Gli occhi chini in terra, le mani
rigide ai lati del volto, nessuno si curava del signor Triponi.
Stipati come bestie da macello, ognuno perso nel proprio mondo
bislacco, viaggiavano ininterrottamente da tre giorni. Nella
carrozza, in quel momento, erano più di trecento, ma Chi di dovere
sapeva che, con la prossima fermata, si sarebbe arrivati a più di
cinquecento persone per carrozza. Persone... Animali. Chi di dovere,
nella prima cabina del treno merci, sorrise con disgusto al pensiero,
poi si voltò verso il macchinista e riprese il racconto della sua
notte brava di una settimana prima. Nessuno parlava, oltre i soldati,
e nessuno proferiva una parola di senso compiuto. Il signor Triponi,
meno di tutti. Perché lui neanche riusciva a pronunciare alcun
fonema. Era muto. E autistico. Un bel problema, come ne esistevano
tanti, del resto. La missione del nuovo regime era quello di ripulire
le strade dalla feccia ebrea, ma anche dei singoli scarti della
società ammassati nei manicomi. Già, perché non esistevano solo
gli sporchi ebrei. Quelli, Chi di dovere lo sapeva bene, dovevano
essere eliminati perché costante minaccia all'economia nazionale. Ma
gli altri... Gli altri erano semplicemente abomini naturali, aborti
non perpetrati per carità cristiana... Quei rincoglioniti di preti!
Che significato aveva lasciar vivere certi deformi, certi ritardati,
solo per la soddisfazione di dire “Se esiste un Dio, io ho fatto la
cosa giusta ai suoi occhi?” Non esisteva nessuno. Perché se fosse
esistito, non avrebbe permesso simili scempi nella razza umana. Nella
razza ariana, per meglio dire. Gli italiani, quegli insulsi, non
capivano che avrebbero fatto, prima o poi, la stessa identica fine
degli animali che contribuivano a deportare. Chi di dovere lo
sospettava da tempo. Il progetto finale era quello di lasciare in
circolazione solo la stirpe superiore, quella derivante da Odino. Era
una legge di sangue provata. Provata dal primo cancelliere, mica
bazzecole. Il signor Triponi, lo sguardo sempre chino a terra, si
accorse di essere bagnato, ma non se ne preoccupò. Sapeva che non
era sua l'urina che macchiava le sue natiche, ma in quel marasma non
importava. A chi importava di lui? Non era mai importato a nessuno.
Almeno, per quei tre giorni, non era stato esposto al vento gelido di
gennaio. Già, perché in manicomio erano soliti lasciarlo per notti
intere all'addiaccio, solo per vedere che fine avrebbe fatto. Il
signor Triponi era muto e autistico, mica stupido. Sapeva fare i
conti, nonostante nessuno glielo avesse mai insegnato. Era cresciuto
in manicomio. Portato li da sua madre, donna fragile, piccola e
ossuta, alla tenera età di quattro anni, era stato dimenticato tra
le braccia della suora che lo aveva afferrato senza tanti
complimenti. Era strano, il signor Triponi, perché non parlava. E i
suoi genitori avevano notato che non si voltava quando veniva
interpellato. Che fosse pure sordo? No, sordo no. Il signor Triponi,
Glauco all'epoca, ci sentiva bene, solo che non s'interessava del
mondo circostante. E guai a toccarlo. Era come se un fuoco vivo lo
devastasse in mille lingue. E i genitori, poveri cristi, non potevano
sopportare la sua vista. Chi avrebbe potuto? Chi avrebbe voluto un
ragazzino incapace di amare? Incapace di socializzare? Incapace di
essere di qualche aiuto all'economia familiare? Ed ecco che si erano
ritrovati al Santa Maria della Pietà, a consegnare quel pacco umano
alla mercé di sedicenti psichiatri che, per amore della scienza, lo
accolsero tra le loro elettriche braccia fatte di elettrodi. Brutti
ricordi, per il signor Triponi. Ora, nonostante fosse sporco delle
feci del suo vicino, o dei suoi vicini, sorrise, compiaciuto. A mai
più rivederci, dottor Udinetti. A mai più rivederci, suor Beatirce,
graziosa donna dalle mani lubriche e desiderose di cose da toccare.
