Nei giorni scorsi, durante una delle
mie solite navigate per la rete, mi sono imbattuta in questa
simpaticissima foto e non ho potuto far altro se non condividerla con
tutti i miei contatti di facebook. Mi sono domandata se avessi avuto
sempre il cuore tenero, se fossi stata sempre incline a determinati
sentimenti nei confronti dei più deboli. In un certo si, per altri
versi no. Sono cresciuta con una madre insegnante di sostegno, che,
come ogni mamma, mi portava con sé a lavoro se c'erano dei problemi
logistici su dove collocarmi in concomitanza col suo lavoro. Sono
vissuta, pertanto, a contatto con molte realtà della sfera umana...
molto più di altri bambini, comunque. Sono stata educata a portare
rispetto alle persone diverse da me, con dei problemi non derivanti
da una propria o altrui colpa. Purtroppo, come ogni bambino che si
rispetti, per quanto comprendessi, nel mio piccolo, l'enorme vastità
di quell'universo fatto di carrozzelle, brail, linguaggio dei segni o
lezioni diversificate, avvertivo una sorta di malizia crescere nel
mio animo. Non me ne vergogno, ero una bambina. I bambini
normodotati, proprio perché nel pieno del proprio sviluppo
intellettuale, avvertono il bisogno di camminare con persone come
loro, è la legge del branco, per così dire. Nelle classi di scuola
elementare ancora non esiste in maniera preponderante questo
fenomeno, che già, comunque, inizia a manifestarsi in alcuni, ma
nelle classi di scuola media noterete come le persone più deboli,
non necessariamente portatrici di handicap, vengano emarginate dal
gruppo preponderante. Io, per mio conto, non sono mai stata bulla,
nonostante alle scuole elementari le maestre parlassero con mia madre
dicendole che non volevo avere rapporto alcuno con i bambini
portatori di handicap. Non era così. Il problema di alcuni adulti,
nel cercare di fare del proprio meglio, è affidare troppa
responsabilità a una persona sola. Questo è un vizio che ricorre
anche nell'età adulta! Dal momento che avevo una mamma insegnante,
per le mie maestre era scontato il fatto che io fossi una specie di
Maria Teresa. Ero una bambina... Quindi, di conseguenza, se cercavo
di far integrare taluni alunni nel gruppo classe, alla fine mi
stancavo di provarci e desideravo un po' di pace. Egoistico? Forse,
ma calcoliamo che ero una bambina di sette/otto anni. Durante gli
anni delle scuole medie, invece, ero diventata talmente
accondiscendente con tutti, vivendo come una ragazzina semplice,
senza trucchi o malizia, che venni presa di mira e vessata
continuamente. Ebbene si, ero una specie di piccola nerd. Non avevo
nessun handicap, eppure alcuni si accanivano su di me perché era
facile: non reagivo. Così funziona la legge del branco. Bisogna che
qualcuno emerga e per farlo si ha sempre bisogno di una persona più
debole. Ora, il discorso qual è? Che alle media, forse in maniera
precoce rispetto ad altri miei coetanei, mi interrogai seriamente su
cosa avesse reso così differenti da “noi” le persone “diverse”.
Perché era capitato ad alcuni di avere dei difetti fisici o mentali,
invece che ad altri? Per quale motivo c'era una sorta di selezione
tra i feti? Era come dicevano in chiesa, ovvero che quelle persone
erano state scelte da Dio per soffrire le pene altrui affinché gli
altri potessero imparare? Cosa? Perché loro erano costretti a
soffrire per noi? Chi eravamo noi, così importanti, rispetto a
loro? Arrivata alle scuole superiori, dove raramente approdano le
persone con handicap, non ebbi la possibilità, o il tempo, per
interrogarmi ulteriormente circa la questione. Fino al secondo
superiore, momento in cui mia madre venne in casa, un giorno,
annunciando che una bimba con sindrome di Down era stata
disconosciuta qui a Roma. Beh, ragazzi, io in quel momento non ero in
casa, ma ci volle esattamente una settimana perché l'intera famiglia
si mobilitasse e decidesse di presentare domanda di adozione. Il
resto è storia, quell'adozione l'abbiamo ottenuta, dopo quattro anni
di affidamento, ma la cosa più importante, sulla quale vorrei
soffermarmi, è il fatto che da lei, da mia sorella, ho imparato
talmente tante cose che a elencarle non basterebbe mezza giornata.
Ovviamente per una ragazzina di quattordici anni, nel pieno della sua
adolescenza, non è semplice accettare una situazione simile. Per
molti potrà essere esagerato, ma posso assicurarvi che un'adozione
non è semplice da digerire per un figlio. E non per questioni legate
all'affetto dei propri genitori, proprio no. Con l'adozione, nel
nostro caso, lampo, non si ha il tempo di abituarsi all'idea di una
nuova sorella o fratello. Abbiamo “preso” mia sorella a tre mesi,
uno scricciolo, e fino al suo primo anno di età io mi sono chiesta
come avrei fatto ad amarla quanto amavo mia sorella più grande.
Giorno dopo giorno, però, quell'esserino mi è entrato nel cuore e
mano a mano che cresceva, mi insegnava piccole verità. Mi ha
insegnato a essere più tollerante, ad essere più amorevole, a
cercare di vedere oltre le apparenze, a provare amore dove, invece,
sembra vivere solo odio. Ho scoperto l'intolleranza di molti,
l'ignoranza che gravita intorno a lei. Mi sono commossa, durante le
sue recite scolastiche, nel notare che non tutti i bambini sono
maliziosi, ma che alcuni di loro sono pronti a sacrificare la loro
bella figura per aiutare chi è in difficoltà. Mi sono commossa
nello scoprire che, ora che è approdata alle scuole medie, ha
un'intera classe che la ama, l'aiuta e la rispetta. Ora, poi, che ha
scoperto i trucchi e che ha ricevuto una bicicletta lo scorso Natale
è una ragazza adolescente a tutti gli effetti. Pur rimanendo pura.
Ci sono stati dei lutti, nella mia famiglia, e lei, più di altri, ha
dimostrato cosa significhi veramente amare e rispettare. Tutti questi
eventi mi hanno segnata, hanno mutato in maniera netta la concezione
che avevo della vita. Mi ci è voluto del tempo, ma ora che sto per
dare al mondo un nuovo essere umano, mi impegno a farlo crescere nel
pieno rispetto del prossimo, sia esso normodotato o diversamente
abile. Le cose sono cambiate, non del tutto, ma posso avere speranza
nel futuro. Ho scoperto che si vivrebbe molto meglio, e in pace, se
tutti noi avessimo anche mezzo del cromosoma in più che possiede mia
sorella. Come lei, tanti altri. Come tanti altri, una moltitudine di
persone con altri handicap, molto più gravi e invalidanti. La
sindrome di Down non è il termine che indica la presenza di
handicap. La sindrome di Down è un handicap. Ve ne sono tantissimi
altri, tutti derivanti da difetti genetici avvenuti durante lo
sviluppo del feto... Se le persone fossero un poco più attenta al
prossimo, curiose di indagare circa il proprio sviluppo e quello
altrui, invece che immergersi totalmente nello zappettare il proprio
orticello, ci sarebbe un poco più di dignità... E rispetto.
Ovviamente, questo vuole essere un monito verso chiunque pratichi
l'esercizio della propria ignoranza verso il prossimo, sia questo
diversamente abile, sia questo gay, sia questo di colore, sia questo
di un'altra religione. Tolleranza...
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