venerdì 10 gennaio 2014

Tolleranza? Provate a impararla dalle persone diversamente abili...


Nei giorni scorsi, durante una delle mie solite navigate per la rete, mi sono imbattuta in questa simpaticissima foto e non ho potuto far altro se non condividerla con tutti i miei contatti di facebook. Mi sono domandata se avessi avuto sempre il cuore tenero, se fossi stata sempre incline a determinati sentimenti nei confronti dei più deboli. In un certo si, per altri versi no. Sono cresciuta con una madre insegnante di sostegno, che, come ogni mamma, mi portava con sé a lavoro se c'erano dei problemi logistici su dove collocarmi in concomitanza col suo lavoro. Sono vissuta, pertanto, a contatto con molte realtà della sfera umana... molto più di altri bambini, comunque. Sono stata educata a portare rispetto alle persone diverse da me, con dei problemi non derivanti da una propria o altrui colpa. Purtroppo, come ogni bambino che si rispetti, per quanto comprendessi, nel mio piccolo, l'enorme vastità di quell'universo fatto di carrozzelle, brail, linguaggio dei segni o lezioni diversificate, avvertivo una sorta di malizia crescere nel mio animo. Non me ne vergogno, ero una bambina. I bambini normodotati, proprio perché nel pieno del proprio sviluppo intellettuale, avvertono il bisogno di camminare con persone come loro, è la legge del branco, per così dire. Nelle classi di scuola elementare ancora non esiste in maniera preponderante questo fenomeno, che già, comunque, inizia a manifestarsi in alcuni, ma nelle classi di scuola media noterete come le persone più deboli, non necessariamente portatrici di handicap, vengano emarginate dal gruppo preponderante. Io, per mio conto, non sono mai stata bulla, nonostante alle scuole elementari le maestre parlassero con mia madre dicendole che non volevo avere rapporto alcuno con i bambini portatori di handicap. Non era così. Il problema di alcuni adulti, nel cercare di fare del proprio meglio, è affidare troppa responsabilità a una persona sola. Questo è un vizio che ricorre anche nell'età adulta! Dal momento che avevo una mamma insegnante, per le mie maestre era scontato il fatto che io fossi una specie di Maria Teresa. Ero una bambina... Quindi, di conseguenza, se cercavo di far integrare taluni alunni nel gruppo classe, alla fine mi stancavo di provarci e desideravo un po' di pace. Egoistico? Forse, ma calcoliamo che ero una bambina di sette/otto anni. Durante gli anni delle scuole medie, invece, ero diventata talmente accondiscendente con tutti, vivendo come una ragazzina semplice, senza trucchi o malizia, che venni presa di mira e vessata continuamente. Ebbene si, ero una specie di piccola nerd. Non avevo nessun handicap, eppure alcuni si accanivano su di me perché era facile: non reagivo. Così funziona la legge del branco. Bisogna che qualcuno emerga e per farlo si ha sempre bisogno di una persona più debole. Ora, il discorso qual è? Che alle media, forse in maniera precoce rispetto ad altri miei coetanei, mi interrogai seriamente su cosa avesse reso così differenti da “noi” le persone “diverse”. Perché era capitato ad alcuni di avere dei difetti fisici o mentali, invece che ad altri? Per quale motivo c'era una sorta di selezione tra i feti? Era come dicevano in chiesa, ovvero che quelle persone erano state scelte da Dio per soffrire le pene altrui affinché gli altri potessero imparare? Cosa? Perché loro erano costretti a soffrire per noi? Chi eravamo noi, così importanti, rispetto a loro? Arrivata alle scuole superiori, dove raramente approdano le persone con handicap, non ebbi la possibilità, o il tempo, per interrogarmi ulteriormente circa la questione. Fino al secondo superiore, momento in cui mia madre venne in casa, un giorno, annunciando che una bimba con sindrome di Down era stata disconosciuta qui a Roma. Beh, ragazzi, io in quel momento non ero in casa, ma ci volle esattamente una settimana perché l'intera famiglia si mobilitasse e decidesse di presentare domanda di adozione. Il resto è storia, quell'adozione l'abbiamo ottenuta, dopo quattro anni di affidamento, ma la cosa più importante, sulla quale vorrei soffermarmi, è il fatto che da lei, da mia sorella, ho imparato talmente tante cose che a elencarle non basterebbe mezza giornata. Ovviamente per una ragazzina di quattordici anni, nel pieno della sua adolescenza, non è semplice accettare una situazione simile. Per molti potrà essere esagerato, ma posso assicurarvi che un'adozione non è semplice da digerire per un figlio. E non per questioni legate all'affetto dei propri genitori, proprio no. Con l'adozione, nel nostro caso, lampo, non si ha il tempo di abituarsi all'idea di una nuova sorella o fratello. Abbiamo “preso” mia sorella a tre mesi, uno scricciolo, e fino al suo primo anno di età io mi sono chiesta come avrei fatto ad amarla quanto amavo mia sorella più grande. Giorno dopo giorno, però, quell'esserino mi è entrato nel cuore e mano a mano che cresceva, mi insegnava piccole verità. Mi ha insegnato a essere più tollerante, ad essere più amorevole, a cercare di vedere oltre le apparenze, a provare amore dove, invece, sembra vivere solo odio. Ho scoperto l'intolleranza di molti, l'ignoranza che gravita intorno a lei. Mi sono commossa, durante le sue recite scolastiche, nel notare che non tutti i bambini sono maliziosi, ma che alcuni di loro sono pronti a sacrificare la loro bella figura per aiutare chi è in difficoltà. Mi sono commossa nello scoprire che, ora che è approdata alle scuole medie, ha un'intera classe che la ama, l'aiuta e la rispetta. Ora, poi, che ha scoperto i trucchi e che ha ricevuto una bicicletta lo scorso Natale è una ragazza adolescente a tutti gli effetti. Pur rimanendo pura. Ci sono stati dei lutti, nella mia famiglia, e lei, più di altri, ha dimostrato cosa significhi veramente amare e rispettare. Tutti questi eventi mi hanno segnata, hanno mutato in maniera netta la concezione che avevo della vita. Mi ci è voluto del tempo, ma ora che sto per dare al mondo un nuovo essere umano, mi impegno a farlo crescere nel pieno rispetto del prossimo, sia esso normodotato o diversamente abile. Le cose sono cambiate, non del tutto, ma posso avere speranza nel futuro. Ho scoperto che si vivrebbe molto meglio, e in pace, se tutti noi avessimo anche mezzo del cromosoma in più che possiede mia sorella. Come lei, tanti altri. Come tanti altri, una moltitudine di persone con altri handicap, molto più gravi e invalidanti. La sindrome di Down non è il termine che indica la presenza di handicap. La sindrome di Down è un handicap. Ve ne sono tantissimi altri, tutti derivanti da difetti genetici avvenuti durante lo sviluppo del feto... Se le persone fossero un poco più attenta al prossimo, curiose di indagare circa il proprio sviluppo e quello altrui, invece che immergersi totalmente nello zappettare il proprio orticello, ci sarebbe un poco più di dignità... E rispetto. Ovviamente, questo vuole essere un monito verso chiunque pratichi l'esercizio della propria ignoranza verso il prossimo, sia questo diversamente abile, sia questo gay, sia questo di colore, sia questo di un'altra religione. Tolleranza...


Nessun commento:

Posta un commento