Sono stata a lungo combattuta se
pubblicare, oppure no, una recensione di un libro appena finito di
leggere. La morale è stata che preferisco soprassedere. Lascio a
tutti il potere di leggere e commentare ciò che più gli aggrada.
Io, per conto mio, credo che mi limiterò a commentare ciò che mi è
piaciuto, ciò che credo valga la pena leggere, ciò che so non
arrecare danno ad alcuno. Perché, nonostante la gente si dichiari
pronta a ricevere qualsiasi tipo di critica, credo non riesca ad
accettare nulla che non sia positivo del proprio lavoro. E da una
parte è comprensibile. Se si è speso del tempo e del sudore, su un
qualsiasi tipo di lavoro, è giusto esserne gelosi e sperare che
ognuno apprezzi tale frutto nella maniera in cui lo si propone. Come
dicevo qualche tempo fa, io non sono nessuno per giudicare o
criticare il lavoro altrui. Io come nessun altro. Ma... Se il proprio
ego spinge la persona a credere ciecamente a ciò che ha elaborato,
impedendogli di vedere ciò che realmente ha prodotto, non sarebbe
dovere morale di un buon amico, di un parente, di un buon conoscente,
farglielo notare? Se ci sono errori strutturali, che ne prescindono
la qualità, non è dovere di una persona che tiene all'altra,
rendere noti tali errori in modo che vengano corretti e, di
conseguenza, evitati la prossima volta? Dove finisce una critica
costruttiva e dove inizia una lapidazione? Dire che ci sono errori, e
indicare anche dove e in che maniera, la reputo una critica
costruttiva. Ovviamente il tutto dovrebbe avvenire in un clima di
pace e serenità, dove entrambe le parti sono pronte a lavorare
insieme per rendere il lavoro in oggetto migliore. Criticare
brutalmente un elaborato, denigrandone la vendita e la lettura la
considero una critica distruttiva. Dare giudizi della serie “Così
non andrai mai da nessuna parte, questo è troppo crudo, questo è
troppo debole, il lavoro nell'insieme non verrà mai apprezzato da
nessuno” è ancora, secondo me, una critica distruttiva fine a sé
stessa. Distruttiva per l'ego della persona che ha impiegato tempo e
sudore nell'elaborazione del manoscritto, o di qualsiasi altra cosa
si stia parlando, lesiva nel rispetto della stessa. Altro discorso è
se si evince che c'è stata poca concentrazione nell'elaborazione.
Magari per fretta. Magari per noia. Magari per voglia di procedere
subito alla valorizzazione di una bozza che, forse, doveva essere
ancora perfezionata. Nei miei temi, in italiano, non prendevo mai più
dell'otto. Perché? Perché scrivevo troppo e mi ritrovavo a
consegnare il tema in brutta copia. Perché, nel linguaggio comunque,
preferivo utilizzare il gergo romano piuttosto che lo stesso italiano
impiegato nella stesura di un componimento. E se sbagliavo una frase,
la sua costruzione, la coniugazione di un verbo, magari più corretto
se usato in un ulteriore forma verbale, non arrivavo neanche al
sette. Bastava un errore e veniva compromesso l'intero tema. Bastarda
la professoressa? No, semplicemente professionale. Perché mi
spronava a far meglio. Perché faceva in modo, in tale maniera, di
spingermi a non commettere gli stessi errori. Ma non sempre questo è
comprensibile. Anzi, quasi mai. Ricordo che inviai Dacon, il delirio
del male a Gelostellato, che stilò una sua valutazione, non
pubblicando nulla, solo rivolta a me. L'e-mail che ricevetti fu una
distruzione totale del manoscritto, evidenziando, punto per punto,
cosa non andava, cosa avrei dovuto modificare, le idee balzane che vi
avevo messo dentro, errori di editing del quale ero all'oscuro, dato
che non ho la laurea in letteratura e la mia casa editrice non se ne
preoccupava minimamente. Ci aveva perso talmente tanto di quel tempo,
a stilare quella valutazione, che riuscii solo a ringraziare e a fare
tesoro di tutto ciò che mi aveva detto. Ripresi Dacon in mano, lo
corressi, studiai le cose che non sapevo e che mi erano state
consigliate e lo inviai nuovamente per una nuova pubblicazione,
quella che attualmente è in vendita per la GDS. Sono brava io? No,
però mi considero umile e pronta ad accettare il lavoro, non
retribuito, di chi cerca semplicemente di aiutarmi non per proprio
tornaconto personale. Dato, però, che non mi chiamo Gelostellato e
che non posseggo tutta la pazienza di continuare in un percorso che
non rende giustizia a ciò che faccio, preferisco continuare a
leggere ciò che mi piace, a scrivere le mie cose, nonostante sia
cosciente che molti non le leggano perché troppo accecati dalla
propria “carriera”, e amen. Lo sfogo è rivolto a chiunque e a
nessuno in particolare. Chiunque voglia interagire con me, in tal
senso, è il benvenuto. Solo una cosa: non ho voglia di discutere,
neanche un po', di argomentazioni sterili già dibattute.
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