Di corpi, da toccare. A mai più rivederci, carta incerata marrone
sporca di urina cinque giorni su sette. Ora si viaggiava, ora si
andava all'avventura. Chi di dovere sapeva il destino di quel treno
di ritardati. Già, perché tutti i passeggeri presenti provenivano
dai manicomi italiani disseminati per la penisola. Ed erano tanti, oh
se erano tanti. Il signor Triponi era solo un piccolo ago
nell'immenso pagliaio dei dimenticati, dei deformi, degli storpi.
Down, cerebrolesi, carrozzati, autistici, sordi, muti, sordomuti
(addirittura!) e chissà che altro si era inventato il mondo pur di
infestare le strade ariane... Perché tutte le strade, erano ariane.
E che non stessero molto tranquilli, quelli dei paesi oltreoceano,
perché, prima o poi, sarebbero arrivati anche li. Chi di dovere lo
sapeva benissimo, mentre parlava di zoccole e vino umbro. Mancava
ancora tanto, alla meta, ma il signor Triponi lo ignorava. Gli occhi
chini a terra, le mani sempre sollevate, rigide, ai lati del viso,
era seduto nella stessa posizione da tre giorni. Ci aveva persino
dormito, seduto, come i muli. D'altronde, era impossibile sdraiarsi.
Erano ammassati come i tasselli di un mosaico. Una volta, al signor
Triponi, una suora aveva insegnato ad attaccare i tasselli colorati
su un pezzo di legno. Quella donna era scomparsa, dal manicomio, dopo
appena tre settimane di servizio. Il signor Triponi c'era rimasto
male, aveva pianto dentro, ma non lo aveva dato a vedere. O a
sentire. Ora, al ricordo, aveva i crampi ai gomiti, ma di abbassare
quelle braccia proprio non se ne parlava. Non poteva, era il suo modo
di tenerle lungo i fianchi. E il viaggio proseguiva, la meta era
lontana, la prossima tappa vicina. Chi di dovere lo sapeva bene,
molto bene. Il signor Triponi chiuse gli occhi, i pantaloni, ora,
completamente bagnati, avvertendo i morsi della fame, ascoltando i
mugolii dei vicini, parenti nella tragedia. Chissà che fine avevano
fatto i suoi genitori? Un padre, di cui non rammentava il volto, la
madre ossuta che lo aveva consegnato a quel postaccio. Chissà? Li
avrebbe trovati, una volta sceso da quel treno? E i suoi occhi, si
sarebbero riaperti, al suo risveglio? O non si sarebbe più
risvegliato? Chi di dovere sapeva che, se si fosse risvegliato, ci
sarebbe stata comunque la morte ad attenderlo. Altro che genitori.
Altro che affetto. Solo gas. In fondo, il signor Triponi era solo un
ritardato. Un muto del cazzo da sterminare, da eliminare. Il signor
Triponi non era un signore, non aveva nemmeno cognome, per la legge.
Era un essere con le braccia perennemente alzate, le mani rigide, la
bocca serrata, allargata in un sorriso ebete, lo sguardo a fuggire
quello degli altri. E non sarebbe stato neanche un numero, non ne
avrebbe avuto il tempo. Quell'essere sarebbe stato polvere, gas, se
avesse avuto la sfortuna di risvegliarsi, dopo il viaggio. Non
sarebbe stato più nessuno, benché, già ora, non possedesse
identità. Il signor Triponi.
Racconto in memoria delle vittime dei campi di sterminio. Per ricordare anche loro, quelli che non hanno la memoria di molti.
Nessun commento:
Posta un commento