò, agitata e nervosa, verso la casa.
Lo avrebbe fermato da sola, se fosse stato necessario.
Ma Roberto era già entrato.
Respirò a fondo due volte, si portò i capelli, scossi dal vento, dietro le orecchie e si lanciò di corsa verso la casa rallentando sulla soglia.
La porta era di legno nero, con dei fori in alcune parti e delle bruciature in altre. Il muro, ingiallito dal tempo, era eroso dalla pioggia e macchiato in più punti.
La casa sembrava viva.
Daria avvertì il peso della paura comprimerle i polmoni e il respiro farsi più flebile ogni secondo trascorso.
Roberto?”
L'eco della sua voce risuonò nel buio antro del corridoio, impossibile il ragazzo non l'avesse sentita.
Si addentrò, tremante, all'interno, sporgendo la torcia, che aveva appena acceso, davanti i suoi passi.
Sentì uno squittio alla sua sinistra e puntò fulmineamente il fascio di luce in quella direzione, scorgendo una piccola ombra nera in terra dileguarsi.
S... sarà un topo...
Roberto?”
Il silenzio continuò a coprire i suoi pensieri e le sue speranze.
Innervosita, avanzò e si trovò dinnanzi una grande scalinata che portava al piano superiore.
Beh, una cosa è certa. Qui le sette non ci sono, almeno non oggi. Mi avrebbero già presa altrimenti...”
Si fermò ai piedi delle scale e ascoltò il vento imperversare fuori le mura della villa.
Nonostante il buio, quella casa sembrava solamente abbandonata.
Forse ha ragione Rino...
Si, fatto sta che di Roberto neanche l'ombra...”
Abbandonò il corrimano della scalinata e camminò verso sinistra, dove troneggiava una porta a vetri, leggermente rischiarata dalla luce della luna. Afferrò la maniglia e la girò, lentamente ma in maniera decisamente più calma rispetto a pochi minuti prima.
Si affacciò solo con la testa per poi spalancare il vetro ed entrare completamente nella stanza.
Era una cucina, oramai in disuso, con due rubinetti arrugginiti e un tavolo di legno tarlato.
Nulla fuori dalla norma.
Respirò, rinfrancata dalle scarse scoperte della sua esplorazione, quando avvertì un rumore di passi al piano superiore.
Istintivamente portò il fascio di luce verso il soffitto illuminando un vecchio lampadario in cristallo.
Strano che nessuno fosse mai entrato a saccheggiare i resti della villa, strano sul serio.
Perplessa e un poco agitata, si mosse verso le scale e cominciò a salirle, avvertendo scricchiolare le assi di legno, polverose e unte, ad ogni passo.
Il respiro si fece corto e il cuore prese a battere velocemente nel petto.
Qualcosa non andava e gli squittì crebbero, come se tutta la casa fosse divenuta d'un tratto un grosso ratto grigio.
Scostò le dita dal corrimano , con ribrezzo, e giunse alla fine della salita. Voltò a sinistra e destra il fascio di luce quando anche la torcia la abbandonò con un ronzio sordo.
Cazzo! Non mi abbandonare ora, ti prego! ROBERTO?”
Prese ad urlare il nome del suo amico, terrorizzata e al buio. Non poteva correre, non sapeva cosa avrebbe trovato e se veramente, come aveva detto Rino, quella casa cadeva a pezzi, rischiava di inciampare e cadere in qualche falla del pavimento.
Alla sola idea di rimanere sepolta viva, esclamò un urlo di orrore e si appoggiò al muro che sapeva essere di fronte le scale.
Qualcosa le sfiorò le gambe e mille brividi la percorsero, facendole sgorgare calde lacrime dagli occhi azzurri.
ROBERTO? ADESSO BASTA! DIMMI DOVE SEI!”
Nulla ancora.
Non osò sedersi a terra e decise di tornare al piano inferiore, pregando di riuscire ad uscire dalla villa sana e integra.
Allungò due dita verso il corrimano, non trovandolo.
Corrugò la fronte mentre una mano le afferrò la nuca.
Daria urlò, colta di sorpresa, e cercò invano di divincolarsi.
Sei stata brava tesoro... Finalmente sei venuta a trovarmi. Sai da quanto attendevo questo momento?”
Conosceva quella voce.
Impallidì.
C... cosa stai facendo Roberto? Io voglio andare via, lasciami andare via!”
Vuoi andare via? Ma tu mi ami... non è vero?”
Voglio uscire di qui, ti prego Roberto!”
Sono anni che ti vedo passare qui davanti... Desideravo da tanto poter toccare la tua pelle candida, baciare la tua bocca calda... e...”
Il sudore colava pietosamente dalla fronte, mescolandosi alla lacrime rapprese sulle guance.
Cosa stava dicendo?
Tu non sei Roberto, chi sei?”
La voce era flebile, quasi impercettibile, mentre la mano dalla nuca si spostava sulla carotide, stringendo mortalmente le dita.
Io sono Roberto, io sono ogni persona, io sono l'eterno... sono tutto e sono niente...”
Daria cercò disperatamente di non perdere il controllo abbandonandosi ad un pianto disperato e parlò ancora.
Chi sei?”
Io?” Il ragazzo sorrise, mentre, immobilizzando totalmente con il corpo la sua vittima, la sfiorò con le labbra baciandone la pelle madida di sudore.
Io sono uno spirito... Io sono un serial killer, io sono nato nel 1901 e da allora attendo di averti.”
Daria chiuse gli occhi, scossa dai singhiozzi irrefrenabili partoriti dai polmoni stretti.
Io ti voglio e ti avrò, poi... Poi non esisteremo più, né io né te.”
Daria scivolò a terra, avvertendo gli squittii della casa avvicinarsi, e pregò.
La mano dell'omicida le tappò la bocca mentre i topi le mordevano le gambe a sangue.
La luna fu oscurata dalle nubi e un buio denso calò sulla villa scossa dai mugolii della morte.
Lo spirito saziò i suoi istinti e Daria spirò, nella Casa dei Picche.



Astri di paura – 0111 edizioni - 2009

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